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COVID-19

Qui abbiamo divise sporche di sangue, di droplets e di vita

di Redazione

Questo è il disperato urlo di un infermiere che chiede solo maggiore rispetto da parte di tutti, siano esse persone - con comportamenti più consoni ed educati - siano esse istituzioni, con un giusto riconoscimento economico, rapportato alle nostre competenze e preparazione ed ai rischi che corriamo ogni santo giorno che strisciamo il cartellino nella timbratrice. Non solo con l'emergenza coronavirus.

Coronavirus: non siamo eroi oggi e non eravamo fannulloni ieri

È iniziato tutto per caso, un giorno di fine febbraio o forse prima, ma prima l'epicentro era in Cina, lontano da noi, cosa mai potrà interessarci. Coronavirus, Cina, noi siamo in Italia, non ci tange. Poi un giorno un paesino Lombardo decide di prendersi gli onori della cronaca: Codogno.

È un'influenza un po' più seria e contagiosa, nulla di che. Paziente zero, uno, due, cento, mille, diecimila, si viaggia oltre. State tranquilli, l'importante è usare i dispositivi di protezione individuali. Guanti, mascherina, copri camice e via. Aggiornamento: le mascherine chirurgiche non bastano, servono le FFP2, le FFP3; i copri camice non bastano, servono le tute, le cuffie, le visiere.

Bardato stile uomo sulla luna, metti alla prova la resistenza, tipo Spartan Race, ma senza bere, senza poter andare in bagno, senza poter respirare aria ambiente, un micromondo ed un microclima tutto tuo, fatto di fiatelle insopportabili (eppure sono parecchio attento alla mia igiene orale), di sudore che non traspira, di solchi prodotti dagli elastici delle mascherine che segnano il viso, di mal di testa per la visiera incastonata a mo' di corona.

Si fa fatica a riconoscere chi è in turno con te, improvvisi allora una pseudo identificazione sulla tuta, stile giocatori: Vito infermiere, Andrea dottore, Giusy Oss, Dino trasporti.

Ecco forse come diceva Totò questo Coronavirus è davvero una livella; già lo è di per se il Pronto soccorso, ma questa emergenza ha rafforzato il concetto

Siamo tutti soldati con la stessa mimetica, la tuta bianca, non abbiamo un elmetto, ma una cuffia, non abbiamo visori notturni ipertecnologici ma una visiera in plastica, non abbiamo maschera antigas ma una FFP2 (quando c'è). Qui non abbiamo gradi scintillanti da mettere in bella mostra sulla nostra mimetica in perfetto ordine. Qui abbiamo divise sporche di sangue, di droplets e di vita.

È stato un tsunami, ci ha travolto, non abbiamo avuto nemmeno il tempo di capire come vestirci e svestirci di quelle tute, non abbiamo nemmeno avuto il tempo di capire come comportarci, nessuno ce lo ha spiegato.

Ci siamo ritrovati a giocare ad un gioco di cui non conoscevamo le regole, ma lo abbiamo affrontato, lo stiamo affrontando, con la stessa determinazione e volontà di sempre, con la stessa audacia e passione, scoprendo ogni giorno un nuovo indizio, una nuova carta, una nuova regola

Fuori dagli ospedali ci sono striscioni di gruppi Ultras che ci gratificano e ci rendono orgogliosi; le pizze, i dolci, le “cibarie” che vengono consegnate in ospedale per sollevarci un po' il morale e farci sentire vicino la popolazione (meno la palestra); gruppi sui social che fregiano del titolo di eroi chi lavora in ospedale, ci fanno sentire importanti.

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