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Editoriale

Elena, ancora una morte durante la contenzione

di Giordano Cotichelli

La notizia è quasi scomparsa tra le pieghe delle narrazioni estive fatte di crisi governative infinite, morti illustri, commemorazioni e le solite raccomandazioni per ripararsi dal "caldo africano" (anche se fra un po’ si comincerà a parlare anche del caldo siberiano, fra incendi e fughe radioattive varie). Poche righe in cronaca. Qualche passaggio veloce, un po’ di retorica mista a pietismo e scandalismo vario. Il tutto già perso nel dimenticatoio della memoria, dell’usa e getta delle notizie; delle persone.

Basta morire legati in un letto

Successivamente parleranno periti, dirigenti, sindacalisti e politici; purtroppo non potrà avere voce in capitolo Elena. Né lei, né le tante come lei che si chiamavano:

Francesco, morto a 59 anni il 4 agosto del 2009, o Agostino, 45, morto nel suo letto di contenzione il 23 dicembre 2018, o Giuseppe, deceduto dopo sette giorni di contenzione il 22 giugno 2006. Oppure, andando indietro ancora nel tempo, Antonietta, morta il 31 dicembre 1974, a 40 anni, anche lei vittima di un incendio mentre era contenuta al letto.

E molte altre storie potrebbero aggiungersi in un triste e vergognoso elenco a denuncia di qualcosa che non dovrebbe mai accadere nei confronti di chi sta male, di chi ha bisogno, di chi soffre di un disagio. Nei confronti di nessuno.

Ogni vittima della contenzione riporta indietro di anni le lancette dell’orologio di una società moderna, di una medicina all’avanguardia, di un’assistenza a misura d’uomo. Non c’è versione aggiornata del Codice deontologico degli infermieri dal 1999 ad oggi in cui non vi sia un articolo che prenda in considerazione la contenzione, dove però la dimensione morale sembra quasi piegarsi ai diktat della contingenza, delle risorse, dell’eccezionalità.

Il risultato alla fine è qualcosa di stridente, fuori fuoco, che mal si adatta alla rappresentazione asettica, neutrale, quasi scontata, di una professione che invece vive su di se, direttamente, o indirettamente assieme ai pazienti, tutte le contraddizioni e le disuguaglianze, le storture e i torti di una società stratificata, iniqua ed ingiusta.

Non si può restare passivi davanti alla morte di una paziente

Questo per dire che non si può restare passivi davanti alla morte di una paziente, di tanti pazienti; rassegnarsi a ciò che ineluttabile non è. Ineluttabile non è. Si perché è qualcosa contro cui si può lottare. Da subito, al fine di evitare che permangano le condizioni di degrado e miseria che stanno all’interno di questo percorso vizioso che è il taglio delle risorse umane, istituzionali, sociali, culturali che sta trasformando il nostro paese in una grande camera di contenzione. Basta vittime.

Basta morire legati, in un letto o in qualsiasi altro luogo. Basta abbassare la testa. È ora di alzare lo sguardo, per guardare con empatia e commozione la famiglia di Elena! Alzare lo sguardo per sfidare chi sbraita di voler riaprire i manicomi per poter accaparrarsi qualche voto in più, o qualche tessera sindacale facile. Alzare lo sguardo per difendere la dignità dei pazienti, dei professionisti e delle persone. Tutte, ma in particolare quelle più fragili.

Un atto dovuto ad Elena, Francesco, Agostino, Giuseppe, Antonietta e ad ognuno di noi, come donne e uomini liberi, come infermiere e infermieri.

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Commenti (1)

eric_moos

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5 commenti

contenzione o disorganizzazione?

#1

Se è come dici, la povera paziene non è deceduta per la contensione ma eprchè nessuno ha pensato a lei quando è arrivato il momento di mettere tutti al sicuro. Forse è morta per superficialità del personale o la disorganizzazione della struttura più che per la contenzione. Comunque le indagini diranno come è andata. Credo che dovremmo far tesoro degli errori piuttosto che dedicarsi a lamenti che sono umanissimi e meritano rispetto ma sono anche del tutto inutili ad evitare eventi futuro o a riparare quelli già avvenuti
In bocca al lupo comunque