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Stato anticorpale e incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2

di Giacomo Sebastiano Canova

La relazione tra la presenza di anticorpi contro il virus SARS-CoV-2 e il rischio di una successiva reinfezione è ancora un argomento molto dibattuto in letteratura. Per questo motivo alcuni ricercatori del Regno Unito hanno studiato l’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 negli operatori sanitari che avevano o che non avevano gli anticorpi contro il virus.

Anticorpi anti-spike e anti-nucleocapside riducono rischio reinfezione

In generale, l’immunità post-infezione può essere conferita da risposte immunitarie umorali oppure cellulo-mediate. Quando si analizza l’immunità post-infezione è necessario porre alcune considerazioni fondamentali che includono l’identificazione di correlati funzionali di protezione, l’identificazione di marker surrogati misurabili e la definizione di endpoint quali prevenzione della malattia, ospedalizzazione, morte o trasmissione successiva.

In riferimento alla pandemia da Covid-19, le dinamiche anticorpali dipendenti dal dosaggio degli anticorpi anti-spike e anti-nucleocapside SARS-CoV-2 sono ancora in fase di definizione. Tuttavia, è noto come gli anticorpi neutralizzanti il dominio di legame del recettore della proteina spike possano fornire una certa immunità una volta che il paziente è guarito dall’infezione e l’associazione tra i titoli anticorpali e l’attività neutralizzante plasmatica dipende dal dosaggio e dal tempo.

In letteratura stanno emergendo alcuni studi volti ad analizzare l’immunità post-infezione. Nonostante il grande numero di persone infettate nel mondo e la diffusa trasmissione in corso, le reinfezioni da SARS-CoV-2 sono rare e si sono verificate principalmente dopo una prima infezione lieve o asintomatica; questo suggerisce che l’infezione da SARS-CoV-2 fornisce una certa immunità contro la reinfezione. Inoltre, studi condotti su piccola scala suggeriscono che gli anticorpi neutralizzanti possono essere associati alla protezione contro le infezioni.

Per studiare questi fattori è stato condotto uno studio prospettico di coorte longitudinale su 15.541 operatori sanitari con la finalità di valutare l’incidenza relativa dei test positivi per SARS-CoV-2 e delle infezioni sintomatiche negli operatori sanitari che erano sieropositivi agli anticorpi SARS-CoV-2 e in quelli che invece erano sieronegativi.

I risultati hanno messo in luce come la presenza di anticorpi anti-spike si sia associata a un rischio sostanzialmente ridotto di infezione da SARSCoV-2 dopo 31 settimane di follow-up. Inoltre, non è stata osservata nessuna infezione sintomatica e sono stati osservati solamente due risultati positivi alla RT-PCR negli operatori sanitari asintomatici che presentavano anticorpi anti-spike, fatto che suggerisce che una precedente infezione si associ per almeno 6 mesi ad una protezione dalla reinfezione.

Oltre a ciò, l’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 è stata associata in modo inverso rispetto ai titoli anticorpali anti-spike e anti-nucleocapside basali, compresi i titoli al di sotto della soglia positiva per entrambi i test: in questo modo i lavoratori con titoli negativi sembrano essere relativamente protetti dall’infezione.

Tra tutti quelli analizzati, sono emersi 24 operatori sanitari sieronegativi che avevano un precedente test PCR positivo ed è probabile che altri operatori sanitari con titoli al basale al di sotto delle soglie del test fossero stati precedentemente infettati da SARSCoV-2 e possedessero un basso titolo anticorpale.

Un fatto che merita un’analisi con studi successivi è quello mostrato da due dei tre operatori sanitari sieropositivi che hanno avuto successivi test PCR positivi, i quali avevano risultati anticorpali al basale discordanti, evidenziando la natura imperfetta dei test anticorpali come marker di precedente infezione.

Nessuno di questi due lavoratori aveva un’infezione primaria da SARS-CoV-2 confermata dalla PCR e la successiva infezione sintomatica si è sviluppata in un lavoratore, mentre entrambi i lavoratori hanno avuto una successiva sieroconversione di un doppio anticorpo. È plausibile che uno o entrambi abbiano avuto risultati anticorpali al basale falsi positivi.

L’operatore sanitario in cui sono stati rilevati sia anticorpi anti-spike che anti-nucleocapside aveva precedentemente avuto un’infezione SARS-CoV-2 confermata dalla PCR e il successivo risultato positivo alla PCR con una bassa carica virale non è stato confermato alla ripetizione del test e non è stato associato a un cambiamento nella risposta IgG.

Questi risultati potrebbero essere coerenti con una riesposizione a SARS-CoV-2 che non ha portato a sintomi ma potrebbe anche essere plausibilmente derivata da un errore laboratoristico non rilevato.

In conclusione, lo studio in questione ha evidenziato un rischio sostanzialmente inferiore di reinfezione da SARS-CoV-2 a breve termine tra gli operatori sanitari con anticorpi anti-spike e quelli con anticorpi anti-nucleocapside rispetto agli operatori che non presentavano questi anticorpi.

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