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editoriale

L'Italia non è un paese per giovani

di Giordano Cotichelli

C’è un biglietto attaccato su una colonna. Il testo recita: Non è permesso consumare alimenti e bevande e fare festeggiamenti. Si trova a pochi metri dall’entrata dell’Aula Magna dove, periodicamente, si consumano le cerimonie di laurea della Facoltà di Medicina. Fuori, nella sala antistante, pochi studenti si attardano a chiacchierare. Pochi, nonostante oggi sia il giorno della sessione autunnale delle lauree in Infermieristica. Nulla di strano, oggi, perché siamo in piena pandemia e, fatta salva la presenza della Commissione, la sessione si svolgerà non in presenza, ma da remoto. Un anno fa non sarebbe stato così. Le scale che salgono verso l’aula magna sarebbero state tappezzate da fogli fotocopiati con immagini dei laureandi con sotto diciture augurali varie. Rituale goliardico, tanto scontato quanto necessario a segnare la fase di passaggio dal mondo degli studi a quello del lavoro, che oggi si carica dell’eccezionalità della pandemia in corso.

O si investe nel futuro o questo non sarà un paese per molte persone

Le sessioni di laurea tenutesi nelle scorse settimane sono state un momento atteso da un mondo sanitario affamato di giovani e forti braccia per dare sollievo a quelle esauste delle molte settimane di turni vissuti pesantemente.

In questi mesi i bandi per incarichi precari si sono susseguiti lungo tutto lo stivale. Non molti i concorsi fatti, in qualche caso, alcune prove sono state addirittura rimandate. Se da un lato la richiesta di infermieri neofiti è alta, dall’altro il timore a livello dirigenziale di ritrovarsi successivamente con personale in “esubero” sembra permanere, nonostante si sia arrivati, vista la drammatica carenza infermieristica, a mobilizzare dalle facoltà, in qualche caso, anche gli studenti in formazione per utilizzarli in vari settori. In tutto questo i soliti chiacchieroni della politica, sfornando sorrisi genuini quanto le loro promesse elettorali e domandando un aumento da subito degli iscritti ammessi ai corsi di Infermieristica.

Buona cosa, anche se, viene da chiedersi cosa faranno questi neo-colleghi, quando fra tre anni – ci si augura - la pandemia sarà passata e si sarà ritornati alla “anormalità” di sempre dove disoccupazione e precariato giovanile ed infermieristico dominano.

Se saranno previsti nuovi servizi, più posti letto e più personale, allora ha senso oggi aumentare le richieste di immatricolazione. Insomma, i giovani studenti infermieri, presenti e futuri, come cartina al tornasole di un sistema che dovrà rinnovarsi; dato che le questioni lavorative non riguardano solo i giovani infermieri, ma tutto il mondo sanitario e del lavoro in generale. Non è un caso, ad esempio, che proprio in questi giorni i giovani medici, anch’essi gettati nell’agone pandemico sofferente delle carenze di organico, protestino per il blocco di 14.000 circa di loro per le assegnazioni alle scuole di specializzazione.

Alla fine, il quadro che scaturisce dalla sanità sembra paradigmatico di una visione più ampia, che riguarda tutte le giovani generazioni del Bel Paese: l’Italia non è un paese per giovani, ora santificati, ora demonizzati. Vittime della “dittatura sanitaria” che non li manda a scuola, perdendo momenti importanti della loro vita, ma allo stesso tempo untori che, ammassati nei mezzi pubblici, “portano” il virus in casa. Giovani irresponsabili ed anche un po’ egoisti dato che, per il 49,3%, di loro è prioritario dare le cure ai giovani prima che agli anziani; secondo quanto rilevato dal 54° Rapporto Censis. E poi ci sono i giovani e il non rispettare le distanze di sicurezza, l’uso della mascherina, il ritorno dalle vacanze che ha contribuito a mantenere alti i livelli del contagio assieme alla movida, alle feste, fino alla maxi-rissa di qualche giorno fa avvenuta sulla terrazza del Pincio a Roma.

L’irrequietezza e l’irruenza proprie delle giovani generazioni insomma diventano il perfetto capro espiatorio dell’incapacità di controllare e far fronte ad una pandemia che poteva essere meglio gestita. Un po’ come per gli anziani affetti da polipatologie che, se muoiono, insomma, è anche un po’ colpa loro; almeno così dicono i saggi di sempre. Ed ancora: i giovani che a marzo fuggono da Milano, pronti a infettare tutto il resto del paese e che ora, in prossimità del Natale, promettono di fare la stessa cosa.

Si potrebbe andare avanti ancora per molto, ma è abbastanza chiaro che quella attuale non è una società per giovani. O meglio, è un mondo in cui se le cose vanno bene, è merito di chi ne profitta, se invece vanno male c’è sempre una categoria pronta ad essere incolpata: i giovani, le donne, i vecchi, gli stranieri, i gay, i poveri, etc.

Sono fuori discussione le responsabilità delle giovani generazioni in relazione a comportamenti sbagliati e pericolosi, sia in merito alla pandemia, sia per molte altre cose. Però è giusto chiedersi quanto essi rappresentino una devianza sociale, un’anomalia, oppure siano la risultante generazionale, la fotografia attuale delle fragilità e delle storture della società.

Condannati se stanno in un centro sociale e ignorati invece se si ammassano in discoteche stracolme. Almeno fino a ieri, almeno fino alla tragedia di Corinaldo. I Giovani assieme alle donne, ai precari e ai meridionali sono tra le fasce di popolazione più colpite dalla crisi legata alla pandemia, in un quadro di insicurezza sociale e lavorativa confermato anche dagli ultimi dati dell’Istat.

È giusto dunque fuoriuscire dall’emergenza del momento, dalle analisi superficiali e dalla ricerca spasmodica del capro espiatorio e ritornare, a titolo semplificativo, alle infermiere ed agli infermieri laureatisi poche settimane fa. Rappresentano un investimento professionale che non può essere sciupato nell’accozzaglia di turni e carenze da “tappare” selvaggiamente. È vero, sono le ultime arrivate, ma non si può più trattarle come un tempo, affermando la prevaricazione dell’autorità generazionale sull’autorevolezza scientifica, la gerarchia del veterano sull’insicurezza del neofita.

Non si può più rispondere loro: Qui si è sempre fatto così, ti devi adattare. O si investe nel futuro e ci si lascia alle spalle un mondo vecchio, brutto, gerarchico ed avvitato su se stesso, che ci ha portato facilmente ai drammi attuali, oppure oltre che per i giovani, questo non sarà un paese per molte altre persone.

NurseReporter

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