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editoriale

Legge Gelli tra luci ed ombre ad un anno dall'emanazione

di Giuseppe Sasso

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Il disegno di legge (Alpa-) Bianco-Gelli venne acclamato come una rivoluzione sul tema della (sino ad allora) responsabilità medica, da promotori e sostenitori. A meno di un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore, voltando lo sguardo alle nostre spalle è immediata la presa d'atto di come tale intervento normativo abbia suscitato un gran numero di diatribe e dubbi. Penne e voci di giuristi assai autorevoli hanno valutato negativamente, nel suo complesso, il dettato normativo sulla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie e il dato di fatto è che attualmente gran parte della sua efficacia è sospesa, o forse incastrata, nell'impasse che essa stessa ha inevitabilmente trascinato con sé a vari livelli.

Riforma Bianco-Gelli, 16 mesi dopo. È possibile fare un bilancio?

In primo luogo si evidenza una paralisi nella mancata emanazione dei decreti attuativi relativi agli aspetti assicurativi: all'obbligo, previsto in capo ad ogni azienda sanitaria e socio -sanitaria, di dotarsi di un’adeguata copertura per danni derivanti da responsabilità civile non è ancora seguita la definizione dei caratteri essenziali di polizze (franchigie e massimali), autoassicurazione, azione diretta e fondo di garanzia.

Tale obbligo è altresì previsto per i professionisti della sanità per gli aspetti inerenti alla colpa grave. Pareri autorevoli individuano l'errore del legislatore nel concepire a livello sostanziale la copertura assicurativa per responsabilità professionale alla stregua della RCA. La causa principale del blocco va altresì individuata nell'entità dei risarcimenti sostenuti nell'ultimo decennio, per la quale l'Italia guida la classifica continentale (fenomeno che da tempo ha disincentivato l'attività assicurativa nel ramo di interesse per l'alea di rischio economicamente sconveniente).

Linee guida nazionali

Al pari l'attesa dei decreti attuativi resta insoddisfatta riguardo alla creazione del sistema di linee guida nazionali. Tale elemento venne ritenuto dai legislatori di vitale importanza per il collegamento diretto che il dettato normativo pone nell'individuazione della fattispecie esimente introdotta con l'articolo 590 sexies del codice penale.

Se di indubitabile valore sostanziale risulta la predisposizione di un database istituzionale di evidente utilità in tema di risk-management, d'altro canto la velocità con cui le Sezioni Unite della Cassazione penale sono dovute intervenire evidenzia una calcarea criticità interpretativa che la legge 8 marzo 2017 n.24 ha contribuito ad aggravare, che comunque prescinde la presenza o l'assenza di un sistema di linee guida accreditate a livello nazionale.

Responsabilità degli esercenti la professione sanitaria

La considerazione appena esposta apre lo spartito delle note più dolenti della riforma. È proprio quando il legislatore si addentra nelle stanze del diritto civile, penale e processuale che egli si limita ad arricchire e abbellire le soluzioni d'arredo presenti, mascherando alla vista del visitatore i difetti delle parti strutturali dei locali stessi, inadatti a divenire la stabile dimora di un ospite tanto esigente come lo è la responsabilità degli esercenti la professione sanitaria.

Già nel 2012 con la (riforma Balduzzi) legge 8 novembre 2012 n. 189 si registrò un analogo tentativo, meno architettonico, che non per nulla accese frizzanti dibatti dentro e fuori le aule giudiziarie.

Proprio allora gli esponenti più autorevoli avevano sottolineato la necessità di provvedere alla creazione di un istituto ad hoc per la responsabilità medica, totalmente concepito e strutturato ex novo, vista la specificità della materia.

I dibattiti sull’opportunità di mantenere in vita il contratto sociale sembrarono allora volgere ad una svolta definitiva e in principal modo il Tribunale di Milano colse le dovute argomentazioni per dichiararne il decesso. Ad oggi le principali disquisizioni tecnico-giuridiche si orientano sui difetti di carattere procedurale che la riforma ha palesato in sede civile e dei limiti concettuali dell'esimente da colpa grave (applicabile in caso di responsabilità per imperizia ma rispetto delle linee guida o delle buone pratiche).

