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Come superare la paura del primo prelievo di sangue?

di Redazione

PrelievoEmatico

Una Studentessa Infermiera se lo chiede lo lo chiede ai colleghi. Dalla teoria alla pratica: cosa cambia?

Alla domanda “Qual è stata la tua più grande paura il primo giorno di tirocinio?”, quasi tutti gli studenti rispondono affermando che il più grande scoglio di un novello tirocinante sia il famigerato prelievo ematico.

Tra le tante ragazze intervistate solo una ha attirato la mia attenzione di ex allieva. La ragazza in questione, di cui ovviamente non farò nome e cognome, con un piccolo nodo in gola mi disse che la sua grande paura erano gli occhi dei pazienti: “Guardare quegli occhi intrisi di dolore, di preoccupazione o semplicemente di paura. Avere difronte a sè una bambina che deve somministrarti una terapia, non è facile da accettare. Accettare che qualcuno di così ingenuo venga e ti lavi, ti tocchi o guardi come la malattia ti abbia ridotto. Allo stesso tempo temevo che i miei di occhi facessero trapelare quello che era il mio stato d’animo, il sentirmi incapace di affrontare la situazione, di trovarmi sola e far avvertire loro la mia inadeguatezza.

Molti ragazzi infatti scelgono il corso di Infermieristica, soprattutto negli ultimi anni, come ripiego o come anno di passaggio tra una professione sanitaria e un'altra. Pochi di loro effettivamente hanno le idee chiare sul perché abbiano deciso di intraprendere un percorso così difficoltoso. La scelta infatti di “essere bianchi”, come direbbe un professore di patologia clinica, non è facile. Non è facile approcciarsi al paziente, neonato o anziano che sia, e farlo con assoluta leggerezza.

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E tu caro Studente Infermiere qual è la tua più grande paura? Scrivici a direttore@nurse24.it

Intervistando soprattutto i ragazzi del terzo anno, ci si rende conto che sono dotati per lo più di un’ottimale preparazione teorica. Tutti sanno esattamente come si dovrebbe preparare un campo sterile, come eseguire una cateterizzazione, ma pochi loro sanno come affrontare un attacco di panico di un paziente di fronte a una diagnosi, alla paura che di un eventuale peggioramento, pochi ancora sanno come sostenere un discorso con un paziente prossimo a un intervento.

La figura del tutor, che in molti ospedali è in via di estinzione, era ed è una delle più importanti nella vita di un tirocinante, soprattutto di quelli del primo anno. Il tutor è colui che ti accompagna, ti insegna, ti dice quello che bisogna guardare e che è necessario sapere. Ovviamente, c’è sempre lo scontro tra il nuovo e il vecchio; le vecchie procedure che non stentano a perire e le nuove che vengono insegnate solo in teoria.

Tra le tante paure che un tirocinante deve affrontare è appunto la teoria. La teoria infermieristica dalla sua effettiva pratica è completamente diversa. Ci si rende conto solo stando in corsia che i libri parlano venusiano e che la pratica invece è marziano, puro e semplice ignoto. Sembra infatti che i libri siano impostati su un tempo molto lento di applicazione, come se un infermiere abbia ore e ore per poter applicare una qualsiasi procedura. Invece, quando si è difronte al paziente ci si rende conto che quelle ore in realtà sono minuti o nei peggiori dei casi secondi. Secondi che per un paziente sono fondamentali, ma per un tirocinante diventano interminabili attimi di panico. E’ lì che il tutor dovrebbe intervenire, sollevare la situazione e impostarla così come dovrebbe essere.

E’ facile immaginare gli occhi spaesati di uno studente che, dopo essersi studiato il “mattone” di procedure infermieristiche, si trova difronte un infermiere vecchio stampo che gli suggerisce il modo più facile (ma solo più veloce) di agire dicendogli la classica frase “NOI ABBIAMO SEMPRE FATTO COSI’”.

Il “noi abbiamo sempre fatto così” per molti è legge e tu, matricola, devi attenerti a quella legge pur sapendo che il mondo è andato avanti e che determinati modi di fare sono ormai sconsigliati e alle volte anche pericolosi.

Le matricole nel loro primo giorno di tirocinio si dividono in tre grandi gruppi: gli spavaldi, i conigli e i meditativi. Gli spavaldi e i conigli sono coloro che a lungo andare verranno messi “al bando” dai colleghi, rispettivamente perché troppo sicuri di sé e perché inadeguati per un lavoro basato sulla fermezza. I meditativi, la figura ottimale, sono coloro che si da subito, riescono, nonostante le paure, a mantenere la lucidità. I meditativi sono coloro che scindono teorica e pratica e le applicano in egual misura; sono l’orgoglio del tutor a fine mandato; sono l’ottimo sulla valutazione; sono coloro che hanno affrontato le proprie preoccupazioni, i propri colleghi, i propri pazienti, i dottori e i capi sala e sono riusciti a vincere. I meditativi sono coloro che hanno scelto di “essere bianchi”, puri, di non lasciarsi sopraffare dalle impressioni, ma di crescere e di diventare adeguati per un mestiere che ogni giorno cambia e deve cambiare.

 

Claudia, Studentessa in Infermieristica presso l'Università degli Studi di Bari

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