Rileggere Furore oggi rende difficile non pensare che la storia sia un cerchio che si ripete: condizioni di vita che peggiorano, costo della vita che sale, lavoro precario. La rabbia per le ingiustizie subite serpeggia tra i protagonisti, esplode per un attimo, accende la speranza nel lettore, per poi spegnerla subito dopo. Come in un film di guerra in cui gli oppressi ci illudono di poter vincere e poi non vincono mai. Le pesche raccolte a cottimo nel romanzo diventano oggi doppi turni, stipendi ridotti all’osso e la promessa di un’indennità che arriva solo se si firma un contratto in perdita. Cambia il frutto ed il contesto, ma la dinamica è tristemente familiare.
Lavoro, dignità e rabbia sociale: una storia che si ripete
"The Hailstorm" di Thomas Hart Benton, 1940
Stati Uniti, anni Trenta. Nel capolavoro di John Steinbeck, The Grapes of Wrath ( “I frutti dell’ira”, tradotto in italiano con il titolo Furore), la famiglia Joad si prepara per un lungo viaggio alla ricerca di una vita dignitosa.
A un certo punto trovano impiego nei frutteti di pesche in California. La paga, scoprono, è di 5 centesimi a cesto, ma solo perché è in corso uno sciopero dei braccianti. Una volta che la protesta verrà repressa, la paga scenderà a 2,5 centesimi.
A peggiorare la situazione i lavoratori sono obbligati a fare acquisti nell'emporio interno ai campi, dove i prezzi sono deliberatamente gonfiati: un pezzo di carne costa 50 centesimi, il pane 10.
I miseri guadagni vengono immediatamente prosciugati in un circolo vizioso che li condanna a una povertà perpetua. Poi arriva la fame. La fame fisica, che spinge i più grandi a togliersi il cibo di bocca per non turbare i più piccoli e i più fragili.
Ma soprattutto la fame come metafora di un'angoscia che non fa dormire, che mette in discussione le proprie scelte, pur sapendo che non esiste una vera alternativa. L'unica scelta, dettata dalla disperazione, è continuare a lavorare e sperare in un futuro migliore, se non per sé stessi, almeno per i propri figli.
Rileggere Furore oggi rende difficile non pensare che la storia sia un cerchio che si ripete: condizioni di vita che peggiorano, costo della vita che sale, lavoro precario.
La rabbia per le ingiustizie subite serpeggia tra i protagonisti, esplode per un attimo, accende la speranza nel lettore, per poi spegnerla subito dopo. Come in un film di guerra in cui gli oppressi ci illudono di poter vincere e poi non vincono mai.
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