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editoriale

Alla scoperta della vita in rianimazione

di Lucia Teresa Benetti

Quando sono entrata nel reparto di anestesia e rianimazione, del Pronto soccorso di Cisanello di Pisa, la mia prima impressione è stata di grande respiro. Non ero mai stata in una rianimazione. Di certo, però, lo immaginavo come un luogo dove si potesse solo respirare dolore e morte, quindi tetro e cupo. Ad accogliermi c’era Nunzio De Feo, che è anche il coordinatore e che è stato il mio punto di riferimento in questa nuova scoperta di valori di vita in un reparto così particolare e diretto da Paolo Malacarne.

La mia prima volta in una rianimazione

rianimazione

Un reparto di rianimazione

Nunzio mi ha raccontato la storia del loro cammino verso una visione più aperta e umana nei confronti di quei particolari casi di dolore che giornalmente si trovano ad affrontare. Ad aiutarlo in questo intelligente e attento percorso c’erano la sua case manager Barbara Zampetti, un’infermiera sensibile e attenta, capace di commuoversi ricordando pazienti passati anche tanto tempo prima, e un team di persone pronto, preparato, sensibile e attento.

Mi sono trovata, così, a toccare con mano quello che vorrei si attuasse nella maggior parte dei luoghi di cura: l’accoglienza. Il prendersi cura oltre che il curare. E fare tutto questo con una sensibilità e una delicatezza come se ci si dovesse rivolgere a un proprio caro.

Quello, però, che più mi ha colpito e che è stata una delle considerazioni che a ogni frase mi veniva quasi spontaneo fare, è stata l’attenzione che queste persone, tutte, riservano non solo al diretto interessato (il paziente), ma anche ai suoi familiari e amici, in quel momento attori attivi e smarriti di fronte alla gravità della situazione che investe il loro caro. Se noi tutti pensassimo a chi arriva normalmente in un reparto di anestesia e rianimazione di un pronto soccorso, ben presto capiremmo che il paziente, quel paziente, è un paziente particolare. Pochissimo tempo prima era intento a vivere la propria vita in modo pieno, con le gioie, i dolori, le aspettative, come tutti. Invece, un incidente o una banale fatalità lo hanno portato da attore consapevole della propria vita ad attore incapace spesso di decidere, di capire, di essere presente a quello che, forse nei casi più gravi, rimane della loro vita.

Qui, alla rianimazione del Pronto soccorso di Cisanello, la grande apertura di cuore e di mente del direttore, Paolo Malacarne, di De Feo e di tutto il personale sanitario che ci lavora, hanno trasformato questo luogo di dolore devastante e improvviso in un luogo dove la persona rimane sempre tale anche quando non ha più capacità di interagire con il mondo che lo circonda.

Quel paziente resta persona, in tutto e per tutto

Le persone a lui care sono accolte e quasi coccolate, prese per mano, mai abbandonate per tutto il periodo di ricovero del loro congiunto. Appena si arriva, a quest’ultimi viene consegnato un opuscolo dove, in maniera chiara e gentile, viene spiegato loro quell’iter che sarà necessario intraprendere. Purtroppo senza altra possibilità di scelta. Viene spiegato, prima di farli accedere al letto del loro caro, lo stato in cui lo potrebbero trovare, viene puntualizzato che cos’è e cosa comporta in termini emozionali il ricovero in un reparto di rianimazione, viene assicurato che loro (ogni singolo operatore) saranno là, sempre presenti e disponibili a ogni loro suggerimento. Ho usato l’aggettivo “gentile” non a caso.

Florence Nightingale

Di opuscoli, nei luoghi di cura, se ne leggono tanti. Ma quello, in questo caso, che subito mi è saltato all’occhio è stato l’uso di determinati verbi e di determinate espressioni. Ecco, allora, che al posto di vi informiamo si legge è nostro desiderio informarvi. Ecco che si mette in evidenza la loro capacità di comprendere lo stato d’animo, l’ansia e l’angoscia. Si legge la volontà di fare il possibile per rendere l’attesa meno pesante. E, nello stesso tempo, pregano di comprendere come il loro primo obiettivo sia quello di curare e assistere al meglio il loro caro per giustificare il periodo di attesa, che va dal momento del ricovero e delle prime necessarie cure al momento in cui daranno le prime informazioni. Vi preghiamo lo incontriamo a ogni passo. Si ha netta la percezione che l’attenzione non sia solo rivolta verso il paziente, ma verso tutta la famiglia: i cari e gli amici.

