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Specializzazioni Infermieristiche

Gestione perioperatoria del paziente cardiopatico

di Fabio Albano

Sala Operatoria

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Nel porre in evidenza il trattamento di pazienti fragili - quali sono i cardiopatici - in ambito chirurgico la prima valutazione da fare è quella relativa all’abilità prognostica dei test clinici e non invasivi di rilevare il rischio perioperatorio di eventi cardiaci in situazioni chirurgiche non cardiologiche. L’altra valutazione è conformata dall’esigenza di adattare strategie perioperatorie in grado di abbassare il rischio di mortalità e/o morbilità nei pazienti con patologie cardiologiche correlate.

Équipe chirurgica durante un intervento

Chirurgia, un tutto che è più della somma delle sue parti

Rispettando il concetto di pensiero sistemico, la sala operatoria viene considerata un sistema complesso. Cosa vuol dire “sistema complesso”? Significa che l’interazione e l’interconnessione fra le parti che determinano il tutto produce l’emergenza, ovvero il prodotto scaturito dall’interagire delle parti, che prese singolarmente non determinerebbero tale risultato.

Per questo si è soliti dire che il tutto è più della somma delle sue parti. Accettata questa logica si deve riflettere sulle condizioni che determinano il mondo sala operatoria.

Negli ultimi 30 anni la tecnologia ha radicalmente mutato l’attività di sala. Si pensi a tutte le tecniche chirurgiche eseguite in Video-laparo-scopia. Le colonne video, gli strumenti come prolungamento delle mani del chirurgo, ecc. Ma la tecnologia è solo uno degli aspetti relativi alla determinazione della sala operatoria come mondo “complesso”. Altro determinante è il fattore umano, inteso come elemento fondante la capacità di sviluppare buoni out come o meno.

Fra le altre condizioni influenti non si può non prendere in considerazione l’aumento della vita media delle persone. Questa condizione, probabilmente conseguenza di un miglioramento di stile di vita, condizioni ambientali, lavorative, alimentari, ecc. ha determinato la necessità di provvedere chirurgicamente ad alcune patologie un tempo ignote o considerate non curabili.

Si prendano ad esempio le fratture di femore. Sino ad alcuni decenni fa una persona over 80 con frattura di femore veniva considerata non operabile, o nella migliore delle ipotesi operabile, ma con prognosi assolutamente infausta. Oggi il miglioramento delle tecniche chirurgiche, dei materiali impiantabili e della farmaceutica rende possibile intervenire in casi che una volta venivano considerati disperati.

Un passo indietro. L’aumento dell’età media ha sì prodotto un allungamento della vita, ma ha pure, come conseguenza, corredato le persone di patologie croniche con le quali convivere.

Gestione dei pazienti cardiopatici in ambito chirurgico

Si è posta la necessità di standardizzare la valutazione pre-operatoria dei pazienti cardiopatici da sottoporre a trattamento chirurgico, evidentemente non cardiologico. Ci viene in aiuto, come accennato poco sopra, la tecnologia. Non solo interventistica, ma anche diagnostica.

La valutazione da fare è quella relativa all’abilità prognostica dei test clinici e non invasivi di rilevare il rischio perioperatorio di eventi cardiaci in situazioni chirurgiche non cardiologiche.

L’altra valutazione è conformata dall’esigenza di adattare strategie perioperatorie in grado di abbassare il rischio di mortalità e/o morbilità nei pazienti con patologie cardiologiche correlate.

Cardiopatie ischemiche

Nel paziente con cardiopatia ischemica, l’esistenza di una stenosi coronarica fa sì che il miocardio si trovi nelle condizioni in cui l’ossigeno disponibile risulti inferiore ai bisogni metabolici, ovvero al consumo necessario. Ne consegue che in sede operatoria e postoperatoria questa condizione può condurre il Paziente verso un ulteriore sbilanciamento della criticità.

Tale condizione può aumentare il rischio di complicanze nel periodo peri-operatorio. Ad esempio un infarto acuto, avvenuto nel corso dei 30 giorni precedenti l’intervento, pone l’operando in una condizione di maggior rischio rispetto a chi ha sofferto la stessa patologia nel periodo di 5–8 settimane precedenti l’intervento o a chi ha subito la stessa patologia oltre i 2 mesi precedenti.

Altra criticità è quella che si può verificare nei pazienti ischemici e diabetici con alterazione o compromissione del sistema nervoso autonomo, sistema parasimpatico cardiaco. In certi frangenti l’ischemia può risultare silente, non riconosciuta dalla persona, innalzando, così, il livello di rischio peri-operatorio. Anche l’angina instabile può alterare la percezione del danno e quindi aumentare le possibilità di IMA.

