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Burnout

L’Infermiere tra benessere psicologico, relazioni e conflitti

di Roberta Guerra

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L'Assistenza Infermieristica è oggi molto vasta: si può spaziare dal contesto ospedaliero all’assistenza domiciliare, dalle case di riposo all’ambito militare, ambulatoriale e diagnostico. Il lavoro del “nurse” abbraccia tutte le fasi del ciclo vitale, dalla nascita fino all’accompagnamento nelle strutture di fine vita.

Infermiere mani e paziente

Il ruolo dell’Infermiere moderno è sempre più complesso

Il ruolo attivo dei “nurse” Italiani nell’ambito dell’assistenza a pazienti

L’aumento dell’età media, delle patologie croniche ed il contesto socio-culturale che si sta trasformando rappresentano importanti cambiamenti per il mondo della salute e della sanità. Di conseguenza l’interesse ai temi del benessere e al miglioramento della qualità della vita stanno crescendo, con sempre maggiore attenzione agli elevati standard qualitativi.

Questi cambiamenti richiedono un ruolo attivo all’assistenza, con una presa in carico globale che guardi alla totalità dell’individuo. In questa fase di trasformazione l’infermiere ha sempre maggiore autonomia professionale ed è chiamato a promuovere e a difendere la propria identità professionale, collocandola in modo sempre più riconoscibile all’interno del mondo della salute.

L’infermiere opera in una vastità di contesti: da quello ospedaliero, all’assistenza domiciliare, alle case di riposo, all’ambito militare, ambulatoriale e diagnostico, solo per citarne alcuni.

Il suo lavoro abbraccia tutte le fasi del ciclo vitale, dalla nascita fino all’accompagnamento nelle strutture di fine vita. All’interno di ognuna di queste aree d’intervento entra in relazione con altri colleghi, in collaborazione con altre figure professionali, in stretto contatto con il paziente ed i suoi familiari. Inoltre si trova a interagire con le istituzioni nelle scelte politiche che riguardano la salute collettiva, dove assume un ruolo sempre più attivo.

In ognuna di queste aree vi sono diverse sfide alle quali l’infermiere è chiamato a rispondere e, per questo, le abilità richieste non possono riguardare solo competenze tecniche, ma è indispensabile affiancare lo sviluppo di skills legate all’infermiere come persona. Queste includono, tra le altre: abilità relazionali, comunicative, gestione dei conflitti, leadership, competenza emotiva e benessere psicologico.

Molto spesso questi aspetti vengono visti come legati al “carattere” della persona e come tale etichettati come caratteristiche stabili e immodificabili. Questa visione contribuisce a non dare sufficiente spazio formativo all’acquisizione di competenze che potrebbero aiutare l’infermiere del terzo millennio a meglio operare nella complessa realtà nella quale è inserito, sia come professionista, che come persona.

In virtù di questa complessità, il dipartimento di alta formazione del Massachusetts (USA) ha identificato le dieci competenze nucleari che occorrono all’infermiere del futuro e che devono essere inserite e potenziate all’interno dell’iter formativo.

Tra le competenze di base all’infermiere è richiesta la capacità di lavorare in gruppo; come abbiamo visto, infatti, l’infermiere è inserito molto spesso in un contesto lavorativo nel quale opera fianco a fianco ad altri colleghi e ad altre figure professionali.

Il teamwork in ambito sanitario è definito come due o più persone che interagiscono in modo interdipendente e che lavorano ad uno scopo comune, attraverso obiettivi misurabili, che beneficiano di una leadership che mantiene stabilità incoraggiando una discussione aperta ed il problem solving.

Lavorare in team, quindi, vuol dire collaborare attivamente al fine di prendere decisioni in modo condiviso per realizzare un obiettivo comune attraverso ruoli definitivi.

Un rapporto lavorativo basato su relazioni collaborative è importante, perché ci consente di beneficiare dell’esperienza/competenza altrui, ci permette di risolvere i problemi in modo più efficiente e collaborativo ed aumenta l’efficacia degli interventi.

Nelle relazioni interpersonali possono esserci divergenze sia legate al tipo di compito (cosa dobbiamo fare e come) che alla relazione (il comportamento della persona) e queste possono generare conflitti. Relazioni cronicamente conflittuali nel gruppo di lavoro sono correlate ad una peggiore performance lavorativa e maggiore assenteismo.

Quando entriamo in conflitto con altre persone appartenenti al nostro gruppo entrano in gioco le credenze che abbiamo sugli altri, ovvero quell’insieme di idee, opinioni e aspettative che nel corso degli anni ci siamo formati circa il comportamento degli altri nei nostri confronti. Possiamo paragonare queste credenze ad un paio di occhiali colorati: se da una parte ci permettono di vedere e quindi di avere un certo controllo e prevedibilità sull’ambiente che ci circonda, dall’altra possono farci da filtro e portarci a vedere le cose sempre allo stesso modo. Più saremo rigidamente ancorati ai nostri occhiali e più difficilmente saremo in grado di recepire nuove informazioni e punti di vista diversi, integrandoli con i nostri. Ma non solo, ovviamente le credenze che guidano il nostro comportamento sono anche riferite a noi stessi.

Come ci percepiamo all’interno dell’interazione sociale?

Il primo passo, quindi, per vivere meglio le inevitabili situazioni conflittuali che si verificano nel gruppo di lavoro, è quello di essere consapevoli del proprio stile relazionale.

Cosa succede quando stiamo entrando in conflitto con un’altra persona?