Sullo stesso opuscolo viene spiegato in maniera semplice anche che cos’è una rianimazione: non certo un reparto uguale ai tanti che siamo abituati a visitare. Viene descritto il paziente nei vari stadi di gravità e, di conseguenza, la presenza di macchinari e attrezzature che circonderanno il letto del loro caro, come anche il fatto che lo stesso sarà sicuramente portatore di tubi, cateteri e sondini in diverse parti del corpo. Si parla di dignità del paziente in continuazione. Una persona che è sì nuda nel letto per permette in qualsiasi momento un intervento, una visita, un controllo per il suo stesso bene, ma che sempre rimane persona.

Molti staranno pensando che tutto questo è normale che avvenga. Io dico che sarebbe auspicabile che ciò avvenisse.

Il più delle volte, invece, non lo è

Quello, però, che qui vorrei sottolineare e davvero gridare a tutti è ciò che da anni in questo reparto, condotto in maniera intelligente e dove davvero curare significa in ogni momento prendersi cura, viene fatto. Da anni quello che ora si auspica diventi una prassi in molti reparti e in ogni luogo di cura, per il bene del paziente e degli operatori, cioè l’applicazione della medicina narrativa, qui viene fatta in maniera spontanea. Qui si è capito, intuito l’importanza di dare continuità, vicinanza, capacità di interagire fra mondi che in quel momento sembrano non aver punti in comune.

Qui si fa un lavoro attento, preciso, generoso, assolutamente encomiabile.

Un quaderno segue il paziente che, ovviamente, il più delle volte non può interagire con il mondo che lo circonda. Ed ecco allora che la famiglia, gli amici diventano sul serio attori attivi in tutta la storia. Scrivono, riempiono quelle pagine bianche di loro pensieri che vanno dalle emozioni alla descrizione puntuale di piccoli progressi a cui hanno assistito, da speranze appena sfiorate all’idea di futuri progetti insieme. Si scrive tutto e tutti scrivono un pensiero, una pagina, poche righe.

Si continua così a scrivere la vita di chi in quel momento è solo (si spera) momentaneamente lontano con la mente

E si fanno anche fotografie di attimi diversi. Fotografie che verranno poi sigillate in una busta e consegnate successivamente al paziente in via di ripresa. Solo lui deciderà se e quando aprirla. Se e quando “guardarsi” per capire come e cosa ha passato. E quel quaderno, quelle pagine scritte fitte fitte diventeranno quel filo che unirà una frattura di vita. Un filo che racconterà quel silenzio, quel buio improvviso che ha travolto chi, in quel momento, starà cercando con tutte le forze di riprendere in mano capacità motorie, intellettive o anche solo emozionali. Ed è stata emozione anche per me.

Ascoltavo le storie. Guardavo gli occhi delle persone e capivo con quanto loro avessero nel cuore una reale voglia di far star bene chi era aggrappato spesso a un filo di vita. Registravo profondità di sentimenti e una grande, stupenda consapevolezza di quello che era il loro lavoro: capacità, voglia di prendersi cura di chi stavano anche curando, ribaltando così quello che, sempre più spesso e con una freddezza che fa quasi paura, avviene soprattutto nei grandi ospedali: il curare fine a se stesso. Non posso che dire grazie.

Grazie per avermi permesso di toccare con mano e vedere realizzato in maniera assolutamente perfetta un pensiero, una volontà che sempre più, oggi come oggi, se ne sente il bisogno: l’umanizzazione nei luoghi di cura.

A Pisa, a Cisanello, nel reparto di anestesia e rianimazione del Pronto soccorso tutto questo c’è già. Tutto questo è realtà.

Grazie

Editorialista
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