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Lavoro Infermieri: per il Censis serve più presenza sul territorio e al domicilio dei pazienti

di Angelo

ipasvi congresso

È quanto emerso a Roma nell'ambito del XVII Congresso della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi

infermieridisoccupatiROMA. Come cambiano le esigenze della popolazione italiana e quali sono le richieste specifiche di assistenza infermieristica. La domanda da parte del territorio è ampia e variegata ed è arrivato il momento che le Istitutioni regionali e nazionali si attengano alle esigenze dei più attuando una spending-revew che doveva essere una opportunità per tutti, ma che in realtà si è trasformata in una solida realtà per pochi.

È quanto emerso a Roma l'altra sera nell'ambito del XVII Congresso della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, che ha riunito nella capitale oltre 4.000 delegati e rappresentati degli infermieri dello Stivale.

A difendere le posizione di cittadini e infermieri ci ha pensato il Censis presentando un documento in cui si evince chiaramente che la vision assistenziale è cambiate e che le nuove esigenze dei cittadini portano dritte verso una care prestazionale a domicilio e sul territorio.

Vediamo nel dettaglio di cosa parla questa relazione.

In un anno si sono rivolti a un infermiere privatamente, pagando di tasca propria, circa 8,7 milioni di cittadini italiani (il 17,2% dei cittadini maggiorenni) di cui:

- 6.900.000 (il 13,7%) per una prestazione una tantum;
- 2.300.000 (il 4,5%) per una prestazione continuativa. Per tipologia di utenti, si tratta di:
- il 44,4% dei non autosufficienti (1.400.000 persone),
- il 30,7% dei malati cronici (2.800.000);
- il 25,7% degli ultrasettantenni (2.300.000).

Nel Nord-Ovest si registra la quota più alta di persone (25,8%) che hanno fatto ricorso a un infermiere pagandolo di tasca propria, mentre al Nord-Est si è trattato dell’11,7%, al Centro del 15,4% ed al Sud-Isole del 14,5%.

Le prestazioni prolungate acquistate hanno avuto una durata media di 2 mesi e 20 giorni; tra i non autosufficienti la durata media è stata di 3 mesi e 10 giorni, tra i malati cronici di 2 mesi e 24 giorni. Relativamente all’assistenza prolungata, le prestazioni maggiormente richieste sono state le iniezioni (58,4%), le perfusioni, le infusioni o le flebo (33,1%), l’assistenza in generale (24,5%), le medicazioni e i bendaggi (24,4%) e l’assistenza notturna (22,8%).

Il potenziale di domanda di assistenza infermieristica in realtà è ancora maggiore, in quanto ammontano in Italia ad oltre 3,1 milioni le persone non autosufficienti, di cui circa 1,5 milioni in stato di confinamento, a oltre 9,1 milioni le persone con patologie croniche e a oltre 5,6 milioni gli anziani con patologie croniche.

Sulla base dei dati raccolti, in dodici mesi la spesa privata per prestazioni infermieristiche è stata pari a 2,7 miliardi di euro, di cui oltre 2,3 per assistenza prolungata nel tempo e 358 milioni per le prestazioni una tantum.

La legittimazione sociale dell’inappropriatezza

La necessità per le famiglie di contenere le spese (anche con una domanda sommersa e il ricorso al “nero”) e la propensione a rivolgersi a chi non è infermiere, alimentano il fenomeno dell’inappropriatezza delle prestazioni.

Oltre 4,2 milioni di italiani nei dodici mesi precedenti l’intervista si sono rivolti a figure che non sono infermieri per avere prestazioni infermieristiche. Ci si rivolge a tali figure per varie ragioni: la fiducia nella persona cui si fa ricorso (42%), il costo eccessivo di un infermiere (33,7%), la convinzione che per alcune prestazioni l’infermiere non sia indispensabile (31,5%).

La maggioranza si dichiara tutto sommato soddisfatta delle prestazioni avute, e i casi di danni subiti sembrerebbero residuali.

