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editoriale

Il giorno dell'asino, quando il vaccino è democratico

di Davide Mori

Povera Italia. Ci siamo ridotti al qualunquismo; eravamo un popolo di scienziati e viaggiatori, siamo diventati un popolo di asini sedentari. Asini da tastiera. Anzi no, leoni. Meno effettivamente conosciamo, più siamo convinti di poter sapere le cose, arrogandoci il diritto di sentenziare su qualsiasi argomento. Un esempio su tutti? I vaccini.

Italia, il Belpaese dove al mercato si parla di vaccini

Era martedì mattina e qui dove abito io, un piccolo comune sul litorale romano, è il giorno del mercato. Quando ci è possibile, ogni martedì io e mia moglie, credendo di poter comprare frutta e verdura di buona qualità a basso prezzo e spinti dalla scusa di uscire e prenderci un bel caffè al bar, ci armiamo di santa pazienza e con nostra figlia di un anno ci dirigiamo alla volta delle bancarelle.

Ti accorgi di essere arrivato al mercato perché le urla dei pescivendoli ed il brusio della gente risuona come fosse un rave party del sabato sera. A tutto quel frastuono, comunque, ti ci abitui facilmente e dopo pochi minuti quel chiacchiericcio intervallato da “tutto a 1 euro!!!!” diventa un sottofondo familiare, quasi piacevole.

Il mercato è un po’ un mix di sensazioni, un viaggio sensoriale e l’odore del pesce (quello fresco) ti fa venire voglia di mare. Il bello del mercato, però, è il contatto la gente; fiumi di persone scorrono in lungo e in largo, senza frenesia, senza fretta. Ci si muove così lentamente tra un banco e l’altro che spesso, volenti o nolenti, si può assistere ad un discorso intero tra persone mai viste e conosciute.

È un po’ come assistere ad un talk-show e spesso gli argomenti sono proprio gli stessi. E allora capita che ascolti le lamentele di una pensionata che non arriva a fine mese, l’operaio che quest’anno è stato messo in cassa integrazione, oppure le casalinghe che discutono di cosa cucinare a pranzo.

Raramente senti parlare di scienza, di medicina, o di massimi sistemi, ma a volte qualcuno che si improvvisa scienziato c’è e quando lo fa, lo fa con fermezza, con consapevolezza (apparente) e violenza.

Questo martedì è stato uno di questi e devo dire che per educazione e buon senso ho faticato davvero tanto a non intervenire nel discorso. Una donna – avrà avuto circa 40 anni - che ci precedeva nella fiumana di persone, parlava con quella che sembrava essere una sua coeva amica di spese, di quelle amiche che incontri solo al mercato, con cui puoi spettegolare e sai che puoi farlo perché sussiste una sorta di tacito accordo di “spettegolezzo reciproco”.

Parlavano di vaccini, ma non avevano l’aria di essere immunologhe e anche le argomentazioni e le terminologie che usavano lo lasciavano intendere perfettamente. Eppure, come se stessero parlando del grande fratello, articolavano una discussione fatta di luoghi comuni e riferimenti a siti web di fantomatici esperti no-vax.

Sarà perché lavoro in ospedale, sarà perché lavoro in ambito pediatrico, o sarà perché pur non essendo un positivista, la scienza fa parte comunque del mio approccio alla vita, ho rizzato le antenne e, lo ammetto, mi sono messo ad ascoltarle. Ormai la scelta l’avevo fatta e stringendo i denti e sforzandomi di non rispondere, ascoltavo come una diceva all’altra: 10 vaccini sono troppi, poi con quello che ci mettono dentro..., come se il vaccino fosse un cocktail da prendere al bar: Ehi, barista! Uno spritz e un esavalente senza ghiaccio!

Proseguivano, poi: Ho letto su Facebook - e qui volevo vomitare - che i vaccini provocano l’autismo e che sono pieni di metalli pesanti.

Una serie di sentenze, di dogmi, di congiure complottistiche che preferisco risparmiarvi. Allora, dentro di me, che ormai ero saturo di queste assurde argomentazioni, ho provato a chiedermi perché e a quale titolo potessero discutere con cotanta fermezza di un argomento tanto delicato e così tanto lontano dalle loro effettive competenze.

