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editoriale

Non è un paese per donne

di Giordano Cotichelli

Una donna di 43 anni è stata uccisa, pochi giorni fa, in un paese della Calabria dal marito cinquantaduenne. Episodio simile poche ore prima è avvenuto in un paesino del bresciano, dove la vittima, anche in questo caso, è stata uccisa dal marito a coltellate. Prendendo come riferimenti i dati dell’osservatorio sui femminicidi pubblicato dal quotidiano La Repubblica1, alla data del 13 settembre sono 76 le donne assassinate in Italia. I numeri mostrano una frequenza di un omicidio ogni 3–4 giorni, con una distribuzione nazionale pressoché simile fra Nord e Sud del paese. Probabilmente c’è chi sta studiando più approfonditamente i dati disponibili ed un quadro generale della situazione dovrebbe mostrare ulteriori elementi utili per interpretare quella che, nella sostanza, si mostra come una vera e propria violenza di genere di cui gli omicidi sono la tragica ed estrema espressione di un fenomeno più ampio di quanto non si creda, che inizia da una cultura discriminatoria e negazionista della stessa identità umana della donna.

Le donne rappresentano gli indicatori sociali di una società brutta

In Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Chi oggi grida, giustamente, in difesa delle donne afghane che stanno subendo in maniera esponenziale la violenza e l’arroganza dei Talebani, dovrebbe ricordarsi che la cultura occidentale fino a qualche secolo fa non considerava la donna un essere umano; e fino a poco più di un secolo fa negava l’accesso all’istruzione, di base e superiore, alle donne.

Qualcuno dirà che c’è differenza fra negare il posto di direttore ad una donna e tagliarle la gola. Vero, ma sono i differenti prodotti di una stessa cultura dell’odio che riguarda ogni essere umano che non sia portatore del genere, del colore, della religione e dell’orientamento sessuale “giusti”.

Certo una cosa è il catcalling, altra il femminicidio, ma per ogni donna ammazzata ce ne sono altre dieci morte in circostante non chiare, altre mille maltrattate ed abusate, e altre migliaia e migliaia di migliaia che camminano guardando in terra, aspettano il loro turno di parola – dopo quello del maschio – e per ogni cosa che fanno pensano, quando va bene, che devono riuscire a mostrare, in maniera discreta, quanto valgono.

Poi, per la stragrande maggioranza delle donne, ci sono solo rassegnazione, paura e il nulla di una quotidianità negata, nella consapevolezza che non hanno alcun diritto neanche quando questi, i diritti, le sono riconosciuti. Un esempio? L’impatto dell’obiezione di coscienza all’IVG sulla reale fruibilità del sostegno ad una maternità responsabile e partecipata. L’Italia maglia nera in Europa già da oggi, si volgerà verso le scelte scellerate – in tema di IVG – già fatte in Texas? Perché no! Probabilmente qualche prossimo ministro chiacchierone avrà già pronta nel cassetto la proposta di legge tutta nostrana. Sono gli stessi chiacchieroni che parlano della famiglia come modello sociale da seguire, senza preoccuparsi delle centinaia (migliaia?) di mariti e padri, fratelli e fidanzati, amici stretti e parenti vari che si sentono legittimati di usare la “cosa” donna come la loro cultura maschile suggerisce di fare.

Si è già scritto come le donne rappresentino gli indicatori sociali di una società brutta. Non c’è certo bisogno dell’estremo esempio dei Talebani per ricordarlo, ma è necessario contestualizzare i fatti, inserendoli all’interno di un quadro valutativo più ampio, che non accetta le favolette giustificative dell’amore tradito o dell’attimo di follia. Un quadro che ricorda che la colpa dello stupro è di chi stupra e non di chi subisce la violenza e che l’assassinio non può trovare, mai, giustificazione alcuna, specie in un paese dove almeno un terzo delle donne, durante la sua vita, ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Donne ammazzate e discriminate, vessate ed irrise, testimonianza oltre che vittime, di una società discriminatoria e gerarchica. Maschile? Beh! I portatori di testosterone si impegnano abbastanza nel farsi cattivi, ma la questione va oltre la dimensione biologica e diventa socio-economica, istituzionale e culturale, prodotto di una politica intrinsecamente violenta e ipocrita, che tornerà a piangere lacrime di coccodrillo per l’ennesima morte femminile. Per scegliere poi di non fare assolutamente nulla.

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