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Dipendenti pubblici, da fannulloni a “imboscati” il passo è breve

di Paolo Vaccarello

Pubblico Impiego

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Infermieri ed OSS di nuovo al centro di polemiche senza proposte, stavolta per l’abuso di certificati e benefici di legge.

Infermieri ed Oss, l'esercito degli "inidonei"

È di ieri la notizia che il 12% dei dipendenti della sanità pubblica (media nazionale) rientra nei c.d. lavoratori a “Ridotta Attività Lavorativa” per limitazione alla movimentazione dei carichi - circa la metà di tutte le riduzioni - oppure per esenzioni dal turno notturno o da particolari attività tipiche del servizio di degenza ospedaliera.

A dare la notizia il quotidiano Repubblica, che cita come fonte uno studio Cergas-Bocconi, titolando: “L’Italia degli imboscati. Inabilità al lavoro e permessi, ecco tutte le carte false”.

Nella disamina rientrano svariate categorie di dipendenti pubblici di tutti i settori, in particolar modo di lavoratori impegnati in attività che comportano un particolare impegno fisico, come Infermieri ed Operatori Socio Sanitari.

Che il problema esista in sanità non è una grande scoperta per gli addetti ai lavori e generalizzare il tutto ventilando abusi dei benefici contrattuali o di certificati - e quindi di medici - compiacenti risulta come al solito un’esagerazione che sposta l’attenzione dalle cause del problema ai lavoratori, i quali già da tempo sono etichettati come fannulloni.

Che i fannulloni esistano è inutile negarlo e che questi abbiano vita facile nel pubblico impiego rispetto al privato non è la scoperta del 2017. Bisognerebbe chiedersi a chi giova scaricare le responsabilità sui singoli, che spesso diventano pedine di un sistema malato di inefficienza.

I fannulloni e gli imboscati danneggiano in primis i colleghi, che spesso devono sovraccaricarsi delle attività dei primi, i quali comunque occupano posti in pianta organica. I dipendenti pubblici onesti, la stragrande maggioranza, vivono tutti i giorni questa ingiustizia, impotenti e talvolta rassegnati si adeguano considerando che, comunque, i fannulloni rimangono anche impuniti oltre che favoriti.

Senza dubbio contano i carichi di lavoro e le responsabilità, ma la voglia di cercare il posto dietro una scrivania nasce in realtà da molteplici fattori, alcuni dei quali mai considerati o presi in esame come possibile tentativo di arginare il fenomeno.

Esaminarne le cause per tentare di ridurle

I carichi di lavoro, il lavoro a turni in sé, in molti casi la difficoltà ad usufruire delle ferie maturate e/o delle ore accantonate sono solo la punta dell’iceberg.

Sotto il pelo dell’acqua si trova mancanza di motivazione dovuta a modelli organizzativi superati, assenza o carenza di servizi ai dipendenti come mense, asili, convenzioni, che talvolta nel privato sono di gran lunga superiori in termini di qualità e quantità.

Ma anche ingiustizie economiche, storture del sistema retributivo e, più in generale, disincentivazione al lavoro a turni e/o al lavoro in corsia.

Una di queste storture – di cui ho già scritto – è senza dubbio il bonus di 80 euro. Per chi legge e non lo sapesse, lo stipendio di un infermiere fino a 10-15 anni circa di carriera che lavora in corsia 7 giorni su 7 e sui 3 turni (mattina, pomeriggio, notte) è di poco superiore alla soglia di 1500 euro, realtà che esclude il lavoratore dal diritto di ottenere il bonus.

Una riduzione di attività come il part-time, l’esenzione dal turno notturno o l’esenzione dal lavoro a turni porta ad una riduzione dello stipendio variabile tra i 200-400 euro fino a 600-700 euro per i part-time a percentuali inferiori.

