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COVID-19

Basta la salute

di Monica Vaccaretti

Basta la salute. Serve equilibrio tra i diritti, ha dichiarato il Ministro degli Interni Lamorgese. Tra i vari diritti in equilibrio, per me la salute è il bene, individuale e collettivo, più prezioso. Senza salute persino la libertà, che è inestimabile, perde la sua bellezza. Cosa farsene della libertà se, in mancanza di salute, non si può goderne pienamente? Farsi bastare la salute non è cosa da poco se dentro quella salute, salvaguardata protetta tutelata garantita, ci può stare il tuo mondo. Quello che ti fa stare bene. Basta la salute non è una magra consolazione quando non si ha altro, basta la salute è tutto ciò che è importante e che ci resta, specialmente quando ce n'è poca in giro ed è minacciata dagli eventi e dagli altri.

Quarta ondata: è l’uomo che fa la pandemia

Quarta ondata. Secondo inverno. E siamo qui, pieni di guai, canta Vasco nella sua ultima canzone. Persino il Pianeta è in sofferenza ed è pieno di guai e il guaio siamo noi. In Italia, nonostante il greenpass e quasi il 90% della copertura vaccinale, le nuove prime dosi crollano, le curve risalgono, il virus dilaga ampiamente tra i tredici milioni di non vaccinati under 12, le terze dosi non decollano, 2,7 milioni di adulti non ne vogliono sapere di vaccinarsi.

Siamo circondati da una Europa diventata nuovamente un immenso focolaio. Non ci vuole tanto perché il contagio valichi le Alpi o sconfini dall'Est.

Il virus fa soltanto il virus, è l'uomo che fa la pandemia e la fa continuare. E' l'indifferenza degli uomini che fa la differenza.

Certamente il vaccino fa la differenza clinica, ampiamente dimostrata, ma è il comportamento sociale e l'atteggiamento di pensiero di ogni persona che fa davvero la differenza perché il virus fa soltanto il virus, è l'uomo che fa la pandemia e la fa continuare. E' l'indifferenza degli uomini che fa la differenza. Che rende tutto una pena da una parte e una penosa impietosa voglia di normalità dall'altra. Mentre in Romania e Bulgaria si seppelliscono i morti in strada perché i cimiteri non bastano più, in Germania travolta dalla peggior ondata pandemica di sempre la gente festeggia euforica il Carnevale di Colonia. Nel resto d'Europa si pensa a come salvare, tra restrizioni e lockdown per i non immunizzati, ciò che resta del Natale, ugualmente tra abbuffate regali e vacanze sulla neve dopo quasi due anni di astinenza. Si sta consumando l'ennesima tragedia mentre si vogliono consumare le feste a tutti i costi, la ripresa non si può fermare.

Siamo qui poveri eroi a difendere quello che poi non dipende da lui.

Ci stanno richiamando in ospedale, uno dopo l'altra. Oggi è toccato a due di noi, una va in Terapia Intensiva Pediatrica e l'altra va in Malattie Infettive perché hanno riaperto il secondo piano Covid, il primo da qualche giorno non basta più. Non si sa chi resta e chi se ne va, lo sappiamo all'ultimo momento. E non per colpa del Covid, dipende dai tanti colleghi infermieri che non sono rimasti al loro posto e non hanno fatto il loro dovere assolvendo all'obbligo vaccinale. Ieri ne hanno sospesi altri 30, non saranno gli ultimi, ho perso il conto ormai. Si chiudono reparti, si propone di ridurre persino i posti letto per trovare forze nuove. Chi si è vaccinato va a riempire i vuoti nell'organico o lavora il doppio. Se tocca anche a me, mi chiedo dove sarò ricollocata, che mi piaccia oppure no.

Siamo qui soli e delusi a confondere quello che sei dentro quello che usi.

Sono dentro a una tuta Covid e una ffp3 da così tanto tempo che non ricordo più com'era indossare soltanto la divisa verde e mettere una semplice chirurgica durante gli interventi e le medicazioni chirurgiche. Non ricordo più che faccio ho e che faccia hanno gli altri. Mi sembra di essere diventata quello che sono dentro quello che uso. Sono fatta di tessuto di plastica e filtrante. Filtro il mio respiro. L'aria ambiente. Il fiato degli altri. Lascio fuori il virus e le persone. Mi scivolano addosso, sono repellente. Siamo stanchi, sconfortati. Ci sembra un lavoro senza fine. Molti sono contenti di tornare in ospedale, ritengono che far tamponi sia una prestazione da poco e che gli infermieri devono fare gli infermieri, tornare a curare i malati e non i sani per un greenpass. Siamo sottoposti ad uno stress lavorativo prolungato ma per alcuni l'incertezza di non sapere dove andrà e la prospettiva di ricominciare un'altra volta da un'altra parte in una situazione provvisoria per compensare una carenza di organico dà ancora più stress dello stress che già conoscono. Forse è meglio stare nello stress che si vive da tempo. Capisco che eseguire tamponi possa essere considerato umile e non prestigioso come essere in Rianimazione ma senza tamponi non si fa diagnosi di Covid-19. Ci vorrebbero riposi compensativi, riconoscimenti economici, meritocrazia. Un grazie. Intanto rimaniamo in pochi in prima linea. E mentre gli altri se ne vanno, cerco di pensare ad un giorno alla volta. Non ho la forza di pensare a domani e a dopodomani.

E quando non lo sai neanche perché lo fai ti basta piangere oppure ridere.

Mi sembra di essere tornata al novembre di un anno fa. Torno a casa distrutta, una doccia, un pasto a volte frugale a volte abbuffante, un letto per starci fino a domani. Ieri sera ho sentito l'intervista al primario della Terapia Intensiva di Trieste, ha fatto fare un reportage dentro il Covid. Sembra di essere tornati ai tempi di Bergamo e Brescia, anche se con minor incidenza di casi e morti la malattia non è cambiata. Mi viene da piangere. Invece ho bisogno di ridere.

Ti vuoi nascondere. Ti vuoi proteggere. Puoi proteggerti. Puoi nasconderti.

Continua Vasco Rossi. Dopo aver salvato la salute del mondo per mezza giornata, mi basta la salute. La mia. Dentro il luogo più sicuro, sano e silenzioso del mondo. Casa mia dove ritrovo la mia faccia allo specchio.

Infermiere

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