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responsabilità professionale

Trasfusione di sangue errata, la posizione dell'infermiere

di Giuseppe Sasso

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Durante l’ultimo ventennio sono stati molteplici gli interventi a livello istituzionale che hanno coinvolto la comunità scientifica nello sforzo di arginare il fenomeno degli eventi iatrogeni conseguenti alla pratica trasfusionale, ma quali sono i rilievi di responsabilità dell'infermiere nei casi di errore trasfusionale?

Errore in trasfusione, responsabilità e gestione del rischio

Sacche di sangue per emotrasfusione

Se da un lato si è ottenuta una riduzione tendente allo zero delle infezioni contratte in seguito alla ricezione di sangue ed emoderivati, dall’altra la marginalità rivestita dall’incidenza degli eventi avversi collegati alla malpratica terapeutica è venuta ad assumere una maggior rilevanza.

Nonostante i casi documentati di errore in corsia siano in numero residuale, alla luce della recente entrata in vigore della Legge 8 marzo 2017, n.24 - legge Gelli il livello di responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie viene ad assumere uno spessore ancor più rilevante: tale riforma normativa segna per i protagonisti della sanità un passaggio epocale in quanto in primis sancisce l’esistenza del diritto alla sicurezza delle cure e lo definisce quale elemento intrinseco del diritto alla salute (intendendolo, quindi, di rango costituzionale).

In secondo luogo predispone le basi per una riorganizzazione del mondo sanitario in cui la gestione e la prevenzione del rischio clinico sia fondamento del lavoro, nonché obbligo, di ognuno degli esercenti le professioni sanitarie. Chiudendo così l’era della responsabilità (solo) medica.

Errore trasfusionale, alcuni casi dalla giurisprudenza

Citeremo alcuni casi in cui i professionisti sanitari sono incappati in addebiti di responsabilità penale: il tribunale di Torino condannò un medico ed una infermiera a dieci mesi per omicidio colposo in seguito alla morte di una donna, avvenuta nel 2010 e dovuta ad un errore da trasfusione (gruppo B neg. anziché A pos.): la reazione avversa e fatale avvenne dopo l’infusione di circa 40 g di sangue. Il mancato controllo della sacca fece sì che all’assistita venisse trasfusa una unità di sangue giacente in reparto e destinata ad altra persona.

Il tribunale di Massa condannò nel 2004 un medico (poi riconosciuto innocente 13 anni dopo) ed una infermiera (che patteggiando la pena si accollò la responsabilità) a nove mesi per omicidio colposo per aver trasfuso un paziente con sangue incompatibile: anche in tal caso i mancati controlli sulla sacca ricevuta e poi somministrata furono la causa dell’evento morte.

In un altro caso analogo non furono condannati gli esercenti le professioni sanitarie coinvolti - indagati per lesioni colpose - per improcedibilità dell’azione penale (mancanza di idonea querela come pronunciato dal Tribunale di Firenze) nel giudizio: va comunque sottolineato che anche in questo caso (nonostante il decesso non fosse riconducibile all’errore dei sanitari) emersero condotte negligenti sia riguardo alle verifiche precedenti che alle modalità di trasfusione (icastica ne uscì l’immagine dell’infermiera che posizionò la trasfusione, essendo stata descritta dai testimoni costantemente al telefonino durante le operazioni assistenziali).

La somministrazione di sangue ed emoderivati riveste un ruolo di particolare importanza per i benefici connessi alla possibilità di riceverla (spesso ha un’efficacia salvavita immediata) ed al tipo di inquadramento giuridico-sanitario della misura terapeutica, essendo classificabile tra i trapianti di tessuti umani (di cui si ha una scarsa disponibilità per definizione). Ne consegue la necessità di assumerne la gestione con i dovuti crismi e le necessarie cautele.

Le accortezze da adottare durante la manipolazione sono efficacemente rappresentate nelle Raccomandazioni Ministeriali n.5, marzo 2008 sulla prevenzione della reazione trasfusionale da incompatibilità AB0.

Per una visitazione più approfondita è consigliabile la consultazione delle linee guida contenute in “Optimal blood use - Gestione ottimale del sangue”.

Limitando l’attenzione alle attività in unità di degenza e cliniche, il processo per la somministrazione di sangue ed emoderivati si compone di fasi in successione che si chiudono circolarmente attorno al paziente.