Questa forbice è bassa rispetto all’impegno psico-fisico di un lavoratore a turni a tempo pieno. Bene, da qualche anno la differenza è stata accorciata di 80 euro, quelli del bonus, quelli che rendono poco conveniente il turno in corsia se sui due piatti della bilancia si mettono fattori come stress, vita privata e possibilità di programmarsi le festività e/o i week-end con i propri cari.

A parte gli 80 euro, più in generale non esiste una convenienza economica né un riconoscimento ai fini pensionistici per il lavoro in corsia.

Verso la metà degli anni novanta si era anche accennato al fatto di inserire il personale sanitario turnista tra i lavori usuranti, non quelli “pesanti” dell’APE Social, ipotizzando un anticipo dell’età anagrafica e contributiva alla pensione fino a 5 anni sulla base degli anni di attività su 3 turni. Ma come tutte le cose che hanno un senso, non se ne fece nulla.

Come frenare la fuga dalle corsie?

Si potrebbe andare avanti esaminando vari fattori, maggiori e minori, che tendono a fare fuggire il personale dedicato all’assistenza dalle corsie, ma se si vuole invertire la rotta il senso deve essere uno: mettere in campo incentivi economici, pensionistici, di carriera, servizi che in qualche modo rendano “appetibile” il lavoro in corsia rispetto all’ufficio e tutti questi fattori non dipendono dal lavoratore, ma dalle politiche nazionali, dai contratti e soprattutto dai dirigenti e funzionari degli enti, che oltre a vigilare con scarsi risultati sul fenomeno in oggetto, sempre più spesso non sono in grado di organizzare e di adattare il lavoro ai mutamenti tecnologici e sociali lasciando i lavoratori in contesti, con strumenti e con pratiche ormai ampiamente superati.

Non serve aumentare il finanziamento dello stato, basterebbe non dare incentivi e premi “a pioggia” né con pseudo sistemi di valutazione spesso anch’essi appiattiti per non scontentare nessuno, ma spostare le risorse già presenti verso i settori più disagiati aumentando le retribuzioni legate ai turni ed alle presenze.

Basterebbe aiutare i dipendenti con figli piccoli nella gestione degli stessi con servizi compatibili agli orari di lavoro ed al lavoro nei giorni festivi. Basterebbe organizzare il lavoro coinvolgendo veramente il personale nel raggiungimento degli obiettivi, stimolandolo e valorizzandolo come risorsa indispensabile per l’ente.

Ma probabilmente per vedere metà di questo ci toccherà attendere un’altra vita.

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Commenti (2)

P. Vaccarello

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1 commenti

GENERALIZZAZIONI

#2

Sono d'accordo e nell'articolo è stato riportato forse senza la giusta enfasi. Conosco tanti colleghi in situazioni veramente pesanti come la sua e molti di più che forse ci fanno o che hanno problemi che comunque gli permetterebbero di lavorare in corsia, se solo lo volessero. La situazione nella mia azienda che conta 1600 infermieri e che 1/3 lavora in servizi ambulatoriali dove il personale è in esubero mentre in degenza insiste una carenza cronica con tutti i risvolti su ferie e carichi di lavoro.
Se non sinverte la tendenza in qualche modo le invalidità "vere" sono destinate ad aumentare col tempo. Non voglio accusare nessuno e nemmeno penalizzare chi ha problemi di salute ma il pezzo è un'analisi per aprire delle riflessioni su possibili soluzioni.

strokalex

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1 commenti

Generalizzazione

#1

Mi sembra improprio parlare indistintamente di fannulloni in riferimento a coloro che hanno delle limitazioni. Io infermiere di area critica dopo 18 anni di lavoro 2 anni fa mi sono trovato a combattere con un brutto male. Dopo sei mesi tra vari interventi e terapia, sono tornato al lavoro e fino a questo momento non faccio i turni ma l'infermiere giornaliero. Non credo di stare rubando niente a nessuno. Come me penso che siano in molti che non si sono "imboscati" in qualche ufficio. Per questo non bisogna mai generalizzare.