Cardiopatie valvolari

Tra le cardiopatie valvolari le stenosi sono le più pericolose. Una particolare attenzione merita la stenosi aortica. L’ostruzione all’eiezione ventricolare e l’ischemia miocardica, per scarsa perfusione coronarica, possono condurre ad arresto cardiocircolatorio, refrattario alle più comuni manovre di rianimazione cardiopolmonare.

Nella stenosi mitralica l’ipertensione del circolo polmonare rappresenta l’alterazione fisiologica maggiore. In caso di insufficienza aortica o mitralica a causa delle possibili bradicardie e dell’aumento delle resistenze valvolari si possono riscontrare bruschi deterioramenti dell’assetto emodinamico.

La valutazione pre-operatoria

Le domande essenziali che ci si deve porre sono quelle relative alla certificazione della natura del problema e alla sua reale gravità. Determinate la natura e la consistenza del problema si pone l’obbligo di valutare ed esprimere il grado di rischio a cui l’operando è soggetto.

Terza e ultima cosa, si deve entrare in possesso di tutti quegli elementi atti alla pianificazione di un’adeguata strategia. Il profilo operativo deve essere in grado di fornire una valutazione adeguata alle evenienze possibili.

Giocano un ruolo fondamentale, durante tutto il percorso perioperatorio, la capacità di concentrazione, di attenzione e di previsione degli stati futuri.

Restando in tema di Non Technical Skill (N.T.S.) risulta fondamentale saper lavorare in gruppo (team-work). Infatti l’approccio corretto e maggiormente funzionale a questa tipologia di pazienti è quello multidisciplinare. Si pensi a tutte le figure professionali coinvolte: chirurghi, anestesisti rianimatori, cardiologi, infermieri di sala e della T.I.

Un’altra N.T.S., necessaria all’espletamento di soddisfacenti performance, è la comunicazione. Saper lavorare in team richiede un certo grado di competenze non tecniche; saper comunicare in maniera adeguata risulta essere un valore aggiunto, specie in situazioni di rischio aumentato.

Notevole importanza rivestono l’anamnesi del paziente, l’analisi dei documenti clinici e l’esame obiettivo. Gli esami di base valutati devono essere: E.C.G., referto radiologico del torace e bilancio ematochimico. Naturalmente, se la valutazione del grado di rischio attraverso queste determinanti risulta insufficiente, si rendono necessarie altre indagini.

Sostanzialmente i pazienti possono essere raggruppati in 3 categorie:

  • fattori di rischio maggiori: sindromi coronariche instabili, infarto miocardico acuto (<30 giorni), insufficienza cardiaca scompensata, valvulopatia grave, aritmie gravi;
  • fattori di rischio intermedi angina stabile, infarto miocardico pregresso, insufficienza cardiaca compensata, diabete mellito;
  • fattori di rischio minori: età avanzata, ECG anormale, ridotta capacità funzionale, pregresso infarto cerebrale, ipertensione arteriosa non controllata o non trattata.

A propria volta gli interventi chirurgici possono essere classificati come:

  1. ad alto rischio (classe a): interventi maggiori in urgenza, specie nell’anziano; interventi di chirurgia aortica e vascolare arteriosa periferica; procedure chirurgiche prolungate;
  2. a rischio intermedio (classe b): interventi di tromboendoarterectomia carotidea, interventi di chirurgia toracica e addominale, interventi chirurgici della testa e del collo, procedure ortopediche, interventi chirurgici della prostata;
  3. a rischio basso (classe c): procedure endoscopiche, procedure chirurgiche di superficie, intervento di cataratta, chirurgia della mammella.

Gestione farmacologica nel perioperatorio del cardiopatico

Le terapie assunte dai soggetti cardiopatici sono spesso multiple, alcune conservative altre migliorative. Sarebbe opportuno trattare tutti i farmaci riguardanti questo tipo di pazienti. Si potrebbe scrivere un libro in merito.

Detto ciò, risulta evidente come non sia possibile non porre neanche un cenno alle terapie con farmaci attivi sull’emostasi.

La maggioranza dei pazienti coronaropatici è in terapia antiaggregante, generalmente con acido acetilsalicilico a basse dosi o ticlopidina, più raramente con dipiridamolo, indobufene o picotamide monoidrato. Naturalmente vanno inclusi i farmaci di ultima generazione.

Come per i β bloccanti, anche l’acido acetilsalicilico va continuato nel perioperatorio in quanto il suo impiego è associato ad una minore incidenza di ischemia miocardica in assenza di un sostanziale aumento del sanguinamento chirurgico.

La Società Francese di Anestesia e Rianimazione riporta che nei pazienti in trattamento con ASA per patologia coronarica o cerebrovascolare, l’Acido acetilsalicilico non dovrebbe essere sospeso nel periodo perioperatorio, a meno che il rischio delle complicanze emorragiche sia superiore al rischio trombotico cardiovascolare derivante dalla sospensione dell’ASA.

