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Lavoro

Io, infermiera sfruttata e sottopagata a 4 euro l'ora

di Redazione

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“Mi scuso innanzitutto per l’anonimato, se non mi servisse davvero questo lavoro in questo momento più di ogni altra cosa per raggiungere il mio sogno ci avrei messo la faccia”. Lucia è uno dei tanti esempi di infermieri sfruttati e sottopagati. La sua paga è di 4,36 euro l’ora, vale a dire poco più di mille euro al mese.

Se questo è uno stipendio

La titolazione del mio contratto è "disciplinare d'incarico professionale" ed è una scrittura privata redatta in duplice copia tra me e il presidente dell'associazione per cui lavoro con rapporto di libero professionista (./?).

Quello che ho appena scritto non è un errore di battitura. Il punto richiama l'immobilità delle mie condizioni, il punto di domanda tutte le mie perplessità.

Come può definirsi un rapporto libero professionale se ho un orario di entrata e di uscita che devo rigorosamente rispettare? Questo va avanti da un anno e sei mesi.

Il capitolo stipendio, poi, è davvero un tasto dolente. È difficile definire quanto venga pagata al mese, sarebbe più semplice dire quanto vengo pagata alla giornata:

€50,00 al netto del contributo del 4% verso la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Infermieri Professionali e esente da IVA

Questo dice testualmente il contratto.

In media lavoro 20 o 21 giorni al mese per un totale di 1000 o 1050 € e di 4,36€ l’ora. Lavoro 11 ore tutti i giorni, dal Lunedì al Venerdì dalle 8:00 alle 19:00, esclusi i “rossi” sul calendario. E si tratta di una postazione del 118.

Nell’associazione per la quale lavoro non esiste un reale professionista addetto al coordinamento del personale infermieristico. A gestire il tutto non è un “addetto ai lavori” e io non ho colleghi infermieri.

Sono sola a coprire tutto l’orario del turno e nel caso in cui dovessi aver bisogno di assentarmi per qualsiasi motivo (malattia, studio o altre esigenze) devo trovare un collega che mi sostituisca e per il quale dovrò personalmente provvedere alle modalità di pagamento.

In linea di massima cerco sempre di andare a lavoro anche quando non sto bene; avere la partita iva con un compenso di 4,36 € l’ora non è molto facile. Assentarsi anche per uno o due giorni significa perdere soldi che poi serviranno a coprire quel corollario di spese che è proprio di questa condizione.

Questa situazione vorrei cambiarla, ma non posso se non voglio perdere il lavoro

Se mi dovessi lamentare oppure “fare le bizze” la carta parlerebbe per me: sono un libero professionista, non dovrei pretendere tante tutele.

E poi ci sarebbero altre 100 persone che avrebbero - più che il piacere - la necessità di sostituirmi.

Il problema è questo: il mio, come tanti (se non tutti) i contratti degli infermieri del 118 che lavorano in Campania sono così. Il 118 in Campania è gestito da Onlus che, a loro volta, sono gestite da “personale non addetto ai lavori”, il quale ignora totalmente la cultura della tutela del lavoratore a favore del massimo guadagno.

Effettivamente forse non sto facendo nulla di realmente concreto per migliorare le cose, tutte le mattine mi sveglio e continuo ad andare a lavoro, ma lo faccio per necessità, perché nessuno si è mai sfamato con i sogni di gloria.

Lavoro per potermi pagare l’università. Frequento la Magistrale e un giorno vorrei diventare una “persona importante”, che possa realmente cambiare il sistema. Oggi sono solo un’infermiera come tanti, che si trova in questa condizione se vuole lavorare.

Diversamente per iniziare non c’è nulla. Anzi, molto spesso per lavorare per il 118 in Campania (e non solo in Campania) non si è neanche inquadrati come liberi professionisti che lavorano per questo strano tipo di “consulenza” con un orario d’entrata e di uscita.

Spesso si è volontari, ma si coprono turni su ambulanze di tipo India o medicalizzate ed il compenso è un “rimborso spese”. Paradossalmente una situazione quasi invidiabile dato che non hanno spese aggiunte come i detentori di p.iva!

Quello che posso fare è cambiare me stessa. Posso parlare e discutere con i miei colleghi o gli studenti per fargli cambiare ottica e valorizzare la professione.

Ho presentato questa situazione al mio collegio, ma con scarsi risultati: la risposta è che le cose vanno così e ho la netta sensazione che così devono e dovranno andare.

Andare all’estero per avere uno stipendio degno di un infermiere

Penso continuamente alla possibilità di andare all’estero. Il mio desiderio però non è solamente dettato dalla disperazione dovuta dall’estenuante pareggio di entrate/uscite. È diverso.

Vorrei avere un approccio vero alla professione, vorrei sentirmi valorizzata come professionista, vorrei che i miei titoli e le mie abilità, pratiche e non, fossero davvero prese in considerazione per l’azienda o l’istituzione per cui lavoro ed utilizzate come risorse

Una persona a me molto cara lavora in Inghilterra. Sogno di raggiungerla. Da lei c’è una concezione diversa dell’infermiere stesso, i pazienti si fidano molto di più, culturalmente parlando, rispetto al mio caloroso, ma tanto ignorante e arretrato Sud.

l’infermiere è un punto di riferimento per l’ammalato, la famiglia e la comunità. Lì non si sognerebbero mai di pagare un infermiere con i voucher, come invece succede ad una mia collega che frequenta con me la Magistrale.

Guadagna bene, circa 2000 sterline al mese come base escludendo gli straordinari ed essendo dipendente del sistema sanitario nazionale ha inoltre numerosi vantaggi tra questi la quasi scontata “tutela sanitaria” che io non ho assolutamente.

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