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Infermiera

Covid-19 ed io

di Redazione

Il virus è forte, il nostro sistema sanitario è debole e paghiamo oggi l’assenza di una strategia reale che andava messa in campo già da tempo, definita e delineata. Sono un’infermiera, un’infermiera coordinatrice. In questi giorni di quarantena non dimentico chi sono, costruisco percorsi con la mente, alimento il desiderio di poter continuare a svolgere la mia professione; la professione a cui sono giunta con preciso atto di volontà, con sacrifici e determinazione. Una professione che, ahimè non è stata considerata come merita, nel corso della pandemia ma anche nel quadro generale del sistema italiano. Ecco, io tutto ciò in questi giorni di isolamento lo tengo a mente.

Guardiamoci intorno e dentro, questo è il momento per svegliarci

Eccolo, è lui, il nemico subdolo e insidioso è venuto a farmi visita

Dopo un anno di lotta a lavoro e nella vita privata e a pochissimi giorni dalla seconda dose di vaccino (oggi avrei dovuto ricevere la seconda somministrazione), che noi sanitari abbiamo ardentemente sperato; eccolo, è lui, il nemico subdolo e insidioso è venuto a farmi visita. Eh sì, lui è capace di colpire molto più in profondità di quanto si possa credere.

Quando ero proprio lì a pensare di essermene liberata eccolo che arriva e irrompe nel corpo, nella mente, nella tua vita senza neppure chiedere il permesso. E proprio allora è grande il senso di nausea, come se le tue gambe e le tue braccia fossero prive della struttura ossea, è una mano dai lunghi artigli che ti serra la gola e ti toglie il fiato. E allora è universale il senso di colpa, profonda impotenza e sconforto.

È un malessere fisico che si nutre di quello psicologico e viceversa, un cane che si morde la coda e sembra impossibile fermare questa ruota. Invece non lo è. Sono giunta ormai al 14° giorno di isolamento e me ne aspettano altri, nella casa di origine dei nonni materni, piena di tanti, tantissimi ricordi.

All’inizio è stata dura. Tante sono state le domande che mi hanno assalito notte e giorno. Cosa ho sbagliato? Dove ho sbagliato? L’ho trasmesso a qualcuno? Cosa mi aspetta? Poi ho trovato la giusta chiave e ho smesso di farmi tutte queste domande e ho cominciato a vivere i giorni della quarantena impegnandomi a non dimenticare chi sono.

Una donna che non demorde, un’appassionata lavoratrice, una ricercatrice tenace delle cose semplici ma complicate, un’infermiera coordinatrice follemente innamorata del suo lavoro e della sua vita con il senso della prospettiva carica di ottimismo per il futuro e sempre propensa all’elaborazione di nuove idee e nuovi progetti.

Trascorro i miei giorni di isolamento non sentendomi mai sola grazie agli affetti più cari grazie al mio più grande amore, il mio uomo, che non mi ha mai lasciata sola e mi ha dato la forza per affrontare tutto al meglio. Eh sì, questi giorni mi hanno insegnato ad apprezzare il vero significato della parola Amore, di sicuro ricorderò che l’amore è consapevolezza, oggi più che mai, quella sicurezza che alla fine di questo buio, avrò qualcuno lì fuori ad aspettarmi.

È così che il tempo dell’infinita incertezza e della solitudine è diventato quello della decostruzione e ricostruzione di me stessa e di ciò che mi sta intorno, della speranza per il futuro e dell’analisi lucida del presente. Ricordarmi chi sono significa mantenere una visione complessa delle cose. Sono stata una persona che alle cose facili ha preferito sempre quelle complesse.

Il nemico è fuori e si muove veloce. La questione è complessa e necessità di complessità per comprenderla e risolverla. Il virus è forte, il nostro sistema sanitario è debole e paghiamo oggi l’assenza di una strategia reale che andava messa in campo già da tempo, definita e delineata.

In questi giorni di quarantena non dimentico chi sono, costruisco percorsi con la mente, alimento il desiderio di poter continuare a svolgere la mia professione; la professione a cui sono giunta con preciso atto di volontà, con sacrifici e determinazione. Una professione che, ahimè non è stata considerata come merita, nel corso della pandemia ma anche nel quadro generale del sistema italiano. Ecco, io tutto ciò in questi giorni di isolamento lo tengo a mente. Ricordarmi chi sono significa questo.

Si fanno le 17:00 e anche la mia giornata, come quella di chi sta fuori, volge quasi al termine. Anche oggi ho fatto il pieno di solidarietà e affetto: il mio ragazzo, i miei familiari, i miei amici, i miei colleghi, sono pura vitamina. Ho letto articoli, libri, ascoltato il tg e un po’ di musica e poi ho guardato il cielo. Mi sono circondata di normalità.

Questa esperienza personale, questo evento, che farà parte delle pagine dei libri di storia dei nostri figli mi ha insegnato tanto, veramente tanto. Mi sono chiesta più e più volte come ho contratto il virus, sono sempre stata attenta. Su un 101 pieno al 100% soccorrendo un paziente con febbre alta e affanno e non igienizzandomi bene le mani nella fretta di accontentare tutti e subito nella corsia dove andavo carica e piena di ottimismo. Non lo so! E nei giorni successivi ho anche smesso di pensare che fosse utile chiedermelo, perché farlo implica colpevolizzarmi.

Ho preso il virus semplicemente perché ho continuato a vivere. Ho preso il virus svolgendo la mia professione, ho preso il virus facendo ciò che amo. Ho fatto pace con questa idea. La verità del senso di colpa è diventata sottile come una lastra di ghiaccio, ho realizzato che non sono onnipotente e che è semplicemente accaduto.

Dovessi ancora sostare per molti giorni nello stato di quarantena saprei di per certo come affrontare i giorni seguenti. Con la stessa ansia, la stessa rabbia lucida per il presente, la stessa speranza per il futuro. La mia vita è fuori che mi aspetta!

Sono tempi difficili e con la loro durezza ci stanno aprendo gli occhi, almeno spero. Guardiamoci intorno e dentro di noi, questo è il miglior momento per svegliarci.

  • Monica Angelone – Infermiera

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