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lettere al direttore

Nunzia: "Infermieri Italiani a due velocita'!"

di Angelo

ricerca-infermieristica

Lettera di una nostra lettrice per denunciare carenze nella formazione professionale e introdurre la rotazione degli incarichi e dei reparti come nelle forze armate

ScriviAlDirettoreCaro Direttore,

da ormai due lunghi anni vi seguo tutti i giorni e so quale e quanta passione ci mettete nel lavoro che fate. Siete veramente fantastici e molto preparati.

Vengo subito al motivo della mia e-mail. Recentemente mi è capitato per il mio incarico di formatore nell'ambito wound-care per conto di un'azienda multinazionale di girare in lungo e in largo l'Italia. La sensazione che ho avuto fin da subito è che siamo di fronte a una nazione infermieristica a due velocità: colleghi seri e preparati che io definisco di Serie A e colleghi meno attenti e meno formati che io definisco di Serie B.

La differenza è talmente notevole che è emersa a chiare lettere alla fine dell'analisi del test annuale di autoapprendimento somministrato a oltre 100 Infermieri che si occupano di lesioni tissutali esterne.

La stragrande maggioranza conosce per esempio le medicazioni di tipo avanzate e le applica in maniera automatica, senza capire che ogni presidio e ogni lesione sono a se stanti e che non si può seguire un metodo standard per tutti. Occorre valutare il paziente dal punto di vista sistemico e valutare singolarmente le patologie o le sindromi in atto, senza trascurare la terapia assunta o da assumere ed eventuali allergie dichiarate o notate dall'operatore. Questo dipende molto da due fattori: per prima cosa la scarsa preparazione di base di molti colleghi, poi per la poca voglia di formarsi e informarsi sulle novità scientifiche. Tutte e due le questioni riguardano il campo della conoscenza che purtroppo in Italia cozza con un sistema formativo che fa acqua da tutte le parti. Non parliamo poi della disparità conoscitiva e di apprendimento tra vecchia e nuova classe infermieristica. Gli "anziani" infermieri hanno esperienza da vendere, ma spesso non la trasmettono, i cosiddetti "nuovi" spesso hanno un bagaglio conoscitivo evoluto che per tanti fattori legati spesso alla non fiducia da parte di chi li inserisce nel mondo lavorativo che non viene valorizzato a dovere.

La faccio breve, per me si dovrebbe iniziare a creare e sul serio un unico progetto formativo e di aggiornamento identico in tutta Italia, somministrando periodicamente dei test a campione per verificare il grado di conoscenza degli operatori per la specifica funzione che ricoprono in quel momento; poi si dovrebbe seguire delle tecniche di carattere militare che vanno dalla rotazione periodica degli incarichi alla turnazione delle unità operative d'appartenenza. Un infermiere non deve stare a mio avviso più di quattro/cinque anni nello stesso reparto o sullo stesso incarico, ciò permette una formazione continua sul campo e combatte il burn-out, molto sottovalutato in una Nazione allo sbando come la nostra.

Poi tanto ci sarebbe da dire sulla formazione universitaria che spesso è affidata a colleghi non preparati e peggio a medici che dell'assistenza infermieristica sanno poco o quasi nulla.

Sono stata un po' logorroica e mi scuso con Lei direttore e con tutti i lettori che seguono questo splendido giornale e avrei tante altre cose da dire, ma me le riservo per la prossima occasione. Grazie.

 

Nunzia De Martino, Lombarda di adozione :)

 

* * *

 

Carissima Nunzia,

con noi sfonda una porta aperta. Di questi e di altri argomenti ce ne siamo più volte occupati in passato e sempre più in maniera specifica. La pensiamo come lei che in Italia ci sono colleghi a due velocità (o anche a tre) e al momento non abbiamo soluzioni per questo, soprattutto perché ognuno di noi ha il proprio livello di cultura che spesso va oltre la professione praticata. Però siamo d'accordo con Lei quando dice che vanno introdotte misure di verifica delle conoscenze, dei test psico-attitudinali, delle verifiche obbligatorie per quanto concerne il rischio burn-out, degli strumenti progettuali che permetta la formazione continua e pragmatica degli operatori attraverso ruoli differenti e a scadenza nei reparti (la rotazione degli incarichi e delle strutture operative deve seguire a un piano formativo individuale ben fatto, altrimenti rischia di produrre più danni che benefici). Per il resto attendiamo altri suoi interventi e quelli dei lettori che vorranno aggiungere la loro alla Sua proposta. Buon lavoro e non perda la fiducia in se stessa, l'Italia ha bisogno di buono formatori nel campo Infermieristico.

 

Angelo Riky Del Vecchio

Direttore Nurse24.it

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