Perché la comunicazione scientifica non è così efficace come lo sta diventando quella dei social? I nostri figli meritano un mondo fatto di verità, senso civico e salute non di hashtag

E allora mi sono chiesto: perché la comunicazione scientifica non è così efficace come lo sta diventando quella dei social? Mi sono chiesto come gli influencer anti-vaccinisti, con assoluto dolo, sperimentino nuove propagande antiscientifiche, argomentando le loro tesi con congetture e mistificazioni.

E allora ho pensato che forse il motivo sta proprio nel fatto che le persone cercano una spiegazione comoda alle loro domande. Già, comoda, non la spiegazione giusta. La ricerca di un pretesto su cui scaricare la propria voglia di ribaltare il sistema, una sorta di vendetta per i loro insuccessi nella vita.

Un effetto ultras, che una volta che tifi per una squadra devi farlo incondizionatamente e così accetti che la terra è piatta perché l’hai letto su Instagram, accetti che le scie degli aerei sono scie chimiche e non condensa (vi posso assicurare che si tratta della seconda, oltre ad essere infermiere ho fatto la “malaugurata” scelta di diplomarmi perito areonautico), oppure proprio come in questo caso, i vaccini sono nati per farci ammalare e far guadagnare le case farmaceutiche.

Così mi è tornato in mente lo studio americano del “dunning-kruger effect” con il suo grafico che ci dimostra come meno effettivamente conosciamo, più ci si convince di poter sapere le cose arrogandoci il diritto di sentenziare su qualsiasi argomento. Ci troviamo in un sistema che purtroppo ha perso fiducia nella scienza, negli scienziati e nei ricercatori. Un sistema anarchico, che si professa antifascista, ma di fatto vuole espellere gli immigrati, un sistema che pretende che l’evoluzione tecnologica si diffonda, ma che allo stesso tempo vuole introdurre il concetto di quarantena post-vaccinale (alto medioevo?).

Allora mi chiedo: che popolo è un popolo che ripudia il lavoro ed il sudore di chi da sempre si è impegnato a proteggerci, a proteggere i nostri figli? Che popolo è quello che mette a repentaglio i bimbi degli altri non vaccinando i propri?

Che popolo è il popolo che deve essere obbligato per produrre un risultato vaccinale pari nemmeno alla metà di un paese cosiddetto sviluppato? Povera Italia.

Ci siamo ridotti al qualunquismo, eravamo un popolo di scienziati e viaggiatori, siamo diventati un popolo di asini sedentari. Asini da tastiera. Anzi no, leoni.

Eppure le chiacchiere da bar risuonano e lo fanno anche in Parlamento, lo fanno con così tanta determinazione che i politici si guardano bene dal contraddirle, anzi, le cavalcano.

E allora da chiacchiere social, vengono irresponsabilmente certificate.

Vorrebbero una scienza democratica, dicono. Ma cosa vuol dire!? La scienza è scienza, non è politica. La democrazia, piuttosto, dovrebbe garantire i diritti di tutti e non vaccinandoci mettiamo a rischio intere generazioni. Siamo tutti colpevoli, siamo tutti corresponsabili di questa situazione.

Noi professionisti della salute evidentemente abbiamo sbagliato qualcosa nella comunicazione, la politica ha sbagliato nel dividerci ancora di più in due squadre opposte in una lotta all'avversario sbagliato, le persone nel non sforzarsi di collegare le sinapsi e documentarsi.

Siamo allo sbando, circondati da ruderi di buonsenso lasciati ad erodersi col vento. Abbiamo tre cellulari ciascuno, ma crediamo ancora agli stregoni. E allora penso che ce lo meritiamo, penso che forse ci meritiamo di pagare a caro prezzo le nostre scelte, perché solo in questo modo ce ne renderemo conto.

Ma poi, finisco di pensare e di ascoltare quelle due tizie davanti a me e mi accorgo che mia figlia nel frattempo mi sta stringendo la mano. Caspita, nell’ascoltare quelle due mi ero scordato con chi ero.

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