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Come si uccide un Infermiere, tra burn-out e indifferenza generale

di Angelo

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Addio a "Marco" un bravo collega proveniente dal Sud d'Italia ma formatosi lavorativamente e professionalmente nel Nord, in un Veneto che lo ha accolto e che lo ha costretto all'isolamento. Lui voleva tornare nella sua Sicilia.

GENOVA. Ne avevamo già parlato in precedenza, oggi arriva la notizia di un altro Infermiere morto suicida. Questa volta è accaduto nel Nord d'Italia, in un piccolo comune dell'entroterra veneto, dove un collega, originario del Sud, ha deciso di togliersi la vita impiccandosi nel garage di casa e in assenza di moglie e figli, partiti per una vacanza in America.

E' successo qualche settimana fa, ma la notizia è stata data a Nurse24.it solo ora. Non ne volevamo parlare, per rispetto di chi è sopravvissuto alla dipartita terrena del povero Marco (il nome è di fantasia), ma alla fine abbiamo deciso di farlo, perché non passi inosservato l'ennesimo suicidio in campo sanitario e nello specifico in quello Infermieristico.

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Quel gesto clamoroso di un Infermiere che fa pensare al culmine di una grave sindrome di burn-out.

Quarantenne, lascia due figlie piccole e una moglie che al momento del folle gesto "liberatorio" erano negli Stati Uniti d'America per una vacanza vinta alla lotteria.

Marco era originario della Sicilia, terra in cui sperava di ritornare un giorno. Era in Veneto da circa 20 anni e qui aveva conosciuto la sua famiglia e acquistato la sua prima casa con lo stipendio misero di un Infermiere.

Nessuno ha mai capito il significato di questa morte, ma sicuramente Marco non aveva mai dato segno di squilibrio e non aveva alcun problema sentimentale o debitorio.

Era un quarantenne felice, perfettamente integrato in un Veneto che premia i migliori uomini del Sud, ma che nel contempo li rilega in una cerchia di non "perfetti cittadini". Forse è da leggere in un malessere profondo, nel non sentirsi accettati fino in fondo, nel sentirsi inutile o in quella che qualche collega suggerisce essere stato il traguardo di un burn-out intimamente vissuto e svelato solo ad alcuni intimi amici.

Non sapremo mai cosa ha spinto Marco al folle gesto, anche perchè non ha lasciato alcun biglietto, alcun indizio, alcun messaggio per moglie e figli e parenti e amici. Nulla di nulla.

Resta alta la percentuale di suicidi tra gli Infermieri Italiani anche per il 2015.

In un precedente servizio avevamo detto che nel 2014 e nei primi mesi di quest'anno la situazione era di allerta.

Da un’indagine condotta daNurse24.it e in particolare dallo scrivente è emerso prepotentemente un dato di fatto: tra casi conclamati e casi dubbi mediamente si toglie la vita 1 infermiere/una infermiera al mese. Lo testimoniano le cronache dei giornali (on line e cartacei), le denunce sindacali e il numero degli espianti d’organo in aumento, che riguardano oltre il 30% dei colleghi defunti tragicamente (compreso gli incidenti stradali e/o sul lavoro).

 

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si è espressa in un Rapporto del 2014 (Preventing suicide: a global imperative), i suicidi si possono prevenire.

Quella della morte auto-inflitta, compresi gli operatori sanitari e gli Infermieri, solo nel 2012 ha comportato più di 800.000 decessi totali (in prevalenza adolescenti e giovani), diventando di fatto la quindicesima causa di decesso a livello planetario.

Ogni 40 secondi nel mondo una persona si suicida o tenta il suicidio.

Il rapporto OMS è stato lanciato in vista della Giornata mondiale per la prevenzione dei suicidi che ricorre ogni anno il 10 e l’11 settembre. L’obiettivo dichiarato è quello di riuscire a ridurre i suicidi del 10% entro il 2020.

