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editoriale

Paziente oncologica: ecco Zeroquarantotto

di Redazione

Di colpo, diventi un numero, una cartella clinica, un caso. Medici e Infermieri in rapporto con pazienti sempre più sfiduciati, arrabbiati e sospettosi.

Dopo il successo del suo primo libro  autobiografico "Non sempre vince golia" dove Lucia ci racconta attraverso un diario di vera medicina narrativa, la sua vita di donna alle prese con un tumore, con le emozioni e i dolori ma anche con la speranza e la lucida analisi degli eventi che gli capitano durante la "cura" si rimette in gioco con un nuovo progetto.

048 - il codice esenzione della mia patologia: paziente oncologica

Mi piace ricordare una sua frase:

Perchè se tu hai deciso di fare il medico o l’infermiere devi essere ben conscio che il tuo lavoro non sarà dietro ad una scrivania a contatto con dei fogli di carta, ma sarai sempre nel mezzo di una bufera dove il vento contrario saranno le mille malattie, le mille paure, le mille fragilità di quella PERSONA che ti starà davanti.

Zeoroquarantotto

Questo lo definisco un saggio - chiacchierato.  Affronto da cittadina comune (mi spoglio, quindi, di ogni, anche se minima, conoscenza  tecnica) i lunghi iter che una persona affronta quando suo malgrado si trova a confrontarsi con il pianeta sanità.

Parlo delle problematiche del medico (da quello di base, al medico ospedaliero ) e di tutto il personale sanitario nel rapportarsi con un paziente  sempre più sfiduciato,  arrabbiato e sospettoso. Metto in luce il linguaggio spesso incomprensibile ai più, agli atteggiamenti  che qualche volta diventano boomerang nei rapporti già difficili.

Batto  molto sulla quasi mancanza di empatia fra i vari soggetti per mancanza di tempo.

Tempo 'deciso' dalle amministrazioni.  Tempo che viene letto in modo diverso da chi lo vorrebbe e da chi lo concede.

Faccio un 'analisi semplice,  ma credo molto ampia. (tocco credo  quasi tutti i punti. Mi piacerebbe  diventasse spunto di dibattito per arrivare a delle soluzioni più. ....umane).

Ribadisco come si parli sempre di caso, cartella clinica , ma poco di PERSONA.

Capita che in una bellissima giornata di sole, in piena estate, quando tutto è colorato di azzurro e bianco e l'aria è inebriata di mille profumi, il tempo si fermi. Capita che quella luce quasi accecante di colpo si spenga, che le voci, prima felici e ciarliere chiacchiere, zittiscano e che l'aria diventi immobile.

Capita che il freddo ti entri dentro e il tuo corpo, di colpo, diventi quasi estraneo al tuo cuore e alla tua anima. Capita, e non vorresti mai che questo succedesse a te, che qualcuno ti dica, finalmente, che cosa ti faceva stare così male: il cancro è entrato nella tua vita e tu devi incominciare una battaglia senza esclusione di colpi, con finale incerto...solo, timidamente, sperato. Capita... E' capitato a me.

Se ripenso a quei giorni il cuore ancora si ferma e il respiro mi manca. Sono una paziente oncologica arrivata alla prima tappa dei cinque anni di aspettativa di vita. Una paziente oncologica che spera di riuscire a fare presto parte del nutrito numero di lungo sopravvissuti.

Ricordo il senso di smarrimento e di solitudine che andavano anche al di là della paura che aveva impantanato la mia vita e che, purtroppo, presto, avrei capito, non mi avrebbe più lasciata.

Ed è proprio quel senso di smarrimento e di solitudine che vorrei mettere in luce. Perchè il paziente, qualsiasi paziente, oggi come oggi si trova a doverlo combattere insieme alla malattia.

nessuno mi chiedeva mai "come ti senti? cosa pensi?", ma solo "come stai?

nessuno mi chiedeva mai "come ti senti? cosa pensi?", ma solo "come stai?

Smarrimento e solitudine che non derivano dal non aver accanto medici competenti o persone care che ti tengono la mano...no! Smarrimento e solitudine, perchè, di colpo, tu diventi un numero, una cartella clinica, un caso.

Già nel momento stesso in cui mi è stata comunicata la diagnosi, al di là del chirurgo che ha dovuto "aprirmi gli occhi", non c'era accanto a me nessuno. Certo c'era mio marito, c'erano i miei figli, ma nessuno che mi aiutasse a metabolizzare una notizia del genere.

Ed è questo il limite della comunicazione all'interno del pianeta Sanità che esiste oggi e che sembra la prassi. Una cattiva prassi. E tu ti senti solo, sempre più solo man mano che incominci a procedere lungo il sentiero della malattia.

Forse è stato per questo, forse, magari, solo l'abitudine mia di scrivere, che inconsciamente ho iniziato a fermare su un pezzo di carta, prima, grazie al computer, poi, tutti i pensieri, le sensazioni, le paure, gli incontri che provavo, che incrociavo.

La mia salvezza

Perchè se nessuno mi chiedeva mai "come ti senti? cosa pensi?", ma solo "come stai?", la mia necessità di avere un ascolto la riversavo su quelle pagine bianche, la raccontavo ad un medico amico, prezioso amico, mi costruivo una piccola corazza che mi aiutava a fare scudo e parare i colpi bassi del cancro.

E così gli amici sono ritornati ad avere un ruolo importante, i miei cari a mettere a nudo sfaccettature che prima non pensavo necessarie, io a prendere consapevolezza non solo della malattia, ma di quella persona che avevo dimenticata lontano negli anni, e pian piano anche affrontare le terapie così vicine e devastanti diventava più accettabile, sempre faticoso, ma accettabile.

Perchè qualcuno mi ascoltava, qualcuno ancora comunicava con me. Perchè restavo PERSONA. Perchè capivo che avrei potuto trasformare tutto quel dolore, quell'esperienza, in qualcosa di positivo anche per me. Avrei potuto dare, trovare quel senso che non mi avrebbe fatto cadere nella disperazione.

Avrei potuto aiutare i miei compagni di avventura a pretendere di essere ascoltati, di essere visti ancora soggetti attivi e chiedere ad alta voce di cominciare a considerare l' individuo sì bisognoso di cure per il proprio corpo malato, ma anche di attenzioni (ascolto) per il proprio cuore e la propria anima.

Lucia T. Benetti

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