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Testimonianze

Infermieri demansionati: una storia vera, troppo vera!

di Redazione

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Dopo il concorso di Bologna che ha destato tante polemiche: "anche io sono pronto, tutti lo siamo. Se sono costretto a sentirmi un numero, scelgo il numero 1. Tutti siamo numeri 1".

Ho voglia di raccontare una storia vera. Purtroppo. Ho voglia di scrivere quello di cui, chissà se per paura o se per una tacita congiura tutta italiana del silenzio, nessuno parla mai o ne parla troppo poco. Forse se ne parla troppo poco, perché si firmano sempre meno contratti.

Forse perché l' Italia è il paese nel quale “bisogna baciarsi i gomiti” se hai la fortuna di lavorare (anche questa è una storia vera, ripetuta continuamente da alcuni dirigenti infermieristici che, talvolta, dimenticano di essere infermieri come noi).

Come se lavorare dopo un duro ed articolato percorso di formazione non fosse un diritto, come cita il primo articolo della nostra cara Costituzione, ma solo il risultato del lavoro di due glutei che hanno svolto il loro reale compito; una botta di c..o, per intenderci!

Rivendico il diritto di esprimere, attraverso la mia opinione, i costanti disagi subiti dalla nostra categoria, con la complicità dei vertici.

Emilia Romagna – 2016

Dopo un colloquio, in seguito alla presentazione di un curriculum vitae, vengo selezionato per essere il “nuovo infermiere” di un ospedale privato accreditato. Sono invitato a recarmi in anticipo il primo giorno di lavoro, per firmare un contratto di sei mesi. Nonostante l'ora (erano le 6.30 del mattino) e la tipica emozione di chi si accinge a vivere una nuova esperienza lavorativa, leggo con attenzione tutti i capi che compongono il suddetto contratto. Al punto 4 si legge: “Lei svolgerà le mansioni da infermiere”.

Incredulo e sbigottito, sono catapultato indietro nel tempo; mi ritrovo, senza volerlo, nel 1999 quando la Legge 42 parlava di abolizione del mansionario o forse no... In realtà ho viaggiato molto più indietro fino al 1974, quando il DPR 225 poneva decine di limitazioni al nostro lavoro. Mi son chiesto se avrei dovuto limare gli aghi per le iniezioni e bollirli per riutilizzarli nuovamente. A ben vedere, forse è cambiato nulla o poco da allora. Però, se una di queste due leggi fosse stata oggetto di domanda in sede concorsuale ed in preda all'agitazione avessimo sbagliato la risposta, saremmo stati bocciati o respinti. Conoscerle è necessario, applicarle molto meno, pare.

Firmando un contratto del genere non ci ci stupisca poi se sei in turno da solo con 22 pazienti (sempre diversi poiché costretto a cambiare quasi ogni giorno reparto), se devi chiamare il fisiatra per desuturare una ferita, se devi contattare il medico per comunicare i valori di una glicemia nella norma, per somministrare un ipoglicemizzante orale o se, tra una compressa ed una flebo, devi sollevare e lavare un paziente cercando di non essere vittima delle invettive del parente di turno, con l'errore in agguato.

Pochi giorni fa, si è svolto a Bologna l'ormai famigerato concorsone per 1 posto da infermiere (di questa esperienza surreale ne parlerò prossimamente). La presidente di commissione incitava al microfono lo slogan “noi siamo pronti”, nato proprio all' ombra dei colli bolognesi. Anche io sono pronto. Tutti lo siamo.

Siamo pronti da sempre per essere considerati persone e professionisti e non solo numeri e cognomi in grassetto su un file excel per dimostrare che “il turno è coperto”. Se sono costretto a sentirmi un numero, scelgo il numero 1. Tutti siamo numeri 1. Per questo dovremmo essere pronti, non per altro.

Fiorenzo Nightmare, Infermiere in Emilia Romagna

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