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infermieri

Millennials, gli indicatori sociali della professione

di Giordano Cotichelli

La situazione degli infermieri millennials non è proprio fatta tutta di rose e fiori. Fra gli occupati va rilevato che un 2% lavora all’estero e fra quelli residenti nel Bel Paese un ulteriore 5% se ne vorrebbe andare via. A questi poi vanno aggiunti coloro che compongono il 50% di chi non è soddisfatto del proprio lavoro e lo vorrebbe cambiare. E fra contratti a tempo determinato e lavori non soddisfacenti, c’è il rischio che si riproducano le stesse condizioni di un mondo giovanile precarizzato, insicuro, povero e sfruttato, dove più che la competenza e la conoscenza si fanno strada fidelizzazione istituzionale tout court ed un’obbedienza preventiva alla precarietà.

La situazione degli infermieri under 30 non è tutta rose e fiori

Un recente sondaggio realizzato da Fnopi Giovani ha rilevato alcuni dati interessanti della professione infermieristica in relazione alla generazione dei millennials, partendo da un campione rappresentativo del 15% degli infermieri, di cui il 70% è costituito da donne, con un’età media di 25,9 e 26,4 anni, rispettivamente per uomini e donne.

In larga parte gli intervistati si considerano soddisfatti sia del rapporto con gli altri colleghi, sia della formazione ricevuta (il 66% si è formato al Nord) ed il 34% di loro è in possesso di una formazione post-base.

L’ampliamento delle conoscenze professionali è sempre una buona cosa, anche ai fini di avere un curriculum “pesante” per lo stato occupazionale (concorsi, avvisi, carriera, trasferimenti, etc.). In questo però qualche dubbio sorge in merito alla “spendibilità” dei titoli acquisiti in un mercato del lavoro in cui a livello dirigenziale, di coordinamento e della ricerca universitaria c’è una disponibilità di posti molto bassa.

In molte strutture si va avanti con incarichi temporanei a infermieri facenti funzioni o, peggio ancora, secondo la nuova dicitura dell’infermiere di supporto.

Certo il fronte occupazionale per gli infermieri è sicuramente migliore che per altre professioni ed ancor più rispetto ai giovani. Gli ultimi dati Istat mostrano che ad agosto di quest’anno la disoccupazione dei giovani fra i 15-24 anni si attestava attorno al 27,1%, con una successiva risalita alla fine di settembre, per arrivare al 28,7 in generale, con valori pressoché doppi nelle principali regioni del Sud.

In questo l’occupazione dei millennials infermieri mostra numeri decisamente più favorevoli. Infatti, appena il 7% del campione preso in esame dice di non lavorare, mentre fra strutture pubbliche e private si arriva ad un 50% in possesso di un contratto a tempo indeterminato: il famoso posto fisso, a fronte del 30% che ha dei contratti precari.

Uno su tre in pratica, cui si può aggiungere un 13% di liberi professionisti che nella sostanza appartiene al famoso popolo delle partite IVA: un mondo in cui la giornata è scandita dalla rincorsa forsennata alla costruzione di un reddito degno di questo nome.

Va sottolineato in merito che la percentuale non è poi così alta, considerando che, in generale, durante il secondo semestre del 2019 ai giovani italiani appartiene il 44% delle nuove partite IVA aperte.

Ciò nonostante però si può affermare che i giovani infermieri possono dividersi nettamente in due in termini di mercato del lavoro: un 50% è “sistemato” e la restante parte invece è attraversata da precarietà e disoccupazione. Condizioni che, rapportate ad un lavoro fortemente condizionato da turni, festività, salti riposo, riduzione dei diritti, etc. non crea un quadro molto edificante sul piano lavorativo; in linea con l’andamento negativo presente nel paese.

Certo, l’area critica, cui appartiene il 30% del campione, amplia il suo portato premiante, non solo per chi vi lavora, ma anche per chi vorrebbe spendersi in essa maggiormente in una messa alla prova continua con capacità e conoscenze professionali. Tipico della giovane età e che, anche grazie a questo, permette di mantenere alta la qualità della risposta non solo nell’area dell’emergenza-urgenza, ma in tutta la sanità italiana.

Però non possono di certo funzionare così “le cose”, basandosi su volontarismo ed abnegazione, su un senso di eroica giovinezza che ti porti dietro anche quando qualche acciacco di troppo esce fuori e ti accorgi che non sei più tanto giovane e che del tuo eroismo, in fondo, al sistema non glien’è mai fregato niente

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