La Società Europea di Cardiologia/Società Europea di Anestesiologia (2009) riporta che l’Aspirina dovrebbe essere sospesa solo nei casi in cui il rischio emorragico superi il potenziale beneficio cardiaco (…) la sospensione dell’Aspirina dovrebbe essere considerata solo nei pazienti in cui l’emostasi è difficile da controllare durante la chirurgia.

Malauguratamente, anche bassi dosaggi di aspirina possono causare gastropatia erosiva, il che giustifica la pratica di istituire una gastroprotezione farmacologica sistematica in tutti i pazienti in terapia antiaggregante con aspirina, indipendentemente da ogni contesto perioperatorio.

Durante il periodo perioperatorio, che rappresenta una causa indipendente di stress per l’organismo, l’impiego di gastroprotettori - raccomandato in linea generale - è da ritenersi necessario nei soggetti in terapia con salicilati.

La ticlopidina è l’antiaggregante di scelta nei pazienti intolleranti e/o allergici all’aspirina. L’effetto antiaggregante persiste per oltre 8 giorni dopo l’interruzione del farmaco. A tutt’oggi, la gestione della terapia con ticlopidina nel periodo perioperatorio non è codificata. Per una chirurgia elettiva, sembrerebbe prudente sospendere la terapia con ticlopidina.

Per procedure d’urgenza, rimane dubbia l’efficacia della terapia steroidea e di desmopressina; nel caso di rischio emorragico rilevante, probabilmente è preferibile la trasfusione di concentrati piastrinici.

La gestione perioperatoria della terapia anticoagulante è estremamente difficile per la complessità intrinseca della materia e per la contemporanea esigenza di:

  • effettuare l’atto chirurgico in presenza di un assetto coagulativo quasi normalizzato, per limitare il rischio di complicanze emorragiche da eccessiva anticoagulazione (in corso di intervento o nell’immediato post-operatorio);
  • limitare al minimo necessario il periodo con assetto coagulativo ai limiti della norma per evitare l’insorgenza di complicanze tromboemboliche.

È convinzione che una gestione ottimale della terapia anticoagulante nel periodo perioperatorio sia uno degli elementi centrali nell’assistenza al malato cardiopatico.

Un approccio razionale alla gestione della terapia anticoagulante, che può essere opportuno e preferibile concordare — a seconda delle diverse realtà operative — con specialisti nel campo dell’emostasi, deve tener conto: dei fattori che motivano la necessità dell’anticoagulazione nel singolo paziente , dell’atto chirurgico cui il paziente deve essere sottoposto, del rischio relativo di tromboembolia e di sanguinamento rispettivamente in corso di anticoagulazione perioperatoria subottimale e completa, degli strumenti di cui il medico dispone per modificare l’assetto coagulativo in relazione con lo specifico contesto clinico.

L’impiego dell’eparina viene limitato a brevi periodi di trattamento, mentre la terapia anticoagulante cronica è basata sulla somministrazione per via orale di dicumarolici o farmaci di ultima generazione.

Territorio e continuità assistenziale

La gestione delle varie terapie farmacologiche che assume un paziente cardiopatico richiede una certa consapevolezza sia da parte della persona sottoposta a trattamento, che da parte del personale sanitario.

Otre al percorso terapeutico i pazienti considerati a maggior rischio devono perseguire comportamenti virtuosi, efficaci e propedeutici se non alla guarigione almeno al mantenimento dello “status quo” in atto.

La gestione della fase peri-operatoria è compito anche delle strutture extra-ospedaliere. Il territorio, o terzo settore, riveste un’importanza fondamentale nelle due fasi a cavallo della procedura chirurgica. Il pre operatorio e il post.

La presa in carico dell’operando da parte del medico di base e dell’infermiere sul territorio ha una valenza notevole; un buon percorso terapeutico e propedeutico alla procedura chirurgica contribuisce ad un soddisfacente outcome.

Alla medesima maniera non si può non fare cenno al postoperatorio dei pazienti cardiopatici gravi o meno gravi, ma sottoposti a procedure chirurgiche importanti.

La dimissione precoce dall’ospedale ha creato le esigenze relative ad un adeguamento delle strutture riguardanti il territorio. Anche qui medici di base e infermieri giocano un ruolo determinante. Ne consegue che per assolvere a queste esigenze si debba sviluppare il cosiddetto terzo settore, attraverso politiche che conducano all’integrazione tra strutture ospedaliere e territorio, tra le varie figure professionali esercitanti nei diversi ambiti.

Certi di non essere stati esaustivi (è possibile, ad esempio, che nuove molecole di sintesi si siano aggiunte a quelle menzionate), rimandiamo in letteratura alle linee guida SIAARTI da cui è stata tratta una parte dei dati espressi nell’articolo.

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