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Covid-19 tra salute, sicurezza e diritti

di Redazione

Il lockdown ha rallentato tutte le attività sanitarie non connesse alla cura di pazienti affetti da Covid-19, tra cui quelle erogate dai servizi che si occupano della salute mentale. Il primo studio al mondo sulle conseguenze psicopatologiche correlate allo stress dovuto dalla pandemia in individui affetti da disturbi mentali importanti è stato condotto dall’Università Federico II di Napoli e pubblicato sulla rivista Psychological Medicine. Questo studio ha messo alla luce che le persone affette da disturbi mentali hanno manifestato un disagio correlato alla pandemia molto più grave rispetto al resto della popolazione a causa di maggiore stress, ansia generalizzata e sintomi depressivi tali da poter portare allo sviluppo di una sintomatologia severa.

Diffusione su scala mondiale del Sars-CoV-2 e l’instaurarsi dello stato di emergenza sanitaria

Il lockdown ha rallentato tutte le attività sanitarie, anche quelle che si occupano della salute mentale

Alla fine del mese di dicembre 2019 nella città di Wuhan, in Cina, si verificarono diversi casi di polmonite ad eziologia non nota, molti dei quali riferirono un’esposizione al Wuahn’s South China Seafood City Market. Il 9 gennaio 2020 il CDC (Centro di Controllo e Prevenzione delle Malattie) cinese identificò un nuovo coronavirus come agente eziologico di questa patologia; ciò portò l’OMS a dichiarare lo stato di allerta il 22 gennaio 2020.

In Italia il Consiglio dei Ministri dichiarò lo stato di emergenza sanitaria nazionale il 31 gennaio 2020, data in cui ha iniziato a stanziare dei fondi necessari all’attuazione delle misure precauzionali e in cui ha iniziato a formarsi il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) con competenze di consulenza e supporto relative all’emergenza. Il primo caso di Covid-19 sul nostro territorio nazionale è stato identificato il 20 febbraio 2020 e la task force nazionale istituita per contrastare l’emergenza passò dalla “fase preparatoria” a quella di “risposta epidemica”.

L’inizio della fase pandemica e la conseguente diffusione acuta su territorio nazionale ha indotto il Governo italiano a dichiarare un lockdown nazionale che ha condotto tutte le regioni ad attivare misure di contenimento della trasmissione. Fino al 20 marzo 2020 si è osservato un rapido aumento dei casi e della mortalità con un rapido sovraccarico dei servizi assistenziali nelle regioni più colpite.

L’OMS ha attribuito alla pandemia da Covid-19 le seguenti caratteristiche:

  • Velocità a scala, ossia diffusione rapida in tutto il mondo della malattia che ha portato ad un sovraccaricarsi anche dei sistemi sanitari più resilienti
  • Gravità, in quanto più del 20% dei casi è grave/critico e la letalità è superiore al 3%, rilevandosi più elevata nei gruppi di persone con età più avanzata e affetti da co-morbilità
  • Grave impatto sociale ed economico dato dalle misure prese per controllare la trasmissione, il quale ha portato ad un forte impatto sui sistemi sanitari e sociali

Dal 21 marzo al 4 maggio 2020 è iniziata la fase post-acuta caratterizzata da un lento e graduale ripristino delle funzioni assistenziali e sanitarie, favorito dalla riduzione dei casi di contagio. Da maggio abbiamo assistito ad una riapertura graduale delle attività lavorative, commerciali e ludiche e un progressivo ripristino della mobilità intra-regionale e internazionale.

Le regioni si sono attivate per potenziare le attività di prevenzione e controllo dell’infezione, aumentando gli accertamenti diagnostici e le modalità di contact tracing. Verso fine agosto 2020 si è riscontrato un lieve, ma progressivo aumento dell’indice di contagio Rt, il quale ci dice quante persone possono essere in media contagiate da una persona sola in un certo periodo di tempo.

Per affrontare la fase autunno-inverno lo Stato ha potenziato: il coordinamento nazionale, le strategie di comunicazione del rischio per accrescere la consapevolezza della popolazione e contrastare le fake news, le attività di sorveglianza attraverso la costruzione di team di risposta rapida, le attività di IPC (Infection, Prevention and Control), la gestione clinica dei casi, le attività di ricerca su farmaci e vaccini per contrastare il virus e la presenza di terapie intensive.

