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Testimonianze

Salme, prendersene cura dopo la cura

di Monica Vaccaretti

Salma è il corpo del defunto. È il corpo umano, la sua parte fisica. È il carico corporeo dell'anima, quando l'anima o l'energia, che è la sostanza di cui siamo fatti, si spegne. È la spoglia mortale dell'uomo. È ciò che resta dopo che la vita se n'è andata. Indica il corpo di un morto già composto per la sepoltura. Meno poeticamente, è il cadavere che giace inerme in attesa di essere sepolto o cremato. Etimologicamente, significa carico, soma. Un corpo senza vita, incredibilmente, pesa. Più che in vita. È un peso morto, si dice.

Salma è il contrario di una persona viva

Deve essere particolarmente difficile in questi tempi drammatici ricomporre una salma nuda, metterla dentro un sacco nero o blu. Chiuderlo con la zip. Quello dove finiscono coloro che muoiono a causa di Sars-CoV-2.

Ei fu, mi viene da pensare ogni volta che incrocio qualche salma nei sotterranei dell'ospedale. Immobile, orba di tanto spiro, così Manzoni narrava Napoleone Bonaparte nella poesia 5 maggio, giorno della sua morte.

La salma in cui mi sono imbattuta anche stamattina, girando quell'angolo, giaceva su un carrello di acciaio inox coperta da un lenzuolo bianco, il suo sudario. Si dirigeva, accompagnata in silenzio, verso la sua cella mortuaria. Il corpo è completamente celato, non se ne coglie età ed identità di genere. È soltanto un'anonima forma che ha le fattezze di un corpo. Mi sfiora, rallento il passo, mi fermo, al suo passaggio nello stretto corridoio, per cedergli il passo.

Mi viene da chinare il capo. Come segno di rispetto, chiunque sia, per aver lasciato questo mondo. Viene dai piani alti, uno dei sette piani come nel racconto di Dino Buzzati. Sette piani. Ha preso l'ascensore con l'operatore addetto alle celle che è salito a prenderlo di buonora, forse ha appena iniziato il turno o forse è l'ultima anima spirata stanotte che porta giù.

Le salme sono tutte uguali, rifletto, quelle dei potenti che hanno governato la Terra, quelle dei ricchi che hanno goduto bene la vita tra agi e viaggi, quelle di tutti gli altri che comunemente hanno vissuto.

La differenza tra le salme sta nelle lacrime che vengono versate e negli onori che vengono dati, se qualcuno si è distinto per aver fatto in vita cose grandi, buone o meritevoli. L'oblio è per tutti gli altri.

Per alcuni ci sono funerali di Stato, esequie in diretta televisiva come è diventato costume mediatico, camere ardenti aperte per ore al grande pubblico che attende in lunghe file, per sincero cordoglio, per curiosità, per essere partecipi all'evento. Altri hanno poche persone dolenti in processione dietro il carro che procede a passo d'uomo sui vialetti del camposanto. Chicchessia, ogni salma merita rispetto. In nome della vita che ha avuto. E del momento in cui ha chiuso gli occhi per sempre. E non importa il modo in cui la morte viene a prenderti.

Come infermieri ci prendiamo cura dei vivi fino all'ultimo

Quando sono malati la morte è attesa, talvolta la vediamo arrivare su quei nasi affilati e il colorito del viso, già qualche giorno prima. Non è mai facile vedere morire qualcuno. Morte dopo morte, per anni.

La flebo è ancora appesa, cercando di infondere nutrienti, instillare gocce d'acqua, lenire il dolore. Talvolta addormentiamo per accompagnare con dignità, perché non ci si renda conto del trapasso che può essere fisicamente molto duro. E quando tutto finisce, dopo giorni di cura e di prendersi cura dei bisogni primari della persona, non resta che posare il palmo sulle palpebre per abbassarle e arrotolare un telo sotto il mento per tenere chiusa la bocca.

La rigidità post mortem arriva presto ad irrigidirti le ossa, il freddo ti entra dentro. Le articolazioni si bloccano. Poi altrimenti occorre spezzarle. Mentre si ricompone la salma, girandola da una parte e dall'altra, sentiamo il suo peso e il calore si disperde sotto le nostre mani.