Le badanti sono una figura emblematica: nelle case in cui lavorano le badanti gestiscono le terapie farmacologiche (88,8%), fanno iniezioni (32,3%), si occupano di eventuali bendaggi e medicamenti (30,4%), intervengono in caso di esigenze sanitarie che di solito richiedono il ricorso a infermieri (20,5%) e gestiscono un catetere (6,2%). Il 51,5% delle persone che impiegano una badante ritengono che la propria badante sia preparata per svolgere prestazioni infermieristiche ed il 30,6% la considera in grado di intervenire in caso di emergenze sanitarie. Il 51% degli italiani ritiene che si ricorre alla badante per prestazioni infermieristiche perché pagare un infermiere in modo continuativo è troppo costoso.

Per il 50,9% degli italiani esistono prestazioni semplici, quali le iniezioni o le medicazioni, per cui l’infermiere non è indispensabile; il dato risulta più elevato tra gli anziani (55,4%), che sono consumatori più intensi di prestazioni infermieristiche. Entrando nello specifico delle singole prestazioni emerge che:

- per medicazioni e bendaggi, il 41,2% si rivolgerebbe a chi non è infermiere, e cioè il 19,7% a un familiare, il 13,7% a un operatore socio-sanitario (Oss) e il 7,8% a una badante. In particolare, tra i non autosufficienti e i malati cronici risultano più elevate le quote di coloro che si rivolgerebbero ad un familiare (rispettivamente, del 34,6% e del 20,7%) e ad una badante (rispettivamente, del 12,5% e del 12,4%);

- per le iniezioni il 43,7% si rivolgerebbe ad altri, e cioè il 24,2% a un familiare, il 12,8% a un OSS, il 6,3% a una badante; la quota che si rivolgerebbe a un familiare sale al 44,9% tra i non autosufficienti, al 26,2% tra i malati cronici e al 27,6% tra gli ultrasettantenni, e quella che si rivolgerebbe ad una badante al 9,7% tra i malati cronici ed al 9,1% tra i non autosufficienti;

- per l’assistenza notturna con esigenze sanitarie, il 53,5% della popolazione si rivolgerebbe ad altri, e cioè il 26,6% ad una badante, il 13,9% a un OSS e il 13% ad un familiare; salgono le quote che si rivolgerebbero a una badante tra i malati cronici (31,7%), tra i non autosufficienti (31,5%) e tra gli ultrasettantenni (28,9%);

- per la misurazione e registrazione di parametri e valori vitali (pressione, temperatura, ecc.), il 72,1% si rivolgerebbe ad altri, e cioè il 51,9% a un familiare, il 13,9% alla badante e il 6,3% a un OSS; tra i non autosufficienti e tra gli ultrasettantenni salgono le quote di coloro che si rivolgerebbero ad un familiare (rispettivamente al 71,4% e al 56,7%), mentre tra i malati cronici sale la quota che rivolgerebbe a una badante (17,8%);

- per la gestione delle terapie farmacologiche il 77,8% si rivolgerebbe ad altri, e cioè il 57,7% a un familiare, il 17% ad una badante ed il 3,1% ad un operatore sociosanitario; sale la quota che si rivolgerebbe a un familiare tra i non autosufficienti (74,9%) e tra gli ultrasettantenni (61,3%), tra i malati cronici sale invece quella che si rivolgerebbe a una badante (22,2%).

I paradossi della professione

Secondo i risultati dell’indagine Censis, c’è una domanda ampia e inevasa di prestazioni infermieristiche che convive con una disoccupazione e sottooccupazione infermieristica in crescita, con una paradossale coesistenza di “meno infermieri rispetto al bisogno reale”, ed “eccesso di infermieri” rispetto alla capacità dei mercati di generare valore e quindi occupazione conseguente.

Le cause sono:

- il blocco delle assunzioni nel pubblico chiude gli sbocchi attesi dagli infermieri, e l’attività libero professionale o autonoma è considerata un second best, se non addirittura un ripiego, una fase di passaggio verso la vera occupazione da dipendente, possibilmente nel pubblico;
- in attesa di sbocchi migliori, tanti infermieri si collocano in posizione subordinata e di debolezza nell’ambito delle prestazioni infermieristiche di territorio, sviluppando un’attività al nero fondata su reti parentali, relazionali e di vicinato, o accettando collocazioni a basso reddito nelle strutture di intermediazione, dalle cooperative alle agenzie di intermediazione;
- l’esistenza di una domanda consistente di prestazioni infermieristiche e l’assenza di una offerta strutturata dello stesso livello rendono sempre più forti le strutture di intermediazione, che fanno incontrare la domanda con gli infermieri disponibili, incassando una quota consistente del valore del mercato infermieristico, e comprimendo la remunerazione dell’infermiere;
- la ridotta propensione degli infermieri a organizzarsi per il lavoro autonomo o in attività di impresa li consegna in posizione di debolezza verso le agenzie (cooperative o imprese) che fanno incontrare la domanda dei cittadini con l’offerta di infermieri. Sono troppo pochi gli infermieri che strutturano la propria attività libero professionale sul territorio creando un proprio portafoglio clienti.