Queste ultime da marzo 2020 a fine aprile 2020 erano giunte a saturazione, nonostante l’allestimento di nuovi letti dedicati alla gestione intensiva fuori dalle aree di rianimazione. Durante la primavera del 2020, a Bergamo, territorio italiano maggiormente colpito da Covid-19 durante la prima ondata, i posti di terapia intensiva, aumentati del 200% rispetto alla capienza usuale, vennero interamente occupati.

Sulla base degli scenari che l’Italia si trovata a vivere dall’inizio della stagione autunnale, il 6 novembre 2020 è stata divisa in tre diverse aree di rischio (zona gialla, arancione e rossa), con restrizioni differenti in base alla gravità della situazione epidemiologica. Dall’inizio della pandemia a inizio novembre 2020 (7/11/2020) i casi totali di Covid-19 sono stati 902.490, di cui 41.063 deceduti.

La trasmissione di questo nuovo virus rispetto al virus SARS-CoV emerso nel 2002 ha portato ad immediati effetti negativi su larga scala, perché il periodo di incubazione è più lungo (mediamente 5-6 giorni) ed è in grado di prolungarsi anche per settimane dopo la comparsa dei primi sintomi, i quali possono essere lievi.

Inoltre, la presenza di numerosi casi asintomatici e paucisintomaci che possono trasmettere l’infezione aumenta il rischio di contagio. Proprio per questo motivo sono stati sin da subito importanti i protocolli di prevenzione e informazione riguardanti i dispositivi di protezione individuale (DPI) da indossare per diminuire la probabilità di trasmissione del virus anche dei casi asintomatici.

In assenza di farmaci efficaci e di un vaccino, SARS-CoV2 ha provocato dal 31/12/2019 al 18/9/2020 oltre 30 milioni di casi confermati di infezione a livello mondiale. Per l’ECDC (European Centre for Disease, Prevention and Control) ci sono cinque obiettivi che devono essere seguiti per rendere efficaci le operazioni di testing:

  • Controllo della trasmissione
  • Monitoraggio dell’incidenza, dell’andamento e dalla valutazione della gravità nel tempo
  • Rilevazione dei cluster o dei focolai in contesti specifici
  • Prevenzione della reintroduzione del virus nelle aree che hanno raggiunto un buon controllo

I test che ad oggi stanno aiutando il contenimento e il monitoraggio dei casi di infezione sono di tre tipi diversi:

  1. Test molecolari che, mediante tampone, identificano in modo altamente specifico e sensibile uno o più geni bersaglio del virus presenti nel campione biologico
  2. Test antigienici rapidi che, mediante tampone, valutano la presenza del virus nel campione clinico; a differenza dei primi questi servono come strumento di screening perché andando ad agire sugli antigeni sono meno specifici
  3. Test sierologici di tipo indiretto che rilevano la presenza di anticorpi specifici che indicano infezioni pregresse o in atto

Gli effetti dell’emergenza sanitaria sui servizi di salute mentale

La pandemia in atto ha portato a delle negative conseguenze indirette sulla cura delle altre malattie presenti nel mondo. Dal mese di marzo 2020 la continuità terapeutica di importanti malattie croniche è stata compromessa dal Covid-19. La situazione è stata denunciata da alcune importanti fondazioni come la Fondazione Italiana per il Cuore oppure la Fondazione Italiana di Ricerca sulle Malattie dell’Osso (FIRMO).

Il presidente dell’Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione, Antonio Tomassini ha affermato: Da quanto avvenuto nell’emergenza Covid-19 si deve imparare a dare un nuovo peso alla cronicità, soprattutto a quella dei pazienti più a rischio, che più rischiano di essere penalizzati dalle difficoltà di accesso alle cure. Abbiamo di fronte una grande occasione: ripensare e semplificare i modelli di assistenza per essere più vicini alle esigenze dei pazienti, limitando sempre di più la burocrazia.

La salute mentale ai tempi del Covid-19

Il lockdown ha rallentato tutte le attività sanitarie non connesse alla cura di pazienti affetti da Covid-19, tra cui quelle erogate dai servizi che si occupano della salute mentale. Il primo studio al mondo sulle conseguenze psicopatologiche correlate allo stress dovuto dalla pandemia in individui affetti da disturbi mentali importanti è stato condotto dall’Università Federico II di Napoli e pubblicato sulla rivista Psychological Medicine.

