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Professioni sanitarie

L’infermieristica transculturale in una società dai mille volti

di Sara Di Santo

Importanti fenomeni di migrazione, più o meno recenti, hanno reso la nostra una vera e propria società multiculturale. Decidere se considerarla un “problema da risolvere”, un’opportunità di crescita e arricchimento o entrambe le cose insieme non è semplice, ma in ambito infermieristico la scelta è e deve essere una sola: accoglienza.

Quanto siamo “culturalmente sensibili” durante l’assistenza?

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L'infermiere presta quotidianamente assistenza a persone di culture differenti.

L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.

Leggere un quotidiano o guardare un telegiornale, di questi tempi, è una pratica che mette a dura prova la coscienza e scombussola opinioni e credenze di tutti noi; l’articolo 4 del Codice Deontologico degli infermieri, però, parla chiaro. E, per fortuna, continua a rappresentare una guida fondamentale per la pratica infermieristica.

L’infermiere è un professionista che, indossata la divisa, mette fra parentesi la maggior parte dei propri dubbi, consapevole del fatto che un’assistenza di alto profilo non può fare a meno dell’accoglienza delle persone, ciascuna con le proprie personali differenze.

Gli infermieri italiani sono quotidianamente a contatto con una gamma molto ampia di culture differenti fra loro, ma fino a che punto sono consapevoli della propria competenza culturale?

Proviamo a fare chiarezza su qualche punto in particolare.

Cosa si intende per “cultura”?

Il concetto di cultura nasce nel 1871 per opera di Sir Edward Tylor, antropologo britannico che ne intuì i concetti fondamentali:

    • si apprende dalla nascita tramite linguaggio e socializzazione;
    • è condivisa da un gruppo;
    • è caratterizzata da influenze ambientali, tecnologiche e di risorse;
    • è in continua evoluzione.

Cosa si intende per “subcultura”?

Per subcultura si intende un determinato gruppo di persone che, nonostante il disgregarsi della propria cultura in seguito ad un’emigrazione, continuano a condividere elementi identitari tali da renderli un’entità distinta dalla società nella quale si sono inseriti.

È la tipica situazione delle popolazioni di migranti arrivate nel nostro Paese, tra le quali si contano anche subculture riconducibili ad una stessa area di provenienza, subculture religiose, politiche, etniche, razziali e culturali.

Razza, etnia, minoranza: sapremmo dire davvero cosa sono?

Sono concetti sui quali spesso si tende a fare confusione, mescolando il significato di uno a quello di un altro e commettendo così errori grossolani che un infermiere non può permettersi, come individuo e come professionista.

Il termine razza identifica esclusivamente le differenze biologiche accertabili nei caratteri fisici, come ad esempio:

  • pigmentazione cutanea;
  • forma degli occhi e del naso;
  • struttura ossea.

Il concetto di etnia costituisce il senso d’identità e di appartenenza ad una stirpe comune e/o ad una terra natale che vengono manifestati con orgoglio attraverso:

  • nomi tipici;
  • capi d’abbigliamento caratteristici;
  • cibi della propria terra;
  • danze e musiche popolari.

Il termine minoranza descrive un gruppo di persone che si differenzia dalla collettività dominante per caratteristiche fisiche e culturali. È un concetto che contraddistingue non tanto la numerosità dei componenti del gruppo di minoranza, quanto la loro condizione di subordinazione e l’assenza di potere o controllo sui trattamenti impropri che spesso subiscono.

Ecco che l’infermiere ha il dovere di acquisire una competenza culturale che corrisponda alla capacità di riconoscere i propri valori e principi, di comprendere quelli degli assistiti di altre culture e di intuire come gli atti assistenziali vengano inevitabilmente influenzati da questo incontro.

A quali rischi si va incontro nei contesti assistenziali quando si parla di gruppi culturali, etnici o razziali?

