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Editoriale

Senza confini, nessuna guerra

di Giordano Cotichelli

Un bombardamento russo ha colpito l’ospedale della cittadina di Vuhledar, nel Donbass, a metà strada fra Donetsk e Mariupol. Sono state registrate quattro vittime ed una decina di feriti. Viene da chiedersi quanto possa essere un obiettivo strategico importante un piccolo ospedale dell’estrema periferia orientale dell’Ucraina. E chissà cosa significa lavorare in un ospedale sotto i bombardamenti. Come del resto accade in Yemen o in Siria, in Afghanistan o in Somalia, Etiopia, Mali, Libano, Palestina e via dicendo. La guerra più volte annunciata ha ghermito l’Ucraina e già ha mostrato tutta la sua potenza. Tutta la sua violenza. Kiev, Odessa, Leopoli, Kharkiv, e molte altre città sono state bombardate. A Kiev la gente si è riversata nelle gallerie sotterranee della metropolitana. Le strade della capitale sono intasate da decine di ingorghi di chi fugge verso la campagna. E non è che l’inizio.

Russia contro Ucraina, una guerra che chiede solidarietà

Dopo quasi un trentennio dalla macelleria nella ex-Jugoslavia, l’Europa torna ad essere attraversata dalla crudeltà degli eserciti, dalla follia delle armi, dalle menzogne della real politik che tutti – Russia, USA, Europa e Governo ucraino – hanno messo in campo. Menzogne sì, perché non c’è nessuna ragione al mondo che possa giustificare una politica che si fonda sulla morte e sul terrore. Eppure, c’è chi parteggia per le ragioni di uno schieramento, e chi per l’altro. E chi, in larga maggioranza non si impiccia, non ha tempo, non si interessa di politica e non capisce queste cose. Come probabilmente la buona parte di coloro che oggi subiscono la politica guerrafondaia che sta devastando l’Ucraina.

Ora più che mai, non bisogna cedere alle lusinghe tossiche delle armi e dei nazionalismi, della violenza e delle fazioni, ma attivare una solidarietà per condividere, nella malasorte, quel poco che si ha, con chi non ha più

E poi c’è una piccola parte che invece si sente di prendere posizione. In Italia e nel mondo diverse manifestazioni antimilitariste si sono improvvisate nelle ultime ore e altre seguiranno. A Kiev non hanno fatto in tempo a manifestare la loro opposizione al governo, ma a Mosca, in molti sono scesi in piazza gridando il loro rifiuto alla guerra; centinaia sono stati gli arrestati. Il Papa ha invitato alla preghiera e al digiuno, mentre molti esortano a disertare la guerra; questa e tutte le altre. Difficile dire che cosa si debba fare, specie se sei lontano migliaia di chilometri e non ti è crollato un palazzo – un ospedale – sulla testa. Però non si può rimanere con le mani in mano. Ad esempio, è giusto ricordare che i finanziamenti alle forze armate, in Italia, non hanno subito gli stessi tagli che sono stati fatti per la sanità, per la scuola, per il welfare. In realtà il detto imperiale: si vis pacem para bellum, è solo una meschina menzogna che allora – ed oggi – giustificava la politica di conquista di Roma. Chi prepara la guerra vuole la guerra e basta. Resta sempre la domanda su che cosa si possa fare, oltre che prendersela con il nostro beneamato e muscoloso, e colonialista e bizantino governo. Un piccolo esempio storico può essere utile a rispondere in parte.

Il 17 gennaio del 1944 un massiccio bombardamento alleato sconvolge la provincia d’Ancona. A Chiaravalle il locale ospedale viene colpito ed interamente distrutto. Tutto il personale e i pazienti ricoverati vengono uccisi. Nell’immediato dopoguerra la forza e la tenacia della popolazione locale, a suon di sottoscrizioni e sacrifici, avvia la ricostruzione del nosocomio. Il piccolo comune confinante di Monte San Vito rinuncia ad un pezzetto di territorio per consentire la costruzione nel luogo adatto prescelto dai tecnici. Quasi mezzo secolo dopo la fine della 2^ Guerra Mondiale, e pressochè in concomitanza con l’anniversario della distruzione militare dell’ospedale, viene dato inizio alla Guerra del Golfo con il bombardamento “chirurgico” di Bagdad. Un gruppo di infermieri in servizio presso l’Ospedale di Chiaravalle scriverà un manifesto di protesta contro la guerra iniziata. Quello stesso gruppo poi, per quasi due decenni, lotterà contro la ristrutturazione del nosocomio in nome di un servizio sanitario equo ed accessibile.

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