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editoriale

Ratzinger, un infermiere accanto al Papa emerito

di Monica Vaccaretti

Dai comunicati ufficiali dello Stato Vaticano, si sa che c'era un infermiere al capezzale del Papa emerito Benedetto XVI, sino all'ultimo respiro, oltre a quattro suore laiche chiamate memores domini. Fra Eligio è il suo nome, insieme religioso e infermiere. Un infermiere con la veste. Mi piace questa doppia mission e professionalità, che resta accanto all'umano ricercando il divino. Piace perché è vera questa immagine di un infermiere che, parte di un'équipe sanitaria, assiste l'infermo. Che è vicino alla sofferenza di un uomo, non importa se illustre.

Essere infermiere accanto ad un morente non è cosa da tutti

Benedetto XVI, primo Papa emerito dopo la sua storica rinuncia al pontificato del febbraio 2013, si è spento il 31 dicembre 2022

Alle 9.34 del 31 dicembre si è spento Benedetto XVI. San Silvestro, ultimo giorno del calendario di ogni anno cristiano, pare un buon dì per chiudere puntualmente, secondo gli astri, la fine di una vita ed iniziarne un'altra; forse c'è da qualche altra parte un mondo diverso.

I giorni di fine 2022, un altro anno horribilis negli ultimi tempi, hanno visto andarsene a vita migliore tanti personaggi illustri che hanno fatto la storia della nostra epoca, in ogni arte umana. Dalla monarchia al calcio, da Elisabetta II a Pelè.

Se è vero che la morte è la fine che facciamo tutti, anche se grazie a Dio non ci pensiamo mai, ci sono morti che fanno più sensazione per la lor notorietà e che non possono essere anonime, perché lasciando un segno significativo in vita, lasciano inevitabilmente un vuoto quando sopraggiungono.

Si perde qualcosa di bello quando alcune persone, più di altre, vengono a mancare. Ma al tempo stesso la memoria di quello che hanno donato - al mondo intero o alle persone per cui sono state un mondo - con la loro individuale esistenza diventa un bene collettivo, un patrimonio di conoscenza, bellezza ed umanità che lasciano in eredità da custodire.

Oltre alle agenzie di stampa, ne hanno annunciato la morte le campane di San Pietro nell'ultima non tanto fredda mattina di dicembre romana. Ed il cielo, sopra il monastero Mater Ecclesiae, ha smesso per un istante di appartenere alla geografia dello spazio. Ci sono spazi, che separano gli attimi, che davvero appartengono alla geografia del cuore (cit. Benedetto XVI).

Dai comunicati ufficiali dello Stato Vaticano, si sa che c'era un infermiere al suo capezzale, sino all'ultimo respiro, oltre a quattro suore laiche chiamate memores domini. Fra Eligio è il suo nome, insieme religioso e infermiere. Un infermiere con la veste. Mi piace questa doppia mission e professionalità, che resta accanto all'umano ricercando il divino. Piace perché è vera questa immagine di un infermiere che, parte di un'équipe sanitaria, assiste l'infermo. Che è vicino alla sofferenza di un uomo, non importa se illustre.

Che non adempie soltanto ad un servizio ad un Superiore ecclesiastico, ma ad un mandato di assistenza infermieristica seguendo non una Regola religiosa ma un Profilo. Che ha accompagnato alla morte con dignità, come merita ogni uomo. Come lo sa fare un buon infermiere in qualsiasi buon ospedale o nella camera della gente che muore a casa, come Joseph Ratzinger ha scelto di fare rifiutando il ricovero in una clinica.

Un infermiere è accanto ad un letto di una dimora pontificia come ad un letto di un reparto qualunque. È tra le lenzuola, tra la paura dell'ultimo momento e il sudore, che si consuma la santità di ogni uomo. Dove santità può essere intesa anche una vita ben spesa e vissuta con buon cuore, al di là di ogni credo e non credo. Si è santi forse soltanto per essere venuti al mondo e averlo attraversato, passando in mezzo anche alla sua bruttezza, da pellegrini, con la sofferenza degli innocenti e con le tribolazioni del corpo malato. Sono santi tanti uomini semplici.

Essere infermiere accanto ad un morente significa vedere arrivare quell'ultimo sguardo, guardare negli occhi la morte, stringere una mano debole e fredda, ascoltare ultime parole e flebili battiti del cuore, assistere al commiato, essere spettatore di un mistero, partecipare ad un lutto. Non è cosa da tutti esserci in quei momenti che mettono di fronte al significato della vita umana quando sembra che con il morire un senso non ci sia.

Con una testa lucida e serena, è come una candela che si consuma lentamente, così il suo Segretario personale ha descritto il lento declino fisico del Papa emerito dopo che negli ultimi giorni era trapelata la notizia di un peggioramento delle sue condizioni di salute. Da mesi non aveva voce per parlare, ma certamente una così bella mente ha pensato ed amato sino alla fine.

