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Area forense

Consenso informato, le origini e i casi celebri

di Redazione

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La casistica su un argomento delicato come il consenso informato ha avuto inizio con celebri casi negli stati uniti d’America con un caso simbolo a cui ne sono seguiti altri non meno noti fino al materializzarsi nel ventesimo secolo dell’informed consens, criterio che presuppone ed ingloba non solo l’importante e fondamentale autonomia decisionale del malato, ma anche l’essenziale elemento oggettivo costituito dall’informazione.

Un viaggio tra i contenziosi sul tema consenso informato

Il più noto evento di contenzioso si ritrova con il caso Slater nel 1767, quando il paziente si era lamentato della condotta incongrua e lesiva del diritto alla corretta informazione e consenso dei medici Baker e Stapleton, che nella cura di un arto fratturato, dopo aver rimosso i bendaggi valutando la non corretta guarigione ossea, avevano arbitrariamente provveduto a ri-fratturare l’arto per provare a ridurla per poi in seguito bloccarlo in via sperimentale con una imbracatura.

I due medici a causa dell’azione promossa dal signor Slater vennero portati in giudizio e condannati per aver agito con negligenza, imperizia, nonché per aver agito senza preventivamente ottenere il consenso del malato alle “cure”. Nelle motivazioni della sentenza inoltre i giudici sostenevano che l’atto medico era stato compiuto senza consapevolezza del paziente che aveva tutto il diritto di scegliere se lo stesso fosse corretto.

L’accaduto mostra chiaramente quanto fosse asimmetrica la comunicazione, difatti nella vecchia concezione di medicina per un retaggio culturale che pregnava il rapporto medico-paziente, l’ultimo tendeva ad accettare qualsiasi trattamento, poiché posto in essere da un medico per il solo fatto che lo scienziato era indiscutibile depositario della scienza anche quando gli esiti erano contrari all’arte praticata.

Circa 35 anni dopo passando per i casi Carpenter (1871), Mohr (1905), Schoendorff (1914), fino ad arrivare al caso Terri Schiavo (2005), si verifica un ulteriore e importante svolta dottrinale i cui concetti hanno costituito la base del Codice di Norimberga: il 19 dicembre 1946 a Norimberga si apriva il processo ai medici nazisti davanti a un tribunale militare composto solo da magistrati statunitensi; a differenza degli altri giudizi condotti contro i principali criminali di guerra che furono celebrati da un tribunale militare nel cui collegio figuravano i rappresentanti dei quattro paesi vincitori, contenente non solo gli essenziali principi di base che devono ispirare e guidare le sperimentazioni cliniche moralmente accettabili sull’uomo, ma anche i suoi fondamentali diritti riguardo gli atroci esperimenti condotti su esseri umani con dichiarati obiettivi militari da quei medici perfino più zelanti di quanto volessero e prevedessero gli stessi programmi sperimentali (tutti condannati di cui sette alla pena capitale), non sono pochi quelli che affermano che la prima e chiara formulazione internazionale sul consenso informato sia contenuta e chiaramente esposta nel Codice di Norimberga.

In Italia le evoluzioni giuridiche e dottrinali sono arrivate in epoca successiva pur avendo le stesse valenze e raggiungendo gli stessi significati, il che evidenzia come nel nostro contesto sociale abbiano agito prevalentemente mentalità e radicati sentimenti culturali, tradizionali, religiosi e morali orientati da un lato a respingere concettualmente l’autonomia del malato in relazione alla sua salute e alla sua vita e dall’altro a relegare il consenso e a mettere quasi in disparte la volontà del paziente che, fino a qualche decennio fa, aveva il solo dovere di curarsi e l’obbligo di farsi curare.

Celebre, discussa e criticata la sentenza di Firenze sul caso del professor Massimo: condannato per il reato di omicidio preterintenzionale per aver sottoposto un’anziana paziente ad un intervento chirurgico demolitivo (resezione addomino-perineale con necessaria colostomia sinistra) non concordato né consentito ed in completa assenza di necessità ed urgenza terapeutica in grado di giustificarlo. Alla condanna è seguita l’inevitabile radiazione dall’albo professionale.

Questo caso ed altri successivi, dai caratteri più o meno analoghi, hanno posto e pongono tuttora problemi, problematiche e problematicità dottrinali, giuridiche e medico-legali di non agevole soluzione.

Il consenso informato è alla base del rapporto medico-paziente e non può prescindere dall’evoluzione che quest’ultimo ha avuto nel tempo, per cui si è passati da una situazione di paternalismo del medico ad una di centralità del paziente, che gode della più piena autonomia, in ottemperanza soprattutto agli articoli 13 e 32 della Costituzione che affermano rispettivamente: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione e perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legga, e che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge; la legge non può in alcun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Quindi è necessario spendere opportunamente il giusto tempo nell’informativa all’assistito, ricordando sempre e comunque che l’atto di consenso espresso con firma non deve essere mai considerato sostitutivo del colloquio informativo, bensì integrativo e idoneo a tutelare la legittimità del percorso qualora fossero implicati procedimenti giudiziari.

  • Articolo a cura di Erasmo Spinosa - Infermiere

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