Questo studio ha messo alla luce che le persone affette da disturbi mentali hanno manifestato un disagio correlato alla pandemia molto più grave rispetto al resto della popolazione a causa di maggiore stress, ansia generalizzata e sintomi depressivi tali da poter portare allo sviluppo di una sintomatologia severa.

Lo studio aggiunge anche che la situazione si aggrava laddove le condizioni socioeconomiche sono più complesse. I diversi servizi sanitari che si occupano di salute mentale hanno cercato con metodi innovativi di garantire il follow-up da remoto degli utenti presi in carico, così da monitorare in modo continuativo le loro condizioni di salute mentale.

Il Servizio di Psichiatria e Psicologia di Napoli diretto da Andrea Bartolomeis ha creato un vero e proprio Ambulatorio Virtuale di Psichiatria e Psicologia che ha sfruttato il monitoraggio attraverso la telemedicina. Naturalmente è importante che questi soggetti vengano monitorati non solo dal punto di vista sanitario ma anche da quello psicologico, sociale ed economico.

Il CPS di zona 4 dell’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano ha svolto questo lavoro di follow-up attraverso chiamate di monitoraggio costanti e continuative ai pazienti presi in carico per monitorare le loro condizioni di vita e la eventuale mancanza dei beni di prima necessità, coinvolgendo nel sostegno di questi soggetti le associazioni presenti sul territorio. Il Dipartimento, inoltre, ha attivato il servizio di psicologia per i famigliari che avevano perso i congiunti a causa del Covid-19, uno spazio di “primo soccorso” psicologico in grado di fornire un aiuto umano, di sostegno e psicologico a queste persone.

La condizione degli operatori sanitari durante la pandemia

Gli operatori sanitari si sono da subito attivati per fronteggiare con la loro professionalità, umanità e competenza l’emergenza. I dati pubblicati da Amnesty International aggiornati al mese di ottobre 2020 evidenziano che oltre 230.000 operatori sanitari nel mondo hanno contratto il Covid-19, di questi oltre 7000 sono morti, di cui 241 in Italia. In almeno 31 paesi del mondo gli operatori sanitari hanno protestato pubblicamente per le condizioni inadeguate di lavoro durante l’emergenza.

L’OMS ha affermato che il primo passo per tutelare la salute del personale sanitario durante l’emergenza è l’attuazione di tutte le misure necessarie a proteggerne la sicurezza occupazionale. Il datore di lavoro deve sempre garantire le forniture adeguate dei dispositivi di protezione individuali protettivi e preventivi.

Anche la salute mentale degli operatori sanitari è un aspetto che deve necessariamente essere salvaguardato e monitorato durante un’epidemia. Da alcuni studi si rileva che, rispetto ad altre situazioni di emergenza come le catastrofi naturali, durante un’emergenza sanitaria gli operatori possono essere colpiti da un importante stress psicofisico dovuto principalmente alla preoccupazione di contagiarsi e di contagiare pazienti e familiari. Inoltre, il carico di lavoro aumentato riduce il confronto con i colleghi e aumenta la probabilità che possano emergere emozioni di rabbia, frustrazione o ansia.

Il 6 marzo 2020 l’OMS ha diffuso un documento rivolto agli operatori sanitari contenente alcune raccomandazioni necessarie per favorire la gestione dello stress dovuto all’emergenza sanitaria. Di seguito ne verranno elencate alcune:

  • Facilitare l’accesso ai servizi di supporto psicologico in via telematica
  • Riferire feedback positivi utili a rafforzare il valore del lavoro svolto
  • Promuovere il lavoro in team favorendo il sostegno reciproco
  • Garantire una buona comunicazione fornendo al personale aggiornamenti precisi su ciò che sta accadendo

Per far fronte alla necessità degli operatori sanitari di raccontare quello che stava e sta ancora oggi succedendo è nato il progetto narrativo “Scriviamo la storia” avviato dalla Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI). Davanti a queste situazioni raccontare e condividere è importante, non solo perché permette di far conoscere all’esterno quello che sta succedendo e per documentare episodi salienti della storia dell’umanità, ma anche perché permette ai protagonisti di queste vicende di dare senso a quello che vivono, di renderlo comprensibile prima di tutto a sé stessi e di generare pensieri che attivano la resilienza.

La resilienza, ossia la capacità dell’individuo di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, è stata ed è ancora oggi la risposta più idonea e adeguata a fronteggiare l’emergenza. Siccome la resilienza porta ad una ristrutturazione del sistema che non può tornare esattamente come prima essa dovrà essere anche una delle caratteristiche essenziali della fase post pandemia.