Papa Benedetto XVI, 265° Pontefice della Chiesa Cattolica ed il più longevo, era nato in Baviera nel 1927. È stato il primo sommo pontefice emerito, dopo oltre sei secoli, con la sua storica e sofferta rinuncia al ministero di vescovo di Roma successore di San Pietro.

Era l'11 febbraio 2013 quando, dopo un pontificato di 8 anni ed una vita da vescovo e cardinale, ha pronunciato la sua declaratio: Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. È la dichiarazione di un uomo di fede ma libero, ben consapevole della gravità di questo atto e con piena libertà, rinuncio.

Joseph Ratzinger era fede ed era ragione

Joseph Ratzinger era nato, semplicemente come tutti, in un paesello di confine con l'Austria, vicino a Salisburgo. Di umili origini, è stato un bambino segnato dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Nella sua biografia si legge che, come giovane studente, fu costretto ad indossare la divisa militare tedesca e, con l'uccisione di un cugino affetto dalla sindrome di Down, venne brutalmente colpito nei suoi affetti più intimi dall'ideologia nazista sulla purezza della razza ariana.

Passando per tutto questo, è diventato un uomo che amava l'uomo, Dio, la musica di Mozart che suonava al pianoforte e i libri. Nei suoi 95 anni di vita ha trovato la sua dimensione umana non solo nella fede ma anche nella ragione. Per lui fede e ragione non erano disgiunte ma si tenevano per mano. Sapeva pensare, l'uomo Joseph, filosofare. E mettere il suo pensiero nelle parole. Sapeva come scriverle e farle andare lontano, oltre i confini del suo studio nella santa sede e della sua ultima residenza privata.

Ne ha dette di belle, intense, nelle sue tre encicliche e nei libri, come in “La mia eredità spirituale” edito nel 2013, l'anno del suo ritiro. Di quelle che restano e fanno riflettere. E quando scrivere non poteva più, ha trovato il modo di metterle nelle preghiere silenziose. Joseph Ratzinger è stato un Papa molto umano anche se poteva a taluni sembrare freddo e distaccato.

Ogni Papa, come ogni uomo, ha il suo carattere ed un suo stile. In fondo, come diceva Ratzinger, siamo tutti pensieri diversi di Dio. Veniamo dalla sua mente. E i pensieri sono infiniti. Al momento siamo 8 miliardi di pensieri viventi. Ci deve essere un gran pensare nella mente di Dio, da far venire mal di testa.

Benedetto XVI è universalmente riconosciuto come un grande teologo, non solo da oltre un miliardo di fedeli cattolici. Ha svolto un'intensa attività accademica e scientifica. Ha insegnato in prestigiose cattedre. Come la filosofia, la teologia parla di Dio, dell'uomo e della natura. Entrambe sono l'arte con cui qualche uomo, che ha una maggior attitudine a pensare bene e tanto, indaga il mondo per conoscerlo e cercare di capirlo. L'unica differenza è che la teologia parla di Dio un po' di più, mette Dio al centro delle sue riflessioni, Dio diviene la principale chiave di lettura dell'uomo per l'uomo.

Ha vissuto i suoi ultimi anni nella sobrietà e nella gratitudine a Dio. Ha sempre avuto un pensiero alla salute delle persone. Era costantemente informato dell'evolversi della pandemia anche se lontano dal mondo nel luogo del suo buon ritiro. Ha pregato costantemente per i malati e quanti soffrono a causa del virus. Per le vittime di Sars-CoV-2.

È stato particolarmente colpito dai tanti sacerdoti, medici ed infermieri morti, in particolare nel Nord Italia, nello svolgimento del proprio servizio per i malati di Coronavirus, ha dichiarato qualche mese fa il suo Segretario. Partecipa di questo dolore, segue con preoccupazione gli eventi ma non si lascia rubare la speranza.

Ha avuto pensieri sulla pace, cui aspira tutta l'umanità, definendola uno dei più bei nomi di Dio. Ha avuto pensieri sulla scienza, non tutto ciò che è scientificamente fattibile, è anche eticamente etico. Ha avuto pensieri sulla vita umana, la vita umana è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole ed avvolta nel mistero della sofferenza.

Ha avuto pensieri per l'essere umano, l'esser umano è uno solo e l'umanità è una sola, ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l'uomo alla fine ferisce tutti. Ha avuto soltanto un pensiero per sé: Sono semplicemente un pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra, con il quale si ritira e saluta i fedeli.

Spero che se ne sia andato, dopo un'ultima preghiera nella Liturgia delle Ore, con la sonata in G maggiore, K 525 che Wolfgang Amadeus Mozart scrisse nel 1787, nota comunemente come la Danza delle Ore. Che abbia lasciato questo mondo con una musica allegra in testa, che come uomo tanto amava. In fondo qualcuno un giorno ha detto che, mentre Beethoven la creava, Mozart la musica la trovava già scritta nell'aria da Dio.

Non addio, ma a Dio.

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