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Editoriale

La strage di Beirut

di Giordano Cotichelli

Un primo bilancio delle esplosioni di Beirut è disastroso: 135 morti, centinaia di dispersi, più di 5.000 feriti. Gli ospedali sono sovraccaricati, prossimi al collasso, in un paese già gravato dalla crisi economica, dalle restrizioni di ogni tipo, dal taglio delle forniture elettriche, distribuite solo per poche ore al giorno. All’Ospedale St. Joseph i feriti intasano i corridoi. Peggiore la situazione presso l’Ospedale di Al Roum, nel distretto di Ashrafieh, investito dall’onda dell’esplosione. I sanitari sono stati costretti a prestare cure e assistenza in mezzo a detriti, con pezzi dei controsoffitti che cadevano addosso. Presso l’Ospedale Hotel de Dieu, distante meno di 3 Km dal porto, sono giunte centinaia di persone ferite in cerca di assistenza. Da subito è iniziato a registrarsi la penuria di sangue, posti letto e medicinali mentre più di 300.000 sono gli sfollati causati dai danni subiti dalle abitazioni. Beirut è precipitata in un dramma collettivo che la riporta all’incubo della guerra civile che, per tre lunghi lustri, dal 1975 al 1990, ha devastato il paese.

Cos'è successo davvero a Beirut forse non lo sapremo mai

Non sono chiare ancora le cause delle due devastanti esplosioni che molti hanno paragonato quasi all’atomica di Hiroshima. L’onda d’urto che si è sprigionata, la devastazione che ha attraversato le strade della capitale libanese e lo shock subito dalla popolazione non sono certo gli stessi, ma le conseguenze saranno, ad ogni modo, purtroppo, molto pesanti per tutti.

Ulteriormente per gli oltre 5.000 contagiati da Covid. Dicono che l’esplosione sia stata causata dallo stoccaggio improprio di quasi 3.000 tonnellate di nitrato d’ammonio, situato vicino ad un deposito di fuochi di artificio. I soliti maligni parlano invece di un deposito saltato in aria perché in realtà conteneva armi ed esplosivi.

Forse non sapremo mai la verità, escluso il fatto che, assieme ai materiali esplosi, sono saltati in aria anche i silos contenenti le riserve di grano del paese e quello che resta basterà per meno di un mese.

Il quadro generale è sconfortante, ma può essere l’ulteriore chiave di lettura di una realtà globale in cui la pandemia sembra aver fatto dimenticare molte cose.

Al di là di polemiche e giravolte, negazionismi ed esperti di ogni tipo, la strage di Beirut ricorda che ci sono molti paesi costretti ad affrontare le conseguenze della pandemia mentre sono in guerra o colpite da una calamità naturale, o mentre si consuma al loro interno una grave crisi economica, o semplicemente vedono aumentare la mortalità dei poveri senza che questo possa interessare nessuno; escluse le famiglie e i cari delle stesse vittime.

Brutta cosa, dolorosa, ma non stupisce dato che siamo in un tempo in cui si governa e si trasmette la realtà in base a chi urla di più, a chi riesce ad avere l’ultima parola. Trump smentisce i morti presenti nel paese di cui lui è il presidente, ma dopo mesi e mesi di disinformazione, alla fine anche lui si è messo la mascherina per proteggersi dal contagio.

Come il suo collega brasiliano che, in quanto a vittime e contagi, lo tallona da vicino. A differenza di qualche loro omologo italiano che continua a fare bagni di folla senza mascherina. Anzi, in quelle poche occasioni che la indossa, poi se la toglie per regalarla a qualche aficionado.

Un epidemiologo potrebbe paragonare il gesto in maniera molto simile a quella di regalare una siringa potenzialmente infetta. Ma poco importa nel paese in cui il dibattito politico e la cronaca dei fatti si riduce alla semplice narrazione e alla periodica menzogna utili a mettere in cattiva luce il proprio avversario o a mostrarsi solidali verso i propri alleati. Non sono gli argomenti che contano, ma chi la spara più grossa.

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