Gli errori che più facilmente si commettono su questi argomenti sono tre:

stereotipizzazione: pensare a priori che tutti i membri di un particolare gruppo condividano gli stessi valori e le stesse credenze, che siano fondamentalmente simili gli uni agli altri, significa disumanizzare il soggetto (e, quindi, la cura), impedendo la sua visione come individuo unico quale in realtà è;

generalizzazione: è frutto di mancanza di informazioni, cosa che porta a non vedere il singolo, ma ad agire basandosi sull’attribuzione di un ampio mix di credenze e comportamenti ai componenti di un certo gruppo culturale. Può permettere di garantire un’assistenza adeguata, ma il confine con la stereotipizzazione è molto sottile e l’infermiere deve sempre tenerlo presente;

etnocentrismo: la convinzione che la propria sia l’unica etnia “giusta” è un qualcosa che l’infermiere deve tenere ben lontano da sé, riconoscendo e rispettando la differenza dei principi degli assistiti al fine di erogare un’assistenza veramente efficace ed efficiente.

Nursing Transculturale

Il Nursing Transculturale, declinato da Madeline Leininger nel 1977, rappresenta una specialità infermieristica che consiste nell’erogazione dell’assistenza in un contesto nel quale interagiscono culture differenti.

I principi che guidano il Nursing Transculturale sono:

    • accoglienza e rispetto di ciascun individuo come essere unico e irripetibile;
    • conoscenza dei problemi prioritari di salute che colpiscono determinati gruppi culturali;
    • accertamento del substrato culturale e delle credenze relative alle pratiche sanitaria;
    • elaborazione di un piano di assistenza compatibile con il sistema di credenze sulla salute di ogni individuo.

Se si considera che il retroterra culturale influenza le azioni e le reazioni di ciascun individuo all’ambiente e alle situazioni nuove che si trova a vivere, non è difficile intuire come acquisire competenze transculturali rappresenti un ulteriore progresso per la professione infermieristica: un passo avanti verso l’erogazione di prestazioni assistenziali che, oltre a tutto il resto, non feriscano la dignità culturale, parte importante della dignità dell’individuo.

Come acquisire competenze transculturali?

Apprendere una lingua straniera: è impensabile conoscere tutte le lingue ed è sempre più presente nei setting assistenziali la figura dell’interprete/mediatore culturale; nonostante questo, la conoscenza di una lingua straniera da parte del professionista infermiere è raccomandabile per colmare i gap comunicazionali;

aggiornare le tecniche relazionali: è fondamentale conoscere come alcune tra le più frequenti sfumature delle attività assistenziali comprendano elementi che assumono valori differenti da persona a persona, ad esempio:

  • contatto visivo: il guardare in maniera prolungata negli occhi può rappresentare cosa gradita, oppure qualcosa di offensivo o di lesivo della propria intimità;
  • contatto fisico: ci sono culture che prevedono l’impossibilità per un uomo, seppur operatore sanitario, di eseguire un esame fisico su una donna, altre che vedono una forma di scortesia nel contatto della testa, poiché “contenitore” dello spirito, ecc.;
  • spazi e distanze: la riduzione dello spazio personale è spesso recepito come un disagio;

approfondire aspetti biologici e culturali: è opportuno acquisire familiarità con le principali differenze fisiche fra i vari gruppi etnici e con le principali credenze culturali e sanitarie per progettare un piano di assistenza adeguato (ad es. non trascurare il fattore alimentazione e come il cibo possa rappresentare una ricompensa o una punizione, prevedere il digiuno, l’eliminazione di determinati alimenti o rituali particolari);

coinvolgere l’assistito: al fine di conoscere i suoi modelli di coping e di favorire i rituali che la persona ritiene utili alla propria guarigione (qualora non controindicati e/o dannosi);

rispettare l’assistito: evitare di ridicolizzare, in forma verbale o non verbale, qualsiasi convinzione o pratica culturale e scusarsi con la persona se le credenze culturali vengono in qualche modo violate.

Questi sono solo alcuni piccoli punti di una realtà molto più vasta, ma sono attuabili in qualsiasi contesto assistenziale in caso di bisogno e possono rappresentare spunti di riflessione e, perché no, essere motori di propulsione per un aggiornamento sulla scia di una infermieristica “culturalmente sensibile”.

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