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Furbetti del cartellino, 89 indagati all’Ifo di Roma

di Redazione Roma

Era un sistema all’apparenza inattaccabile: gli indagati si organizzavano fra loro per timbrare il cartellino al posto dei colleghi, ma anziché lavorare uscivano durante l’orario di servizio per fare compere, gite al mare o, in taluni casi, anche un secondo lavoro. I fatti risalgono fra ottobre 2018 e giugno 2019. Adesso, per tutti loro, è scattata l’accusa di falso e truffa aggravata e continuata ai danni di un ente ospedaliero finanziato dal Ministero della Sanità e della Regione Lazio.

Infermieri e Oss tra gli 89 furbetti del cartellino all'Ifo di Roma

Una maxi inchiesta condotta dalla Procura di Roma ha rivelato un sistema di false timbrature e presenze artificiose agli Ifo.

C’è chi nel corso della giornata di lavoro, mentre i pazienti oncologici erano in attesa di essere visitati, andava a fare la spesa al supermercato – un film già visto, quest’ultimo – o a riparare l’auto dal meccanico, andare per negozi, svolgere attività sportiva (anche qui dei precedenti).

E ancora, chi approfittava per riaccompagnare i figli a casa da scuola o per una gita al mare fino a chi svolgeva un secondo impiego e quindi, più “semplicemente”, in quei momenti era occupato su quel fronte. Una maxi inchiesta condotta dalla Procura di Roma ha rivelato un sistema di false timbrature e artificiose presenze agli Ifo (Istituti fisioterapici ospedalieri) – soggetto giuridico pubblico che dal 1939 gestisce l’istituto tumori Regina Elena e l’istituto dermatologico San Gallicano – che vede coinvolti 89 furbetti del cartellino tra infermieri (44), dirigenti medici (22), tecnici radiologi (14), assistenti amministrativi (5), dirigenti biologi (2), un operatore socio sanitario e un tecnico di fisioterapia. Tra i medici coinvolti ci sarebbe anche un virologo, volto noto poiché intervistato spesso nel corso della pandemia. Attendo l’esito delle indagini, si sarebbe limitato a dire.

I fatti al vaglio degli inquirenti rimandano al periodo pre-Covid: dall’ottobre del 2018 al giugno del 2019. L’indagine, delegata ai carabinieri, ha preso il la da una denuncia presentata dall’Ifo, parte lesa nella vicenda.

Secondo la procura gli 89 indagati si sarebbero spalleggiati tra loro per timbrare il cartellino al posto del collega, così da farlo figurare regolarmente in servizio e avrebbero escogitato differenti modalità per raggirare lo Stato e farsi pagare – talvolta anche gli straordinari – anche quando non c’erano.

E i tempi dei “furbetti” sarebbero stati scanditi da momenti di convivialità irrinunciabili: cappuccino e cornetto la mattina, pausa caffè a mezzogiorno, merenda il pomeriggio. Insomma, privilegiando il loro privato piuttosto che dedicarsi alle mansioni previste dal contratto di lavoro. Ore sottratte al lavoro retribuito dalla Regione Lazio per cui, adesso, sono indagati a vario titolo con l’accusa di falso e truffa aggravata e continuata ai danni di un ente ospedaliero dal pm Alessandra Fini. Per tale contestazione, si rischia come sanzione disciplinare fino al licenziamento.

Per far emergere tale sistema di complicità i militari hanno posizionato delle telecamere nascoste nei pressi degli apparecchi per la timbratura. Soltanto in questo modo è stato possibile apprendere che spesso, a “beggiare”, non era il titolare del cartellino bensì un suo collega. Ma non solo. Un ulteriore riscontro si è ottenuto grazie a pedinamenti classici ed elettronici (tracciamento dei segnali del gps lasciati da telefoni cellulari e vetture, nonché dai tabulati telefonici). Adesso l’Ifo di Roma sta attendendo di conoscere in che modo si concluderanno gli accertamenti della magistratura prima di prendere eventuali provvedimenti disciplinari.

Giornalista
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