Togliamo accessi venosi, tubi di drenaggio, elettrodi, cerotti, medicazioni. Non servono più. Sono tracce di tutto il nostro affaccendarsi attorno a quella persona per ridare salute. Non sempre ci riusciamo, spesso rallentiamo soltanto l'evento, ineluttabile, lo allontaniamo. Sarà per un'altra volta, per qualche accidente o incidente diverso

Poi generalmente si porta la salma in una stanza dedicata del reparto, sosta salme, si chiama. La si allontana dai vivi, è di cattivo gusto. Inquieta. Non sarebbe rispettoso per il morto, anche se non sa più di essere al mondo. Che vuoi che gli importi? Si avvisano i familiari, se non sono già al capezzale. Li si accompagna dal defunto, per un cordoglio intimo per quanto è possibile in una corsia. Si avvisa il medico per la constatazione del decesso. Si chiamano i necrofori. Possono venire subito, o tardare. A volte c'è tanto lavoro da sbrigare.

Smettiamo di prenderci cura della persona diventata salma quando i necrofori arrivano. Il nostro accudimento passa anche attraverso la sorveglianza di un corpo in una stanza deserta e silenziosa, in attesa. E una volta che è passata di mano altrettanto professionale, della salma occorre continuare a prendersene cura con il rispetto dedicato alla persona umana.

Sanno toccarla, Girarla. Togliere la semplice camiciola da ospedale, lavare ogni parte del corpo con spugna e sapone. Pulirla dai fluidi corporei che i visceri naturalmente rilasciano. Asciugarla con delicatezza. Qualche goccia di essenza profumata non guasta. Vestirla con gli abiti scelti da chi l'ha amata. Truccarla, per cancellare i segni della morte. Togliere l'inespressività, il pallore, il grigiore. I lineamenti tirati, sofferenti. La pelle consumata dal dolore. Le tumefazioni, le ecchimosi. Le ferite. Le cicatrici.

Disegnarci il sorriso. Pitturarci il sentimento di chi se n'è andato in qualche modo sereno. Era così bella, pareva dormisse. Aveva un viso rilassato, si sente dire ai funerali. Dietro ad una salma ben deposta in una bara ci stanno professionisti che danno decoro allo strazio della separazione e offrono conforto con l'ultimo ricordo che hanno anche del corpo. Ti aiutano a lasciarli, come se dormissero.

Ho grande rispetto per gli operatori ospedalieri che lavorano alle celle mortuarie. È un luogo funesto dove nessuno vorrebbe finire mai e sono pochi coloro che vorrebbero lavorarci. Qualche infermiere talvolta è nell'équipe. Passare i turni tra celle frigo e carri funebri, non è da tutti. Ci vuole sangue freddo e stomaco vuoto.

Ci vuole qualcosa di diverso o in più per avere a che fare sempre con i morti

E con le lacrime dolorose dei parenti. Deve essere particolarmente difficile in questi tempi drammatici ricomporre una salma nuda, metterla dentro un sacco nero o blu. Chiuderlo con la zip. Quello dove finiscono coloro che muoiono a causa di Sars-CoV-2.

Deve essere straziante far entrare i familiari per l'ultimo saluto prima del camposanto, soltanto a bara chiusa secondo le disposizioni ministeriali. Deve essere strano, quando in certi momenti la mortalità è elevata per le più disparate eziologie, non avere posto dove mettere le salme. Mi chiedo che cosa devono aver provato gli operatori delle celle mortuarie durante i mesi peggiori della pandemia quando la moria era devastante. Penso a cosa psicologicamente sono stati sottoposti.

Certamente ci sono emozioni forti che i sanitari vivono sulla pelle avendo a che fare ogni giorno con i vivi e non riuscendo sempre a salvarli. Si sentono storie di casi che rattristano o sconvolgono. Ti restano dentro. Ti porti a casa. Ma non credo che il coinvolgimento emotivo dei necrofori e dei preparatori di salma sia minore.

I morti non parlano, non disturbano, non chiedono più niente. Se non di avere rispetto, se fossero ancora in vita, di avere cura di quello che sono stati. Di essere toccati, un'ultima volta ancora, con quell'umanità e quella gentilezza che ci rende umani fino alla fine, prima di finire sottoterra.

È vero che ai morti non ci si abitua, come non ci abitua ai vivi del resto. È un lavoro, quello dei sanitari e dei necrofori, che non può essere svolto tuttavia per abitudine. Insieme rappresentiamo l'inizio e la fine della cura, diritto inalienabile di ogni persona che viene al mondo, da garantire anche dopo l'ultimo respiro. Ci si rende conto del valore di questi professionisti, nascosti nelle celle, soltanto quando dobbiamo affidare loro qualcuno che si ama. Semplicemente grazie per ogni gesto che fate.

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