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La questione relazionale

di M T

Può la relazione essere prevenzione?

La professione infermieristica, al pari di altre, si confronta ogni giorno con l'utenza, richiedente prestazioni pratiche, professionali, a volte di natura emotiva. Era difficile raccogliere assieme cosí tanta fredda scontatezza in un inizio articolo, ma nessuna sfida è realmente impossibile.

Mani

La relazione è una componente della terapia

Ricordo che per pagarmi l'Università mi sono impegnato in qualsiasi tipo di lavoretto. Durante un periodo, seppur molto molto breve, in un famoso store di arredamento svedese.

Prima della porta che separava l'area riservata al personale da quella propriamente interna al negozio, avevano posizionato uno specchio enorme sul quale vi era applicato uno smile adesivo con scritto: "sorridi, stai per incontrare il tuo prossimo cliente". Si parla ovviamente di un'azienda che deve parte del suo successo mondiale alle politiche aziendali curate nei minimi particolari, che rispecchiano l'origine scandinava.

Bypassando i contesti lavorativi che ci vedono impegnati e stressati, quante volte ci interroghiamo sulla dimensione relazionale del nostro lavoro? Del nostro approccio, dell'importanza del singolo atto?

Noi viviamo il turno perlopiù correndo, non possiamo negarcelo. Ma la "cura" nelle singole interazioni risulta sempre molto utile, non soltanto a livello di soddisfazione personale o output rispetto al nostro lavoro.

La relazione d'aiuto si fonda sul rapporto di fiducia


Questa è un'evidenza.

Siamo italiani: gesticoliamo, scherziamo, amiamo la compagnia. È altamente irrealistico pensare di meritarci e ottenere la fiducia dei nostri pazienti puntando soltanto sulle capacità, sulle specializzazioni, sulle competenze e sugli studi.

Il rapporto di fiducia si basa fortemente sulla simpatia. La "simpatia" greca, quella che ti dice che vivete assieme un momento. L'empatia è un obiettivo bello, vero, necessario, compartecipativo. La simpatia, nei suoi modi opportuni, lega. La differenza tra accompagnare e andare insieme. Ogni persona, ogni singolo paziente necessita di entrambe; in dosi molto variabili, ma di entrambe.

Guardando al lato pratico e cinico della questione, gli investimenti relazionali possono assumere caratteri fondamentali in caso di ingestibilità improvvisa della persona. Lavorare a livello psicologico su di una base di fiducia esistente, seppur in quel momento traballante, è un aiuto dal valore altamente incidente sull'esito dell'approccio in emergenza.

In caso questa fiducia di base non vi sia, la situazione si complica, ogni intervento diventa sterile e la sedazione forzata una via di fuga appetibile, se non altro per evitare il brutto confronto con il senso d'impotenza che può affliggerci in quei momenti.

Amo sempre parlare di un dentista. Più precisamente della sua sala d'attesa. I battiti al minuto aumentano per tutti in quei momenti, inutile nasconderci dietro un dito. Un senso di inquietudine copre i divani, si incolla addosso. C'è chi dissimula con il cellulare.

Ricordo il tavolino della sala d'aspetto. C'è sempre un tavolino, è un elemento d'obbligo quasi quanto le riviste, vecchie anche di decenni, di gossip, motori o, per i più fortunati, riviste scientifiche da edicola (mi sono sempre chiesto, tra l'altro, se le epidemie mondiali non partano proprio da quelle cataste contaminate di carta stampata).

Questo dentista però aveva anche un libro, nella sua sala d'attesa. Uno in particolare. "La nausea", di Jean-Paul Sartre. Insomma la sua idea era stata quella di mettere un romanzo centrato sull'angoscia di vivere in mano a persone che stavano per farsi mettere mani e strumenti decisamente invasivi in bocca, con tanto di panico, prima e dolore, poi.

Questo per dire che se non per puro sentimento, la relazione con il paziente si rende importante e necessaria come atto di prevenzione e preparazione a possibili interventi psicologicamente utili alla stabilità clinica.

Se proprio non ci è possibile "amare" il prossimo, nonostante tutto.

Infermiere