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Studenti Infermieri

Quella mia prima volta di fronte al miracolo della vita

di Sara Di Santo

Il mondo va avanti così da sempre, con un ciclico rincorrersi di vita e morte. Siamo ormai assuefatti a questo, sono cose naturali e lo impariamo bene già dalla tenera età. Quasi nulla ci scuote, se lo osserviamo da una certa distanza; ma quando le distanze si riducono, anche contro la nostra volontà, la storia cambia.

Quel giorno in cui per la prima volta ho visto un bambino venire al mondo

La prima volta che ho visto un bambino venire al mondo ero una tirocinante del terzo anno assegnata all’area pediatrica.

Confesso subito: non ero a mio agio. Ho sempre considerato i bambini degli esseri delicatissimi e molto complessi e, per quanto naturali catalizzatori di tenerezze, l’idea di doverli assistere nella malattia mi ha sempre turbata. Loro lo sentono - mi sono sempre detta – non gli devo trasmettere il mio turbamento.

Così ho cercato di imparare il più possibile dagli infermieri pediatrici ed è stata un’esperienza potentissima, ma continuo a pensare che per essere infermiere in pediatria si debba avere una stoffa diversa dalla mia.

Quel tirocinio rappresentava comunque un’occasione di crescita, quindi… respironi profondi e via.

Assistere ad un parto è un'esperienza indimenticabile e sconvolgente

Primo giorno e subito sala parto. Ricordo che una volta varcata la soglia del reparto di ostetricia ho avuto l’impressione di entrare in un girone infernale dantesco.

Sarà stato per via della mia fissa per la letteratura, ma si sentivano strazianti urla di dolore provenire da più parti e no, non è stato un bellissimo ingresso. Ho deglutito saliva, che sembrava una pallina da tennis.

Sei fortunata, le tue colleghe non hanno beccato nessun parto. Tu oggi hai l’imbarazzo della scelta; mi ha apostrofato così l’infermiera che avrei dovuto seguire durante quell’unico giorno in ostetricia.

Vai, entra là dentro e dì all’ostetrica che ti mando io. Oggi ti diverti!

Butto giù la pallina da tennis numero due ed entro. Superata la barriera del suono delle grida della partoriente, mi ritrovo in un ambiente stranissimo, in cui tutto però segue una logica. La sala era affollata, perché oltre all’équipe c’era anche una tirocinante ostetrica.

L’ho riconosciuta subito: era pallida in viso quanto me. Probabilmente anche per lei era la prima volta. Non so come, ma ad un certo punto ci siamo trovate una di fianco all’altra, attaccate al muro, per non intralciare i lavori.

Non so da quante ore andasse avanti il travaglio, ma erano tante. Tantissime, a vedere il volto stremato della quasi mamma e a sentire i suoi, comprensibilissimi, improperi.

Mi ci è voluto un po’ per notare un altro componente del quadro. Il papà. Da quel momento non l’ho più perso d’occhio. Così come nei film preferisco quasi sempre “l’attore non protagonista”, anche in quell’occasione ho trovato in lui una magia insolita.

Gli sforzi immani della donna, la perizia delle ostetriche, la meraviglia del primo vagito di Mattia. Tutto da pelle d’oca e tutto indimenticabile.

Ma avete mai provato a concentrarvi sul papà? Vederlo incoraggiare la compagna, leggere l’impotenza di fronte al dolore di lei nei suoi occhi, distinguerne i tremori di fronte alla potenza di una nuova vita è qualcosa che entra dentro come una lama calda affonda nel burro

Non ha trattenuto le lacrime di gioia, ma non è riuscito a toccare Mattia, suo figlio, prima di molte ore. Voleva farlo, ci ha provato già in sala parto, quando il piccolo è stato lasciato per qualche minuto sul petto della madre, ma proprio non ci riusciva.

Allungava la mano con l’intento di una carezza, ma tremava troppo per toccare quella creatura, aveva paura di corromperne la perfezione.

È una scena che ancora mi commuove. La madre esausta, che stringeva comunque a sé il frutto di tante fatiche e di tante emozioni. Mattia, avido fin da subito di odore materno e il papà, con la sua serie infinita di “primi abbracci in sospeso”.

I suoi piedi erano fuori dalla portata della mia vista, ma – ne sono sicura – erano sollevati da terra di almeno 10 centimetri.

In fondo, quel primo giorno in ostetricia, tanto infernale non è stato.

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