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Operatore Socio Sanitario

Pensione, Giancarla: Spero non sia solo un miraggio

di Paola Botte

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Quarantadue anni di lavoro "usurante", quaranta di contributi. E la paura di non potere mai arrivare alla pensione. È così che Giancarla, Oss del '60, sta vivendo i suoi ultimi – spera - anni di lavoro. Il continuo mutare delle leggi sull'età pensionabile e un fisico mal ridotto dalle cattive condizioni lavorative passate, l'hanno portata oggi a chiedersi se riuscirà mai a godersi un meritato riposo. A rilassarsi e coltivare finalmente, dopo anni di sacrifici, qualche hobby.

Giancarla, Oss vicina alla pensione: Voglio godermi i frutti delle fatiche

oss con carrello per igiene

Dopo tutti questi anni - afferma - sono fisicamente molto stanca e piena di dolori. Ho lavorato come un mulo tutta la vita, sia in ospedale che a casa. E se le si chiede da quanti anni lavora nel mondo dell'assistenza, lei risponde "da sempre". Da quando ha compiuto 15 anni.

Appena dopo le medie sono partita per Milano. Quarta figlia di genitori agricoltori che producevano vino, olio e grano, decisi di seguire le orme delle mie sorelle e raggiungerle nella grande città di Milano per trovare lavoro e non pesare più sulla mia famiglia.

L'unico lavoro per le ragazze senza famiglia come lei era, in quegli anni, quello degli ospedali o delle cliniche, perché avevano il convitto.

Il primo impiego durò poco e fu una delusione - racconta - perché le suore che gestivano la clinica decisero di non tenermi, a seguito del loro odio per i meridionali. Fortunatamente, all'epoca, il lavoro si trovava facilmente, così tramite delle amiche delle mie sorelle trovai subito un'altra occupazione in una casa di riposo.

Giancarla accettò di buon grado, ma si trovò in una struttura a lunga degenza, con pazienti allettati. E lei era poco più di una ragazzina.

Eseguivamo l'igiene, i letti e la mobilizzazione di chi si poteva alzare. A turno, - ricorda - facevamo i bagni ai pazienti in una vasca da bagno normale, dove era difficilissimo muoversi bene e in sicurezza. Soprattutto per ragazzine come noi, che dovevano spostare pesi a volte enormi.

I guanti monouso non esistevano, usavamo le mani nude oppure nel mio caso, visto che ero allergica al sapone di marsiglia, i guanti per lavare i piatti. L'orario di lavoro era spezzato e non avevo giorni liberi. Forse uno ogni dieci giorni. Ogni tanto durante la pausa pomeridiana di tre ore uscivo per fare due passi, o andare alle giostre, ma non era un atteggiamento visto di buon occhio dai miei capi che non perdevano tempo a colpevolizzarmi.

A quel punto Giancarla decise che semmai fosse tornata a casa, sarebbe stato con una professione in mano e allora prese il diploma delle superiori per potere fare un giorno il corso di infermiera.

A 19 anni fu assunta da un ospedale pubblico con uno stipendio due volte il precedente e turni di 24 ore che le permisero di avere più giorni di riposo.

Iniziai in sala operatoria della chirurgia d'urgenza con turni di 24 ore. Il lavoro - dice - consisteva nel lavaggio dei ferri a mano con l'ausilio di una spazzola, nella pulizia della sala operatoria, oltre a sbarellare i pazienti. Anche lì non c'erano i guanti monouso, così continuavo ad usare quelli di gomma, che però si bucavano di continuo. Si lavavano a mano anche le compresse di garza e i guanti di filo dei chirurghi. La sanificazione avveniva con sapone bollito nell'acqua e poi per i casi infetti si usava la formalina. Ricordo che bruciava gli occhi e la gola, ma non avevamo alternative.

In quello stesso periodo Giancarla provò a coronare il suo sogno di iscriversi alla scuola per infermieri, ma i pessimi voti da una parte e la paura di essere bocciata e dover quindi restituire alla struttura le ore di lavoro dall'altra, la portarono a rinunciare.

L'incontro con quello che sarebbe poi diventato suo marito, fu però il vero cambiamento. L'amore e le condizioni di vita più dignitose le permisero di vivere finalmente in una casa più grande e di mettere su famiglia. Lasciò la stanza che aveva affittato con un letto, un fornellino da campeggio e senza riscaldamento, per trasferirsi in una bella mansarda con il suo uomo.

Con due stipendi riuscimmo a vivere bene, a pagare il mutuo e mettere via dei soldi. Abbiamo avuto due figli e grazie ai turni da 24 ore prima e al part-time dopo, sono stata una mamma molto presente. I sacrifici non sono comunque mancati. La mia giornata iniziava all'alba e finiva a notte fonda. Nel 2002, sono diventata Operatore Socio Sanitario e sono rientrata nei turni, perché era più comodo per gestire i continui impegni famigliari.

E così, dopo una vita intensa, fatta di rinunce, dove i suoi diritti da lavoratore sono quasi sempre stati calpestati, Giancarla adesso chiede solo una speranza. Quella di potere vedere la sua pensione il prima possibile.

Passeggiare, guardare anche solo il cielo che cambia colore. Trascorrere un po' di tempo con mio nipote. Non chiedo altro. Vorrei finalmente iniziare a godermi i frutti del mio lavoro, anche perché non so per quanto tempo ancora riuscirò a svolgere questa dura professione.

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