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Sette piani: una lettura infermieristica irrinunciabile

di Giordano Cotichelli

C'è un racconto di Dino Buzzati che interessa la dimensione della cura e della salute. Il titolo è "Sette piani", scritto nel 1939 e inserito successivamente nella raccolta dal titolo "Sessanta racconti".

La salute secondo Buzzati: un racconto per riflettere

fantasy

La storia vede il protagonista, Giuseppe Corte, ricoverarsi in un ospedale per fare degli accertamenti. Nulla di particolare, più delle formalità sanitarie che altro, se nonché l'ospedale in questione ha una particolarità: ogni piano – dei sette appunto che lo costituiscono – interessa una particolare peculiarità clinica, la quale però non è di natura specialistica, come si potrebbe essere tentati di pensare: la cardiologia al secondo piano, la medicina al terzo, le sale operatorie al sesto e così via. Niente di tutto questo, i piani in cui è suddiviso il nosocomio del racconto di Buzzati, riguardano la categorizzazione dei pazienti in base alla gravità della loro malattia. Al settimo piano, dove si ricovera il primo giorno Giuseppe Corte, sono accettati i pazienti che devono fare solo degli accertamenti diagnostici di poco conto e che, nella sostanza, trascorrono il tempo della degenza quasi fosse questo un periodo di riposo, una villeggiatura. Man mano che si scende, la gravità dello stato di salute aumenta fino ad arrivare al primo piano, dove le finestre sono chiuse, quasi sempre oscurate da veneziane abbassate. Lo stesso sguardo del degente dei piani alti ha quasi paura a indulgervi più del dovuto.

Dopo qualche giorno di permanenza, a Giuseppe Corte viene chiesto, con una scusa banale, di scendere al piano di sotto, in via del tutto temporanea. Ai suoi nuovi compagni di piano Giuseppe preciserà, sin da subito, che lui è del piano superiore dove, al più presto tornerà. Non sarà così e per il nostro inizierà una progressiva e fatale discesa verso il basso.

Il racconto è degno del miglior Buzzati, quello che ci ha accompagnato nei paesaggi introspettivi e desolati del "Deserto dei Tartari" e che in questo caso ci conduce in un cammino non meno psicoanalitico all'interno del mondo sanitario. Quando lo scrittore scrive il suo racconto si è in pieno periodo dello sviluppo dei grandi ospedali categorizzanti, suddivisi per specialità, dove l'individuo scompare per diventare un caso clinico. È l'epoca dei sanatori – cui probabilmente si ispira nella descrizione lo scrittore – istituti totali che accolgono pazienti affetti da TBC, cui la cura migliore offerta è quella dell'elio-terapia di montagna o del pneumotorace terapeutico, in casi di importanti e refrattari episodi di epistassi. La persona malata di TBC, molto spesso è più un detenuto che un paziente e in questo rischia una inesorabile discesa verso il basso, verso l’esclusione sociale di colui che ha una malattia inguaribile, in un tempo dove, ancora, l'uso degli antibiotici e di là da venire.

La lettura di sette piani conduce all'interno dell'animo umano, della disperazione e della solitudine della malattia, dell'accettazione temporanea di una condizione altra in attesa di un chiarimento, di un ritorno, di un miglioramento. L’illusione di poter essere ancora padroni del proprio destino, o di veder riconosciuta la propria reale condizione di vita diventa il tragico filo conduttore di un concetto di salute che diventa rappresentazione prima ancora di essere percezione e in alcun modo concreta valutazione.

Dal racconto di Buzzati ne è stata tratta una pièce teatrale a cura di Albert Camus (premio Nobel) e rappresentata in Francia negli anni '50 con il titolo: “Un caso clinico”. L'attore Ugo Tognazzi ne farà un film nel 1967: “Il fischio al naso”, e per la televisione, qualche anno dopo, Aroldo Tieri ne sosterrà la trasposizione della commedia di Camus. Tutte testimonianze artistiche che Buzzati coglie nel segno di rappresentare bene l'animo umano segregato all’interno della dimensione dell'istituzione totale che l'ospedale rappresenta e che trascina con sé, giù verso il basso, Giuseppe Corte. In questo gli altri protagonisti del racconto sono rappresentati dai medici e dagli infermieri che assumono quasi la veste di novelli traghettatori del povero sventurato verso l'altra riva degli inferi. Ora è il colloquio con un medico, ora l'ordine impartito da un primario e veicolato da un infermiere, in un modo o nell'altro viene pregevolmente rappresentato il mondo sanitario, la caducità della salute, la gerarchizzazione della cura e l'abbandono del corpo – offerto in mano ai sanitari – e della sua stessa prospettiva di vita. È un racconto breve, che si legge piacevolmente e che ha il pregio di offrire una efficace metafora del mondo sanitario e, nel suo piccolo, dell’assistenza e della professione infermieristica stessa. E per tale ragione, in qualità di infermieri, viene da pensare come ci si possa sentire nel condurre Giuseppe Corte verso il basso, o come si possa vivere e lavorare in una simile struttura, o ancor più di quale modello di salute si è portatori se questa è gerarchizzata in … sette piani. E ancora quanto attuale sia l’introspezione identitaria evocata da Dino Buzzati. Sette piani: una lettura infermieristica irrinunciabile.

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