A nostro sommesso avviso non sono risibili le probabilità che la tematica avvolgente il contratto sociale si possa riaccendere alla luce dell'emanazione delle norme in tema di consenso informato contenute nella legge 22 dicembre 2017 n. 219 (che si occupa inoltre di disposizioni anticipate di trattamento, fine vita, cure palliative, accanimento terapeutico e pianificazione condivisa delle cure).

A mezzo della riforma Balduzzi il legislatore volle misconoscere tale contratto atipico riconducendo la responsabilità civile da malpractice sanitaria alle obbligazioni di natura extracontrattuale a norma dell'articolo 2043 c.c.

Secondo la teoria del contratto sociale, istituto di creazione giurisprudenziale, il rapporto obbligatorio tra professionista e assistito discende direttamente dall'obbligo di garanzia scaturente dal combinato degli articoli 2 e 32 della carta costituzionale. Alla luce della consacrazione del diritto di autodeterminazione avvenuto con la legge 219/2017 è ormai indiscutibile la natura sinallagmatica dell'alleanza terapeutico-assistenziale, affermata in evidente chiave dogmatica; e tale configurazione rimette in discussione il tentativo finora operato di svincolare la prestazione sanitaria del singolo professionista, operante in struttura sanitaria o socio-sanitaria, da uno schema tipicamente contrattuale, allorché sprovvisto di una fonte contrattuale (nel rapporto col paziente) indipendente dal contratto di spedalità.

Le norme sul consenso informato (articolo 1 della legge 219) specificano, come è logico che sia, che già il dialogo col paziente è tempo di cura: le dovute informazioni strumentali ad una corretta e completa rappresentazione da parte del destinatario del processo di cura (propedeutica alla corretta formazione della di lui volontà e della successiva manifestazione) sono innegabilmente il presupposto per l'esatto esercizio del diritto di autodeterminazione, in uno schema di reciprocità sovrapponibile a quello contrattuale.

Evidenza di ciò il fatto che prontamente le compagnie sono corse ai ripari prevedendo clausole di esclusione della copertura assicurativa per risarcimento del danno derivante da responsabilità per vizi dell'informativa dovuta al paziente (mancanza, incompletezza, inesattezza, inadeguatezza, ecc.).

Legge Gelli, non solo aspetti negativi

Tuttavia sarebbe inopportuno estendere doglianze all'intera riforma: di certo positiva è l'integrazione della consulenza tecnica d'ufficio mediante la nomina di professionisti (che affiancano il medico legale), iscritti negli apposti albi, dotati di formazione specialistica e comprovata perizia nella disciplina sanitaria cui afferisce l'oggetto del procedimento.

Istanze di connotazione anglosassone che all'esperienza anglosassone dovrebbero portarci pragmaticamente a volgere lo sguardo. Evitando di dedicare gli sforzi esclusivamente a patetiche aspirazioni emulative (ovviamente sono stati analizzati e proposti modelli di gestione assicurazione-responsabilità-risarcimento/indennizzo, su tutti quello scandinavo e quello francese).

Dovremmo ragionevolmente lasciarci orientare dal vissuto di chi prima di noi ha subito e fronteggiato le tappe dell'assalto all'azione risarcitoria e della (conseguente) medicina difensiva.

E in tal senso l'esperienza statunitense custodisce pillole di saggezza pratica di non poco conto: in "The cost of accidents: a legal and economic analysis" (Yale University Press, 1970), l'emerito giurista di origine italiana Guido Calabresi analizzò il funzionamento del meccanismo di responsabilità nei vari sistemi (aziendale, assicurativo e per colpa) cercando anche di capire quanto un efficiente sistema economico possa essere anche 'giusto'; nel suo lavoro individuò tra le varie evoluzioni di sistema la "over defence", predicendo ciò che poi si sarebbe sostanziato, in sanità, nella medicina difensiva.

Successivamente, al calare della piaga dei contenziosi per responsabilità medica, venne osservato tuttavia che il dato non fosse direttamente collegato all'errore in sé (anche grave), quanto piuttosto al livello di efficacia della comunicazione col paziente e/o con i suoi familiari (Physician's Financial News 2002, 20:S10).

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