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Editoriale

Gli infermieri e Amazon

di Giordano Cotichelli

In una società dove tutto viaggia veloce attraverso una app, controllata da un CEO dall’altra parte dell’oceano, che ti dice quali esami fare o non fare o altrimenti quali pagare o meno, come sarà l’assistenza erogata dai professionisti della salute?

In Italia non si è molto lontani da una sanità Amazon 2.1

È notizia di questi giorni della scelta del colosso dell’e-commerce – Amazon – di tagliare l’assicurazione sanitaria ai lavoratori part-time di Whole Foods. Una scelta che colpisce 1900 dipendenti, lasciandoli in condizioni precarie sul piano della copertura della salute. Tagli che riguardano coloro che fanno un orario settimanale ridotto (20 ore) e che quindi guadagnano meno ed hanno maggiori possibilità di ammalarsi.

L’azienda si giustifica affermando che sono scelte “per soddisfare meglio le esigenze della nostra attività e creare un modello di pianificazione più equo ed efficiente”. Qualcuno si dice amareggiato di un trattamento che non riconosce il peso di una fedeltà di servizio vecchia di 15 anni; di un lavoro scelto e sopportato viste le note condizioni in cui sono costretti i dipendenti del plurimiliardario Jeff Bezos, proprio per la copertura sanitaria che garantiva.

Un dato non irrilevante visto che in molte aziende negli USA, ma non solo, ad una maggiore retribuzione viene barattata una buona copertura sanitaria assicurativa. Come dire: se lavori con noi ti paghiamo poco ma puoi curarti i denti, un tumore, curare la tua famiglia, etc.

Insomma, la faccia realistica e selvaggia del welfare aziendale che, stando alle ultime scelte di Amazon, diventa una vera e propria maschera dell’orrore. Brutta storia. Anche se, viene da chiedersi, perché dovrebbe interessare gli italiani? Ed ancor più gli infermieri italiani? Presto detto.

Amazon assieme a Buffet e JpMorgan negli scorsi mesi ha scelto di fondare un colosso societario per il mercato sanitario. Scelta che si svilupperà probabilmente nella tecnologia sanitaria e nella farmaceutica, nel commercio e nei servizi, nelle coperture assicurative e probabilmente anche nella creazione di centri di cura, fino alla creazione (è già avvenuta) di app che gestiscono malattie croniche (es. il diabete) e chissà cosa altro ancora.

La salute, insomma, come un immenso territorio di conquista dove conterà il profitto più che il benessere. O almeno, questo viene da pensare prendendo come spunto il trattamento riservato agli stessi dipendenti di Amazon, di cui si diceva. Bene. Viene ancora da chiedersi però come tutto ciò possa interessare gli infermieri e le infermiere di questo paese.

In primo luogo perché ancora in questo paese la salute è una questione tutelata pubblicamente, in cui l’universalismo e l’equità nell’accesso ai servizi rappresentano – o dovrebbero rappresentare – dei valori imprescindibili, anche di fronte ai diktat del mercato.

Quanto questo fatto potrà continuare a pesare per il futuro non è dato sapere, anche perché la forza della salute pubblica di fronte alle esigenze del mercato si fa sempre più piccola. E tutto ciò riguarda tutti, in qualità di cittadini, di utenti e di lavoratori.

Non è un pensiero molto fantascientifico pensare ad un infermiere di famiglia o anche in corsia, presso un ambulatorio o in un ufficio sanitario, quale dipendente di un colosso sanitario privato che si ritrovi a lottare quotidianamente con lo scarso salario e le scarse dotazioni di organico e di strumenti, mentre deve assolvere ai compiti assegnati a discapito del suo tempo o della salute degli assistiti.

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