Ma che la funzione di fare incontrare domanda e offerta sia strategica in questa fase lo testimoniano i dati della ricerca: il 25,4% degli italiani ha difficoltà a trovare un infermiere privato sul territorio in cui vive, molti ricorrono alla intermediazione di reti informali, parenti, amici e conoscenti.

I rischi presenti e futuri

La domanda di prestazioni infermieristiche è diffusa, fatta di persone che hanno difficoltà ad acquistare le prestazioni di cui hanno bisogno. Questa situazione rende molto forti i soggetti (ancora pochi, e per questo ancora più forti) non sempre professionalmente e deontologicamente verificati che consentono alla domanda di incontrare la propria offerta.

Altro problema è legato alle tariffe di scambio delle prestazioni infermieristiche sul territorio. L’attuale situazione ha spinto verso il basso le tariffe delle prestazioni praticate ai cittadini (e ancor più la quota che poi va effettivamente agli infermieri). Tuttavia, soprattutto in caso di bisogno di assistenza prolungata, la spesa per l’assistenza infermieristica continua ad essere elevata e tale da tagliare fuori quote rilevanti di domanda potenziale. I cittadini reagiscono spesso pensando di ricorrere al nero e sommerso (“voglio prestazioni infermieristiche senza fattura, al nero”) e ricorrendo a non infermieri, generando inappropriatezza e mettendo a rischio la qualità e la sicurezza delle prestazioni e quindi anche la salute.

Gli infermieri guardano spesso alle attività svolte in libera professione e di tipo imprenditoriale come una diminutio, o al massimo come una fase di transizione, finendo per accettare condizioni retributive e di lavoro particolarmente penalizzanti.

C’è un’evidente carenza di infermieri, visto che circa un quarto degli intervistati ha trovato infermieri nel proprio territorio con difficoltà e non lontano da casa, e che un terzo giudica insufficiente il numero di infermieri esistenti. Vi è quindi un collo di bottiglia, che rende forti le poche agenzie di intermediazione (dalle cooperative alle agenzie propriamente dette), limita gli sbocchi occupazionali per gli infermieri (riducendone potere contrattuale, retribuzioni e peggiorando condizioni di lavoro) e lascia inevase quote rilevanti di domanda, inclusa la domanda pagante. Dall’indagine emerge che i cittadini non hanno consuetudine con strutture o singoli professionisti operanti sul territorio e, in caso di necessità, “vagano nel buio” per poi ricorrere a medici e reti informali di parenti e amici. Gli infermieri non fanno propria l’attività libero professionale o imprenditoriale e si pensano come dipendenti di (in ordine decrescente di valutazione) grandi ospedali pubblici, strutture sanitarie pubbliche o private, presidi sociosanitari sul territorio e così via. E se si lavora sul territorio si preferisce passare per i soggetti di intermediazione, come dipendenti o con rapporto di lavoro autonomo.

Tutto ciò genera un rischio per il settore infermieristico: se non riparte lo sbocco occupazionale pubblico e/o non cambia la cultura professionale degli infermieri rispetto all’esercizio dell’attività libero professionale o di imprese e/o non si riorganizza l’offerta di prestazioni infermieristiche e, in generale, di sanità sul territorio, a fronte della dinamica incrementale dei bisogni di prestazioni infermieristiche e di assistenza sul territorio, è altamente probabile l’incancrenirsi delle derive patologiche con uno scenario fatto di:

- potenti soggetti di intermediazione tra la domanda dei cittadini e l’offerta degli infermieri, in grado di imporre condizioni sempre più penalizzanti per gli infermieri stessi, senza garantire qualità e sicurezza;

- ampliamento del sommerso e del nero informale, di reti orizzontali, che genera un valore ridotto rispetto a quello effettivo perché non si organizza.

Le Istituzioni sono avvisate...

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