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Testimonianze

Laura, Infermiera in Inghilterra: "noi perno fondamentale del Sistema sanitario della Regina!"

di Redazione

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"La società inglese vede l’infermiere come una figura paritaria al medico, una figura importante e preparata; il riscontro di meriti ed elogi non manca mai, per non parlare delle lettere di ringraziamento che puntualmente qualche paziente o familiare con affetto ci tiene a lasciare."

Caro Direttore,

mi chiamo Laura, ho 23 anni e da 10 mesi sono emigrata in Inghilterra per coronare il sogno di lavorare come Infermiera. Il 9 febbraio 2015 ho firmato un contratto di lavoro per l’Inghilterra; tanta era la paura ma al contempo tanta era anche la voglia di imparare e conoscere in prima persona e per la prima volta quella che sarebbe stata la mia professione.

Primo giorno, divisa indossata, badge identificativo al taschino, penne e block-notes nella tasca laterale del mio pantalone blu e la buffa presentazione in inglese con il simpatico e particolare accento italiano che, porta a tutti un grosso sorriso stampato in faccia.

LauraAmodeo

Laura Amodeo.

Primi mesi difficili da superare, la lingua da imparare e gli orari di lavoro da affrontare non sono stati proprio cosi facili da gestire, ma fin dal principio l’amore per la professione mi ha spinto a provare e a mettermi in gioco; poi con il tempo, tra alti e bassi, prendi il ritmo regolare e entri in carreggiata a marcia ingranata.

In questi mesi di esperienza, l’Inghilterra mi ha portato a riscontrare tutto quello che, durante il mio percorso di studi universitario, avevo studiato sui libri a riguardo della figura infermieristica, cosa che, mio malgrado, ancora non avevo del tutto inquadrato nella mia piccola
realtà.

Da infermiera qui, ho potuto riscontrare quanto il mio lavoro sia essenziale per il processo curativo del paziente, come il mio da fare sia unico e di mia sola competenza.

Ti trovi in corsia a sbrigare al meglio il tuo operato mentre altrettante figure professionali in turno con te si cimentano a lavorare per lo stesso unico scopo, quello di garantire il benessere completo del paziente “step by step” per poi poterlo dimettere, catapultandolo nuovamente nel contesto sociale di provenienza, al meglio delle sue capacità.

Ecco, si dia il caso che in Inghilterra la figura del paziente viene riabilitata in “toto” e questo grazie ad un’azione sinergica tra differenti figure: fisioterapista, medico, segretario di reparto, caposala, assistente sociale, terapista occupazionale e operatori socio sanitari contribuiscono a formare un grande team finalizzato ad organizzare al meglio il piano di recupero per ogni paziente, garantendogli inoltre sia la giusta locazione post-dimissione inerentemente allo specifico grado di dipendenza sociale, sia la giusta assistenza medica al di fuori dell’ospedale.

L’infermiere quindi diventa parte di questo grande cerchio collaborativo, che insieme a tutte le altre figure, mano per mano ha lo scopo di garantire la continuità assistenziale al processo di guarigione del paziente.

Realizzi così di avere la tua autonomia decisionale, la possibilitá vera e propria di proporre la tua diagnosi infermieristica e di confrontarti con altre figure professionali su quali siano le migliori strategie da prendere in considerazione relativamente ad ogni paziente.

Sulla cartella medica del paziente hai anche tu il compito di scrivere le note infermieristiche riguardanti il paziente, così come il fisioterapista, il medico e il terapista occupazionale, con il risultato di avere davvero un quadro completo per ogni paziente.

Non ti senti una figura subordinata , ma hai una vera e propria importanza decisionale, non sei il “manovale” del tanto stimato medico ne tantomeno non sei: “Infermiere mi può alzare la maglia del paziente che ho bisogno di auscultare il torace?”, oppure “infermiera ma l’avete fatto il caffé”?

Con ciò non voglio assolutamente generalizzare e dire che questo ė ciò che accade ovunque in Italia o tanto meno che il medico si sente una figura privilegiata nei confronti dell’infermiere, ma talvolta in piccole realtá è anche il solo infermiere che si veste nei panni del professionista che non ha ancora reciso il cordone ombelicale dall’ausiliarietà del medico.

Qui il medico ti chiede come stai, ti ritrovi in reparto medici della tua stessa età che si fanno sempre chiamare per nome. Non esiste nessun “Vossignoria”, “Egregissimo Dottor” ma semplicemente il logico e tanto normale rapporto che dovrebbe esserci tra due collaboratori che lavorano per lo stesso scopo e che soprattutto provengono da un substrato professionale attiguo.

La società vede l’infermiere come una figura paritaria al medico, una figura importante e preparata; il riscontro di meriti ed elogi non manca mai, per non parlare delle lettere di ringraziamento che puntualmente qualche paziente o familiare con affetto ci tiene a lasciare.

Finalmente ottieni i riconoscimenti che merita la nostra figura professionale, dovuti anche alle nostre innumerevoli responsabilitá, competenze e capacità che dovrebbero essere riconosciute sempre con rispetto anche, ahimé, in alcune zone della nostra nazione.

Forse sarà la società italiana in cui viviamo che ancora non è pronta a vederci come figura autonoma o forse sarà lo stesso infermiere che non è pronto o addirittura non è stato abituato alll’idea di poter essere una figura professionale autonoma, ma sono fiduciosa che i passi avanti si stanno facendo anche nel mio bel paese dove spero presto di poter tornare a lavorare, portando nel mio bagaglio culturale tutte queste esperienze che l’Inghilterra mi ha offerto e impegnandomi al meglio per riuscire a fare sempre di meglio.

Laura Amodeo, Infermiera in Inghilterra

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