Reazione della società alle misure di contenimento per limitare la diffusione del virus

Molti individui hanno faticato a far emergere la loro componente resiliente a causa di diversi fattori, tra cui lo stress causato dalle numerose limitazioni della libertà. Questa situazione eccezionale ha richiesto, infatti, l’adozione di misure eccezionali che hanno limitato le libertà civili per concentrarsi sul diritto alla salute, che non solo è un diritto primario dell’individuo ma è anche un interesse dell’intera comunità.

I diritti costituzionali che sono stati limitati o annullati dai provvedimenti sino ad ora adottati sono stati: la libertà personale, la libertà di circolazione e di soggiorno, la libertà di riunione, il diritto di associazione, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, il diritto di agire in giudizio e di difesa di giudizio, il diritto per il condannato di essere rieducato e il diritto all’istruzione e alla cultura.

Azzarriti, docente di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, sottolinea l’importanza di queste limitazioni in questo delicato periodo di pandemia, a patto che esse siano del tutto limitate nel tempo. Nel concetto di temporaneità risiede il rispetto del singolo cittadino al quale non viene tolta la libertà ma gli viene richiesto di essere responsabile verso la collettività e di comprendere le scelte prese a fronte della situazione.

La responsabilità può essere definita come la possibilità di prevedere le conseguenze del proprio comportamento e durante la pandemia ognuno di noi si è direttamente confrontato con questa parola. La convivenza con il senso di responsabilità di fronte alle restrizioni che hanno limitato la libertà non è stata per tutti facile e nei casi in cui si è rivelata difficoltosa è stato essenziale, ancora una volta, il supporto dei servizi di cura che hanno saputo attrezzarsi con la telemedicina e la teleriabilitazione.

Uno sguardo di speranza al futuro

Ad oggi sentiamo ancora parlare della correlazione tra il senso di responsabilità e la pandemia in corso, sia per quanto riguarda le riproposte misure di prevenzione che ancora una volta vedono una limitazione della nostra libertà che per l’opportunità di vaccinarci contro il Covid-19. La campagna di vaccinazione partita in tutta Europa il 27 dicembre 2020 con il Vaccine Day, in Italia ha raggiunto il milione di dosi di vaccino somministrate al 15 gennaio 2021. È grazie ai progressi della scienza che abbiamo avuto la possibilità di ottenere un vaccino contro il virus Sars-Cov-2 in tempi celeri rispetto a quelli abituali.

Dobbiamo però riconoscere che, ultimamente, i politici e i governi stanno sopprimendo la scienza con la scusa di farlo nell’interesse pubblico, per supportare l’innovazione e portare i prodotti sul mercato a una velocità senza precedenti. Se i governi continuano ad annunciare comunicazioni legate alla scienza tramite comunicati stampa poco chiari essa continuerà ad essere soggetta a manipolazioni e messa in discussione. La politicizzazione della scienza tende a sopprimerla e ad arricchire chi detiene il potere; è proprio quando la buona scienza viene soppressa che le persone muoiono. Per salvaguardare la scienza è fondamentale la piena e trasparente divulgazione degli interessi del governo, l’approvvigionamento dei test diagnostici e la consegna dei vaccini.

L’Italia dovrà presentare alla Commissione Europea nell’ambito del Next Generation EU, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un programma di investimenti per rispondere alla crisi pandemica in atto. Le sfide di questo Piano sono quattro: migliorare la resilienza e la capacità di ripresa del nostro Paese, ridurre l’impatto economico e sociale della crisi pandemica, sostenere la transizione verde e digitale e innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione.

Queste sfide verranno affrontate lavorando in sei direzioni:

  1. Digitalizzazione, innovazione e competitività
  2. Rivoluzione verde e transizione ecologica
  3. Salute
  4. Infrastrutture per la mobilità
  5. Istruzione, formazione, ricerca e cultura
  6. Equità sociale, di genere e territoriale

Dobbiamo riconoscere però che i fondi messi a disposizione dal Governo spesso creano delle limitazioni. È importante, dunque, che le associazioni e i diversi settori intervengano proponendo un piano d’azione trasversale al PNRR che possa lavorare per garantire la ripresa, basandosi sulla resilienza.

  • Articolo a cura di Martina Viola - Educatrice professionale

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