Potrebbe essere utile provare a riflettere sul nostro comportamento tipico, usuale, quando siamo in disaccordo con qualcuno:

  • cerchiamo di competere, controllare, dominare?
  • abbiamo bisogno di approvazione?
  • tendiamo a far finta che tutto vada bene e a negare il problema?
  • esprimiamo le nostre emozioni e diamo valore ed importanza a quelle degli altri?
  • Riflettere su queste domande può essere utile per notare comportamenti che tendiamo a mettere in atto in modo automatico, ma non basta: creare un clima collaborativo richiede un approccio strutturato e la condivisione di un modello prestabilito con il quale affrontare le situazioni a rischio.
  • Un ingrediente base affinché tutto ciò sia possibile è dato dalla Comunicazione.

Il soggetto umano è un essere comunicante, così come è un essere pensante, emotivo e sociale. La comunicazione non va pertanto considerata semplicemente come un mezzo e uno strumento, bensì come una dimensione psicologica costitutiva del soggetto. Egli non sceglie se essere comunicante o meno, ma può scegliere se e in che modo comunicare (Anolli, 2006).

Dunque comunicare è un processo intrinseco della natura umana, tuttavia è possibile comunicare in modo non efficace. Gli errori comunicativi possono avvenire a più livelli del complesso sistema nel quale l’infermiere è inserito: tra colleghi, con i pazienti ed i loro familiari, con altre figure professionali. Questo tipo di difficoltà si ripercuote in ogni caso sulla sicurezza dei pazienti; pensiamo ad esempio all’assenza di condivisione di informazioni critiche, all’errata interpretazione di informazioni o ai mandati ambigui e poco chiari. Tutti questi errori comunicativi mettono a rischio le procedure e la salute dei pazienti, oltre ad influire negativamente sul benessere organizzativo.

La comunicazione infermiere-paziente rientra nella comunicazione terapeutica quindi il lavoro dell’infermiere inizia già dal primo istante di relazione con il paziente. All’infermiere è dunque richiesto di saper comunicare in modo chiaro e conciso, mostrare attenzione e interesse alle domande, mostrarsi empatico, ma non solo: spesso assume il ruolo di ponte comunicativo tra medico e paziente. Proprio per questo deve riuscire a rendere fruibili le informazioni al paziente e ai suoi familiari, evitando tecnicismi e rendendosi disponibile ai chiarimenti, tutti ingredienti che favoriscono la compliance terapeutica.

Altro aspetto fondamentale è la capacità di ascoltare. Quando diamo tempo all’ascolto, l’approccio terapeutico riflette i bisogni del paziente, il quale sarà maggiormente disposto ad accettare e seguire quanto richiesto.

A tal proposito, la facoltà di medicina del Missouri ha inserito nel proprio programma formativo strategie di comunicazione sanitaria efficace per rispondere agli elevati costi che la dis-comunicazione comporta. Tra questi possiamo elencare alcuni utili e pratici spunti che è possibile da subito inserire nella propria routine lavorativa:

  • presentarsi e mettere a proprio agio il paziente;
  • chiarire il tipo di esami al quale verrà sottoposto e la loro durata;
  • cosa stiamo facendo e perché;
  • cosa gli aspetta nel prossimo futuro.

Nella comunicazione non c’è solo il messaggio esplicito, ovvero il contenuto che vogliamo comunicare all’altro, ma anche uno implicito che riguarda la relazione. Con queste semplici regole, quindi, non comunichiamo al paziente solo il contenuto del messaggio (cosa stiamo facendo, cosa deve aspettarsi, quanto tempo ci vorrà), ma gli stiamo anche dicendo:

sei una persona e ne teniamo conto;

  • il tuo tempo conta;
  • stiamo facendo del nostro meglio per farti avere le migliori cure;
  • quello che provi e quello che pensi per noi ha valore, vogliamo condividere le scelte con te.

Questo tipo di comunicazione migliora il clima emotivo e predispone a provare emozioni tipiche di una relazione cooperativa. Per fare questo è necessario aver acquisito competenza emotiva che si riferisce alla capacità di esprimere, comprendere e regolare le emozioni (Denham, 1998).

All’infermiere, lo abbiamo visto, sono richieste molteplici competenze. In questa complessità nella quale è chiamato ad operare non solo mette in campo le sue conoscenze tecniche, ma anche quelle relazionali ed emotive che inevitabilmente sono implicate in una relazione di aiuto.

In tutto questo scenario, quali sono le ripercussioni sul suo benessere psicologico? È inevitabile che in un lavoro cosi complesso, fatto di competenze sia tecniche che relazionali ed affettive, il livello di distress sia molto elevato e ciò è dimostrato da molteplici studi sul burn-out degli infermieri. Tuttavia, assenza di malattia non coincide con salute ed infatti, così come ci suggerisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è necessaria anche la presenza di benessere affinché si possa parlare di salute.

Al momento non sono molti i dati sulle dimensioni del benessere psicologico degli infermieri, ma sappiamo che interventi finalizzati al loro potenziamento hanno un ruolo protettivo verso la possibile insorgenza di patologie sia fisiche che mentali.

Abbiamo visto, quindi, che l’infermiere del terzo millennio è chiamato a lavorare in una vastità di contesti operativi e, in ognuno di questi, entra in relazione con persone e situazioni diverse che richiedono specifiche competenze. La sua formazione dovrebbe riguardare anche gli aspetti emozionali, psicologici e sociali che lo aiutino ad avere maggiore consapevolezza delle proprie ed altrui emozioni, pensieri e comportamenti, al fine di garantire il massimo livello di cure, ma anche di potenziare e assicurare il proprio benessere.

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