Solo in Italia la media è di 12 Infermieri all’anno. Tra gennaio e aprile 2015, infatti, si sono registrati 7 casi, di cui uno dubbio. Gli ultimi due a Novafeltria in Romagna, a Genova in Liguria, a Milano in Lombardia e a San Marco in Lamis in Puglia.

Quali sono le cause che inducono i colleghi al suicidio? Tantissime. Molto complesso l’eventuale piano di intervento che non può prescindere da un’attenta disamina degli agenti scatenanti: motivi psicologici, lutti improvvisi, mobbing, problemi fisici e psichici, malattie invalidanti o diagnosi infauste, delusioni d’amore, stress lavorativo, turni massacranti, mancati riposi, incidenti dolosi/colposi e altro possono mischiarsi assieme nell’immenso calderone di dati contenuti nella mente umana, dove a un certo punto accade qualcosa e il desiderio di farla finita prevale su tutto il resto.

Per l’OMS, dicevamo, è possibile prevenire i suicidi, ma occorre che le strutture sanitarie si dotino degli strumenti adatti a fornire supporto a 360° senza trascurare i seppur minimi dettagli di malessere.

L’Infermiere per sua natura è sottoposto al rischio burn-out, condizione psico-fisica che lo mette a confronto tutti i giorni con sindromi depressive dovute spesso a un contatto continuo con l’agente MORTE e all’enorme mole di lavoro a cui è sottoposto quotidianamente per la mancanza cronica (e ingiustificata?) di personale.

Molti collegi IPASVI, compresa la Federazione Nazionale degli Infermieri, da tempo si occupano dell’argomento, anche se relativamente al supporto dell’Infermiere nei confronti del paziente; finora nessuno o quasi si è soffermato sui casi di decessi auto-inflitti tra colleghi, a dimostrazione che il problema è sottovalutato e che non si reagisce in maniera adeguata facendo prevenzione o intervenendo sui casi segnalati.

Alcuni studi legali nazionali ed extra-nazionali si stanno occupando da qualche mese di singoli decessi e hanno intrapreso o stanno per intraprendere azioni volte a tutelare le vittime dei suicidi che spesso non sono solo quelle decedute (ma i loro familiari, le mogli, i mariti, i genitori, i figli, i compagni, le compagne). La tesi portata avanti dagli avvocati è quella dell’OMICIDIO COLPOSO. Le Aziende Pubbliche e Private che sottopongono a stress lavorativo e a mobbing i loro subordinati o collaboratori sono da condannare perché vanno contro la Legge e soprattutto contro l’umana considerazione.

I casi di suicidio non riguardano solo gli Infermieri o le Infermiere già formati ma anche gli Studenti Infermieri. Solo in Romagna si sono registrati 5 casi di morte auto-inflitta negli ultimi 4 anni; altri casi si registrano in Veneto, in Lombardia, in Toscana, nelle Marche e in altre realtà del Nord Italia, dove probabilmente qualcosa scatena il malessere latente che porta poi all’estremo gesto.

Tutti i casi da noi analizzati sono accomunati dal cosiddetto “gesto plateale”: impiccagione, somministrazione di sostanze endovena, salti nel vuoto, soffocamento con sostanze gassose, scontro con mezzi o treni ed altro. Ciò dimostra la chiara volontà di comunicare un disagio e l’isolamento in cui si vive nell’era dell’informazione di massa e dei social-network.

Sull’argomento torneremo a parlarne nei prossimi giorni, oggi volutamente lo abbiamo affrontato in maniera superficiale, attendiamo le vostre considerazione sperando nel contempo di aver fatto breccia nel cuore e nelle menti di chi sulla questione ha molte cose da dire ed ha paura di farlo.

Concludiamo ricordando con un abbraccio tutti i colleghi e studenti Infermieri che non hanno saputo e/o potuto reagire, preferendo la morte al malessere intestino. La nostra vicinanza è sentita anche nei confronti di chi li ha conosciuti, amati e apprezzati in vita.

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