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editoriale

Emigrare per un futuro migliore

di Giordano Cotichelli

Prendere la strada dell’emigrazione è una scelta che risponde alla legge push and pull factor, quegli elementi che spingono ad andarsene da un lato (disoccupazione, precarietà, bassi salari, mancati riconoscimenti) e attirano verso un dato paese dall’altro (stipendi migliori, sicurezza, corsi di aggiornamento all’avanguardia, riconoscimenti carrieristici, etc.). Ma i fattori per cui si emigra non valgono solo per gli infermieri, ma per tutti coloro che se ne vanno via dal loro paese a cercare di costruire un futuro migliore e fuggire da un presente di disperazione. E chissà cosa ne pensano le infermiere dell’Aquarius.

Push and pull factor, lavorare altrove

infermiera e bimbo migrante

Foto scattata a bordo della nave Aquarius (foto Karpov/SOS Mediterranée)

Fino a circa una decina di anni fa, il flusso migratorio in Italia aveva investito anche il lavoro infermieristico, con una presenza straniera - secondo una ricerca dell’allora Ipasvi del 2012 - valutata in circa 38.000 professionisti; circa il 10% della professione di allora.

Rilevante la presenza di rumeni (41,8%), polacchi (16,4%) e peruviani (7,1%). Una presenza che non si è incrementata nel tempo, anzi, si è assistito ad un esodo sempre più marcato di infermieri italiani verso altri paesi.

Già nel 2015 in un articolo della rivista online salute internazionale, per il solo Regno Unito si stimavano in servizio presso l’NHS (National Health Service) una presenza di professionisti italiani attorno alle 2.500 unità.

Ma ci sono altrettanti colleghi sparsi fra Francia, Belgio, Germania, Svizzera, e la tendenza ad emigrare non si ferma, vista la politica di austerità nelle assunzioni, nel turn-over dei pensionamenti, nei tagli in Sanità e nei risparmi continui e sempre meno sostenibili ai danni di dotazioni organiche (in ospedale e sul territorio), sempre più ridotte all’osso.

Ecco così che il salto riposo, la doppia notte e gli ordini di servizio di ogni tipo diventano strumento quasi usuale di organizzazione del personale, denunciando nei fatti però una carenza infermieristica che non è più congiunturale, occasionale, momentanea, ma si fa strutturale, espressione immediata delle criticità del sistema sanitario.

Un quadro preoccupante cui segue la necessità di governare con pugno di ferro il malcontento che conseguentemente si produce, vedendo il fiorire di tutta una serie di iniziative a livello apicale, delle direzioni sanitarie, molto spesso discutibili.

In questo quadro, rispetto ad una totalità nazionale di professionisti infermieri continuamente vessati, con decenni di servizio sulle spalle - e accesso pensionistico sempre più rimandato – in continua competizione per un turno o un incarico meno gravoso, è facile per chi, neolaureato e chiamato alla lunga trafila della precarizzazione, prendere la strada dell’emigrazione.

Una scelta che risponde del resto alla legge push and pull factor, quegli elementi che spingono ad andarsene da un lato (disoccupazione, precarietà, bassi salari, mancati riconoscimenti) e attirano verso un dato paese dall’altro (stipendi migliori, sicurezza, corsi di aggiornamento all’avanguardia, riconoscimenti carrieristici, etc.).

Del resto, i fattori per cui si emigra non valgono solo per gli infermieri, ma per tutti coloro che se ne vanno via dal loro paese a cercare di costruire un futuro migliore e fuggire da un presente di disperazione.

Dai, andrà tutto bene. Ancora poco, si arriverà. Passa, passa… passerà

Chissà cosa ne pensano le infermiere dell'Aquarius

Certo in Italia non ci sono guerre, epidemie, instabilità e grave crisi economica, ma si è tornati a cercare lavoro fuori, mentre allo stesso tempo altri vengono da noi a cercare le stesse cose.

Non sempre vi riescono, o trovano l’accoglienza sperata e la dignità lavorativa necessaria. Innescare facili polemiche in questo serve a poco, ma se ci rammarichiamo dei posti di lavoro da infermiere che mancano, dei colleghi che se na vanno fuori, di chi è “coordinatore facente funzioni” da anni, per quale motivo il nostro pensiero non dovrebbe andare anche verso chiunque si sposti in cerca di un lavoro.

E ancor più verso quei colleghi che si trovano in quell’area grigia che vivono da vicino che cosa è il fenomeno migratorio.

Chissà cosa ci potrebbero dire le colleghe infermiere, le ostetriche, i medici e tutti gli altri operatori sanitari e non, che prestano la loro opera a bordo delle navi delle ONG che salvano vite in mezzo al mare (altri raccontano altro, la realtà è questa, punto).

Al di là di qualsiasi considerazione, ad ogni modo, ciò che conta, è restare umani, senza sacrificare, però, altri umani

Chissà cosa pensano l’ostetrica, le due infermiere e il medico che in questi giorni sono a bordo dell’Aquarius e sono chiamati ad assistere 7 donne incinte, 11 bambini, 123 minori non accompagnati, più tante altre persone, per un totale di 629 migranti. Cosa pensano questi colleghi?

Intervistandoli direttamente se ne potrebbe avere immediato riscontro, ma in queste ore è abbastanza difficile, le priorità sono altre.

Mentre è abbastanza facile immaginare il loro stato d’animo, i loro pensieri, che, forse, potrebbero essere: Dai, andrà tutto bene. Ancora poco, si arriverà. Passa, passa… passerà.

Verosimile, anche se in certe situazioni stringere i denti porta più ad imprecare che ad altro.

Ed allora, per trasposizione di idee, alzando gli occhi dal profilo arancione dell’Aquarius, sembra quasi di vedere, per chi se lo ricorda, il primario chirurgo di un film di Alberto Sordi, fermo in sala operatoria, in attesa di operare finchè l’assegno, per la prestazione professionale, non sarà firmato da un dottoruncolo truffatore e ciarlatano – impersonato amabilmente dall’attore romano – che non se la sente di giocare sulla pelle della paziente ruolo e denaro. E pagherà il dovuto.

Qualcuno potrebbe dire che sulla questione dei migranti l’Europa è da anni che sta con le mani alzate in attesa di una seria politica immigratoria, ma se così fosse, a chi toccherebbe, periodicamente, recitare la parte del dottoruncolo?

Quella del paziente lo sappiamo e riguarda tutti coloro che varcano i confini delle loro terre in cerca di un futuro migliore, che siano infermieri, oppure no. Al di là di qualsiasi considerazione, ad ogni modo, ciò che conta, è restare umani, senza sacrificare, però, altri umani.

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