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Infermiera

Edith Cavell: testimone di una storia passata, troppo presente

di Giordano Cotichelli

La mattina del 12 ottobre del 1915, alle ore due, presso il poligono di tiro di Sharbeek, poco lontano da Bruxelles, un plotone di esecuzione esegue l'ordine di fucilazione della Sig.ra Edith Cavell, condannata per spionaggio. Una storia di guerra come tante altre, con il suo carico di crudeltà, follia, drammi e miserie umane. Una storia con alcune particolarità degne di attenzione. Edith Louisa Cavell è un'infermiera britannica, e la sua figura, ma ancor più la sua morte, diventerà una delle tante icone propagandistiche della Grande Guerra.

La storia dell'infermiera Edith Cavell

Edith Cavell

La Cavell arriva alla professione attraverso un percorso di maturazione religioso e scientifico, in primo luogo in campo educativo, seguito dagli insegnamenti infermieristici, lungo un percorso che per molti aspetti somiglia a quello di Florence Nightingale.

All'inizio del XX secolo fonda la prima scuola in Belgio per infermiere laiche (L'École Belge d'Infirmières Diplômées), e lavora in ospedale a Bruxelles. Con l'inizio della Prima Guerra Mondiale, e l'invasione del Belgio, all'arrivo dei tedeschi la maggioranza delle infermiere inglesi presenti nell'ospedale, viene rimandata in patria, mentre Edith resta a svolgere il suo lavoro. Nei mesi iniziali del 1915 i militari occupanti cominciano ad avere il sospetto che il nosocomio faccia parte di una rete utile alla fuga dei prigionieri di inglesi, oltre il confine della neutrale Olanda. Attività in cui sembrano coinvolti diversi civili e la stessa Cavell che, alla fine, verrà arrestata e condannata a morte in quanto ritenuta colpevole, in particolare di fronte alla sua stessa ammissione di aver ricevuto il riconoscimento di alcuni soldati ritornati in patria.

L'esecuzione della Cavell destò sdegno ed orrore in patria e nei paesi alleati e fu marcatamente usata come simbologia propagandistica della guerra contro la barbarie tedesca, contro gli "Unni" invasori. Nei mesi immediatamente successivi alla morte dell'infermiera aumentarono le richieste di arruolamento nei paesi alleati. Molte neonate, non solo nel Regno Unito, ma anche in altri paesi, furono chiamate Edith. Una di queste, nata il 19 dicembre del 1915, sarebbe diventata una delle più celebri cantanti della Francia contemporanea: Edith Piaf.

La Cavell non fu certo l'unica infermiera vittima della guerra. Su entrambi i fronti centinaia furono i sanitari, dal medico al portantino, all'infermiere alla crocerossina, che caddero a causa della guerra. Da parte tedesca alcune fonti parlano della fucilazione da parte anglo-francese di alcune infermiere: Margaret Schmidt, Ottilie Moss ed una presunta "Mrs Phaad". Ma i dati scarni e contraddittori lasciano pensare più ad un mal riuscito tentativo tedesco di controbilanciare la propaganda alleata che, sulla figura della Cavell, costruirà una narrazione fatta di medaglie, monumenti, francobolli ed oggettistica commemorativa di ogni tipo.

L'infermiera martire susciterà sdegno anche in un giovane socialista italiano, Antonio Gramsci, che in un articolo dell'edizione piemontese dell'Avanti del 17 gennaio 1916, auspica la vendetta proletaria in sui onore. Negli ultimi anni però, nonostante ufficialmente il Governo Britannico abbia sempre negato il ruolo di spia della Cavell, una delle direttrici del servizio segreto inglese (MI5), ormai in congedo, Dame Stella Rimington, ha reso note svariate prove del coinvolgimento stretto nell'attività di intelligence da parte dell'infermiera inglese. Un dato che sottolinea come molto si debba esplorare e verificare in tema di storiografia bellica e infermieristica, dove alla lettura di parte, strumentale e retorica, debba lentamente sostituirsi la ricerca scientifica e l'interpretazione storiografica lungo una prospettiva, come asseriva lo storico francese Braudel, di longue durèe.

Alla fine resta l'iconografia del sacrificio di una donna, all'interno di un mondo violento e maschile, quello della Grande Guerra, decisamente troppo grande da poterlo sopportare. Significative le sue parole che possono, al di là di qualsiasi considerazione, essere oggetto di riflessione:

"Patriotism is not enough. I must have no hatred or bitterness towards anyone". "Il patriottismo non è tutto. Non devo provare odio o amarezza verso nessuno".

Parole dette da una persona schiacciata dal peso stesso della sua figura, del suo ruolo, le quali, al di là di ogni retorica, si alzano come una denuncia di fronte ai germi dell'odio e dell'intolleranza, del nazionalismo e di devastanti eroismi, riconsegnandoci una figura tragica, umana e professionale, con il suo messaggio universale di pace. Significativo in merito il quadro realizzato dall'artista Franco Bugatti e posto nella saletta antistante la sala del Consiglio Comunale di Jesi, dal titolo:

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