Processo di emotrasfusione, le fasi in cui può verificarsi l’errore

È in ognuno di questi momenti che si può incorrere in errore e provocare un danno alla persona che riceve la trasfusione:

La figura dell’infermiere è attivamente coinvolta per sua natura in ognuno di tali step assistenziali, per cui deve adempiere impeccabilmente anche in virtù del proprio ruolo deontologico di garante nei confronti della persona che riceve le cure.

Rilevata la prescrizione medica in cartella clinica, procede con la corretta identificazione del soggetto - diretta se cosciente, indiretta in caso contrario (attualmente sono in uso braccialetti personalizzati con codice a barre per ridurre gli errori).

Quindi effettuerà il test per la verifica della tipizzazione, compilerà la modulistica prevista per l’ordine al centro trasfusionale di riferimento, controllando in modo incrociato la correttezza dei dati apposti sul modulo e sul campione da inviare.

Una volta preso in carico l’emocomponente da somministrare il personale infermieristico sarà responsabile della sua corretta conservazione; effettuerà in collaborazione con il medico la verifica dei dati identificativi dell’unità ricevuta (modulo e sacca), della corrispondenza tra l’emogruppo del ricevente e quello da infondere; da non sottovalutare l’accertamento della data di scadenza e dello stato di conservazione della sacca (colore, temperatura, integrità ecc.).

L'infermiere e la prevenzione dell'errore nella trasfusione

È specifica responsabilità dell’infermiere predisporre-verificare l’adeguatezza dell’accesso venoso da utilizzare e rilevare i parametri vitali della persona.

Per buona pratica, anche se potrebbe apparire una inutile ripetizione, il controllo incrociato con il medico (a parti invertite) andrebbe ripetuto al letto del paziente immediatamente prima di iniziare l’emotrasfusione.

Le linee guida delle singole realtà ormai si sono uniformate nel senso di praticare una infusione lenta nei primi 15 minuti (nei quali trasfondere circa 15 ml), durante i quali va effettuato un monitoraggio diretto al ricevente per cogliere tempestivamente eventuali reazioni (in letteratura sono documentati casi di manifestazioni pseudo-allergiche nonostante l’esatta corrispondenza AB0 nonché manifestazioni da sovraccarico cardiocircolatorio).

In seguito, in base alle caratteristiche del soggetto e delle indicazioni di trasfusione concordate col medico, la velocità può essere aumentata sino a quattro volte. Durante la somministrazione, che per una singola unità di sangue intero dovrebbe avere una durata non superiore alle quattro ore (per scongiurarne il rischio di contaminazione batterica), occorre proseguire una assidua osservazione del ricevente. Al termine, l’esito della trasfusione andrà registrato in cartella.

Dal punto di vista organizzativo devono essere previsti particolari aggiornamenti per i soggetti coinvolti nel processo di terapia a base di sangue ed emoderivati (sulle metodiche di riconoscimento del paziente, di ispezione delle unità di emocomponenti, di verifica di corrispondenza dati moduli-sacca-paziente), devono essere predisposti programmi di audit sulle prestazioni svolte, devono tenersi registri per la segnalazione degli eventi avversi e le linee guida per la eventuale pronta gestione devono essere facilmente reperibili.

Va specificato che un particolare protocollo andrebbe previsto per la gestione delle emorragie gravi.

In ultimo segnaliamo la necessità di acquisire il consenso specifico del paziente a ricevere sangue ed emoderivati, preventivamente ed adeguatamente informato nonché consapevolmente prestato (DM 3 marzo 2005 art.11): occorre renderne edotto il paziente rappresentandogli i rischi connessi alle varie situazioni (accettazione e rifiuto) e la possibilità (laddove esistente) di ricorrere a terapie alternative.

Per il minore e l’incapace, l’accettazione deve essere manifestata da entrambi i titolari della potestà genitoriale; in mancanza, solo un tutore nominato dal giudice potrà validamente prestarla.

In merito a situazioni particolari (testimoni di Geova su tutti), si ricorda che una eventuale trasfusione senza consenso espresso risulta lecita solo in caso di “stato di necessità” (che alla lettera dell’art. 54 c.p. è da intendersi come pericolo grave e imminente per la vita).

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