Dipendente diffama datore di lavoro su Facebook, Cassazione conferma il licenziamento

Infermiere Forense

Il malessere che un dipendente a volte prova nei riguardi del proprio datore di lavoro, se pubblicamente manifestato, è in grado di determinare conseguenze anche irreparabili per il lavoratore stesso. A certificarlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione che conferma il licenziamento di un lavoratore per aver pubblicato commenti negativi e offensivi rivolti alla sua azienda sul proprio profilo Facebook.

Sentenza Cassazione conferma licenziamento per diffamazione su Facebook

La Corte di Cassazione conferma la sentenza di licenziamento per diffamazione sui social

È oramai consuetudine utilizzare le varie piattaforme social online durante il turno di lavoro. Quasi la totalità delle aziende ha normato questo aspetto, seppur con la consapevolezza che è praticamente impossibile governare così tanta tecnologia concentrata in uno smartphone. Al contempo il singolo lavoratore ha acquisito la coscienza che le stesse attività online restano visibili agli occhi di tutti, compresi i propri datori di lavoro. Eppure, nel caso in cui un dipendente manifestasse pubblicamente il proprio odio nei confronti dei suoi superiori, potrebbe incorrere in licenziamento per giusta causa, motivato da insubordinazione grave, tale da compromettere il legame di fiducia tra le parti.

Il malessere che un dipendente a volte prova nei riguardi del proprio datore di lavoro, se pubblicamente manifestato, è in grado di determinare conseguenze anche irreparabili per il lavoratore stesso. A certificarlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27939/21) la quale, confermando quanto già diffusamente ribadito dalle precedenti sentenze (primo e secondo grado di giudizio), conferma il licenziamento.

Motivazioni della sentenza di licenziamento

Le motivazioni principali sono da ravvisarsi nel contenuto (gravemente offensivo e sprezzante nei confronti dei superiori e dei vertici aziendali) di tre e-mail e del messaggio Facebook legittimamente acquisibile, in quanto non assistito da segretezza. Di fatto, manifestando pubblicamente o ricorrendo ad una comunicazione istituzionale interna, il lavoratore può subire delle sanzioni, che in taluni casi possono significare interruzione del rapporto di lavoro.

Nonostante ciò, nel caso in esame, l’ex dipendente si affida alla Cassazione ricorrendo con 4 motivi, uno dei quali meritevole di attenzione da parte nostra. Come detto in precedenza la gran parte delle aziende hanno realizzato documenti e regolamenti interni al fine di bilanciare il cosiddetto “diritto alla disconnessione” con gli obblighi in carico al lavoratore. In alcune realtà lavorative tale organizzazione è risultata funzionale, mentre in altri setting di lavoro, spesso si è andati incontro a veri e propri procedimenti disciplinari con epiloghi a volte consistenti nel licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo. In particolare, nel caso in esame, una delle motivazioni che hanno portato le corti di giudizio a provvedere al licenziamento, è stata la pubblicazione sul proprio profilo Facebook di commenti negativi e offensivi rivolti alla sua azienda.

Tenuto conto che si era di fronte ad un profilo privato, il dipendente ha posto ricorso affermando che si trattava di una illegittima acquisizione, in quanto i messaggi erano destinati alla comunicazione esclusiva con i propri amici e pertanto riservata, espressiva di una modalità incompatibile con la denigrazione o la diffamazione erroneamente ritenuta. La Corte di Cassazione ha considerato tale motivazione come “infondata”, in quanto, nel caso in esame, non sussiste una esigenza di protezione di un commento offensivo nei confronti della società datrice di lavoro diffuso su Facebook. Il mezzo utilizzato è, infatti, idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone (Cass. 27 aprile 2018, n. 10280, che ha ritenuto tale condotta integrare gli estremi della diffamazione e costituire giusta causa di recesso, siccome idonea a ledere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo).

Possiamo quindi affermare che i regolamenti aziendali, i codici disciplinari non vanno rispettati esclusivamente all’interno della realtà lavorativa, ma occupano oramai anche la sfera privata, o potremmo dire privata social. È quindi doveroso mantenere una componente etica e deontologica anche in ambito extra-lavorativo, facendo però attenzione a non allinearsi semplicemente.

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