Nurse24.it
scopri i vantaggi della convenzione

Chi ha paura di giocare con la morte?

di Redazione

Riflessioni di un'infermiera dopo un corso di formazione a cura del Collegio Ipasvi di Prato

Quanti sinonimi sostituiscono la parola morte nel nostro quotidiano? Patch Adams, rivoluzionario inventore della clown terapia, magistralmente interpretato da Robin Williams, ne fa un elenco lunghissimo in una celebre scena del film che racconta la sua storia. Questo elenco divertente ed irriverente è destinato ad un suo paziente in punto di morte, che però non può far altro che ridere.

 

Infermiera vicina al paziente

Gli infermieri hanno cura dell'assistito

Tutti gli operatori sanitari e soprattutto gli infermieri si occupano, hanno cura dei loro pazienti. Questo significa che quelle persone si affidano all’infermiere che è in turno in quel momento. Una grande responsabilità da gestire per l’operatore, che a volte non è neanche preparato a rispondere in maniera adeguata a tutte le esigenze legate al supporto del paziente morente e dei suoi familiari.

Inoltre la cultura della morte nella società odierna è praticamente scomparsa, non si può neanche invecchiare, figuriamoci morire. In ambiente sanitario spesso viene vista come un fallimento, come se lo scopo di tutto il nostro operare fosse finalizzato a salvare quel paziente e... se non ce la facciamo?

Il minimo è che negli operatori coinvolti si generi della tristezza e un senso di impotenza, il massimo è portarli a una vera e propria sindrome del burnout. La rivoluzione culturale che si sta preparando in questi anni con l’introduzione, nel linguaggio comune, di parole come: morte assistita, morte dolce, eutanasia, testamento biologico, donazione di organi, trapianto, esperienze pre-morte, ha rappresentato il campo di azione del corso che ho frequentato e di cui vorrei condividere le riflessioni che è stato in grado di stimolare.

Gioco dell'oca con la morte

L'insolito gioco dell'oca con la morte al centro

Appena registrata mi hanno dato un cartellino con il mio nome e il simbolo di Dorothy (proprio lei, quella del mago di OZ); la cosa si fa divertente, penso. Entro in una sala convegni e non trovo il classico schieramento di sedie, una scrivania, un PC e lo schermo dietro. Trovo invece un tavolo con sopra un gioco dell’Oca, ma non è colorato come quello della mia infanzia: al centro ha l’icona della morte con la falce in mano. Questo è già meno divertente.

Entra la Morte in persona, una morte abbondante che fa più paura dello scheletro a cui siamo abituati, perché è forte, è gigantesca, impossibile da battere, forse solo a scacchi. A seguire entra la conduttrice che terrà testa alla morte, un ruolo mica da poco. La conosco bene, è una delle infermiere che si occupa dei trapianti e donazione di organi al S. Stefano di Prato. Anche sul lavoro tiene testa alla morte.

In tutto sono tre infermieri, compresa la regista, che scherzano con noi e tra loro, ci fanno lanciare i dadi, mostrano video, fanno domande come ad un quiz, ci fanno riflettere, ci informano, ci aggiornano con tutta la leggerezza possibile, visto l’argomento. Alla fine ci riescono, ci catturano e sanno mantenere alta l’attenzione di tutto il gruppo, sempre. Nessuno è distratto o annoiato, siamo tutti curiosi del prossimo dato che ci verrà fornito, del prossimo video, della prossima casella in cui capiteremo. Tutte le informazioni rimangono indelebili dentro di noi.

Se è vero che il bambino impara giocando, perché non dovrebbe funzionare anche con gli adulti?

Sono stata a decine di convegni che parlavano di argomenti anche più allegri, ma alla fine mi faceva piacere andare via; a questo sono rimasta per parlare con i relatori, con gli organizzatori, anche se ho mille cose da fare, qualcosa mi trattiene in quella sala: l’emozione di aver partecipato a un esperimento sociale con la percezione che ha avuto successo. La morte si vince anche così: parlandone, giocandoci.

Mi sento davvero di dover ringraziare il Collegio Ipasvi di Prato, che nel suo programma propone sempre dei corsi interessanti e mai scontati (Dio mi salvi dall’ennesimo evento sul cateterismo vescicale), ma soprattutto ringrazio Niccolò Acciaioli, Serena Caselli e Selenia Ceccotti per l’ottimo lavoro e per aver avuto il coraggio e la volontà di proporre questa nuova metodologia educativa.

L’unico vero problema è che hanno creato in me un'aspettativa molto alta; i prossimi corsi mi sembreranno estremamente noiosi se non verrà dato almeno un dado da lanciare.

Elisabetta Toccafondi – Infermiera

Scopri i master in convenzione