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L'obbedisco degli infermieri e la sentenza su cui riflettere

di MS

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Una sentenza - quella che ha visto la condanna di un medico, in qualità di mandante e di un infermiere, in qualità di esecutore di una trasfusione di sangue eseguita contro il volere della paziente – che deve e che fa riflettere, molto. Su cosa? Sull’organizzazione sanitaria impostata su gerarchie, ad esempio. Perché di questo si è trattato: di esecuzione di un "ordine” impartito da un superiore.

Tu mi dici quello che io devo fare e io lo faccio

La recente sentenza del Tribunale di Termini Imerese, già ampiamente argomentata da noti giuristi, riporta a galla una consuetudine ben lungi dall’essersi esaurita dopo l’abolizione del mansionario in capo agli infermieri.

Questa fase è cruciale: si concretizza una sceneggiatura anacronistica per ciò che attiene la volontà della paziente e la velleità degli infermieri.

I medici ritengono necessario procedere ad una trasfusione di sangue: in considerazione del rifiuto della paziente (aveva consegnato le “direttive anticipate relative alle cure mediche con contestuale designazione di amministratore di sostegno, con espresso rifiuto alle emotrasfusioni) il primario - sopravvalutando il concetto stesso di “Stato di Necessità - ed affermando di aver ottenuta l’autorizzazione dal magistrato, procede, in collaborazione con gli infermieri, all’emotrasfusione.

In realtà la parola “collaborazione” poco si addice alla presente scrittura: sapendo di “guadagnare” molte antipatie, mi permetto di sovrapporre l’atteggiamento degli infermieri in questione ad una nota gag televisiva di un gruppo di comici sardi: “tu mi dici quello che io devo fare e io lo faccio”.

Proprio così: tralasciando la condotta medica (il primario è stato condannato al risarcimento danni in favore della parte civile con pagamento di euro 10.000,00 più euro 5.000,00 a titolo di risarcimento danni), ciò che ulteriormente colpisce sono le attività messe in campo dagli infermieri (un uomo ed una donna):

Come argomentato dal giurista Luca Benci, il cuore della sentenza non consta semplicemente nella condanna del primario per violenza privata nei confronti di una giovane donna testimone di Geova.

Ciò che maggiormente colpisce la compagine infermieristica è la ridondante sudditanza degli infermieri nei confronti dei medici

Tenendo conto ancora una volta di pubblicazioni scritte da Benci, la trasfusione di emocomponenti non è più considerabile un atto medico, bensì atto sanitario eseguibile dal medico o dall’infermiere in relazione alle esigenze organizzative, assistenziali e cliniche, sono pertanto le condizioni del paziente e l’organizzazione a determinare la presenza del professionista più idoneo all’esecuzione della trasfusione.

Gli infermieri hanno “per errore di fatto, obbedito ad un ordine legittimo” (Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine, articolo 51 c.p. comma 3).

Piuttosto che parlare di organizzazione sanitaria è forse opportuno definirla organizzazione militaresca: rispetto di un ordine impartito da un superiore.

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Commenti (2)

brusati

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10 commenti

Io la penso diversamente

#2

L'articolo, come altri, non è scritto benissimo e non è chiaro.
Non si evince la condanna per l'infermiere e si parla solo della condanna per il medico.

Però:

punto 1.
Gli infermieri hanno “per errore di fatto, obbedito ad un ordine legittimo”.
5,3 di emoglobina. Partiamo da questo dato di fatto.
Se noi infermieri dobbiamo ragionare con la nostra testa, dobbiamo anche sapere quali sono i rischi legati ad una anemia di questo livello.
Una volta impartito "l'ordine", mi sembra sia logico uniformarsi.

Punto 2.
Giunto al letto della paziente per applicare l'ago devo (e sottolineo DEVO) ottenere la sua autorizzazione. La condotta non consona dei colleghi coinvolti è racchiusa in una persona che la trattiene con la forza, l'altra che infila un ago senza il consenso della paziente.
Mi sono diplomato nel 1982. Già allora si parlava di consenso del paziente. In pratica la differenza che passa tra un'iniezione ed uno spillone infilato nel gluteo di una persona su un autobus consta nel fatto che nella prima circostanza c'è il consenso. Nel secondo caso, si configurava il reato di lesioni personali (adesso non è più così?).

Punto 3.
Credo che in mezzo a tutte le inutili leggi di questo stato che sta diventando sempre più piccolo, sia giunta l'ora di inserire una legge che tuteli la volontà dei testimoni di Geova (nostri fratelli in Cristo) di non ricevere trasfusioni. Non tuteliamo i diritti e i desideri di una minoranza della popolazione italiana ma ci preoccupiamo di tutelare i diritti e i desideri di popolazioni che arrivano da lontano di cui non conosciamo assolutamente nulla? Grottesco!
La legge dovrebbe essere più o meno secondo queste linee:
Sei testimone di Geova? diritto di morire per anemia acuta senza conseguenze per chichessia.
Sei un medico con paziente TdG anemico? nessuna sanzione a nessun livello.

giovanna taverni

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1 commenti

lo faccio.... ma come?

#1

Nell'articolo si evincono solo parzialmente alcuni aspetti legati alla gravità e urgenza della situazione, nonché all'epilogo sanitario della vicenda. E' riportato invece che la disposizione del medico era stata confortata dal parere del magistrato, e qui la questione appare più complessa del mero rapporto professionale tra medico e infermiere; mi chiedo cosa sarebbe successo se gli infermieri non avessero praticato la trasfusione e la paziente fosse morta? Qual' è il dilemma interiore, se c'è stato, che la situazione ha provocato nei professionisti?
Tuttavia, ciò che mi lascia più amarezza è la modalità dell'intervento assistenziale:
quella riportata nel riquadro (..."signora stia ferma che dobbiamo farla"... la donna le teneva ferme ginocchia e braccio... ..." signora non le venga in mente di...").