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Editoriale

Salute: va protetta e preservata anche per rifugiati e migranti

di Monica Vaccaretti

Una persona su otto a livello globale è un migrante o è costretta a sfollare a causa di guerre, persecuzioni, degrado ambientale e mancanza di sicurezza umana ed opportunità. La gente migra da 100mila anni, è una caratteristica dell'esistenza umana. Il movimento umano, volontario o forzato da condizioni cariche di ingiustizia e crudeltà, non è un fenomeno nuovo e non si è mai fermato dai tempi dell'homo sapiens che si è spostato dall'Africa popolando parti d'Europa e d'Asia. Una persona migrante dovrebbe pertanto trovare in un paese di accoglienza, che sceglie di chiamare casa, un rifugio sicuro. Dovrebbe essere un diritto per chiunque lo richieda, per desiderio o necessità.

Ogni essere umano, inclusi rifugiati e migranti, ha diritto alla salute

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I Paesi ad alto reddito, ritenuti responsabili di creare condizioni avverse a livello globale, dovrebbero utilizzare le loro risorse per ridurre la pressione migratoria su quelli più poveri.

Per tutti coloro che non si trovano in tale condizione proteggere i rifugiati è un dovere sancito dal 1951, lo stabiliscono la Convenzione e il Protocollo delle Nazioni Unite. L'intesa di allora nasce per dare risoluzione ad un problema internazionale urgente, causato dallo sfollamento di massa di milioni di persone dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, il documento è ancora valido, ha un grande valore attuale.

Oggi sono nuovi conflitti, cambiamenti climatici e disastri naturali a spingere le persone a scappare dal loro luogo di origine per mettersi in salvo e trovare altrove condizioni di vita migliori. Senza contare gli ucraini, sono 378 mila i sudanesi fuggiti nei paesi vicini negli ultimi mesi a causa della guerra. Per i pericoli legati alle condizioni meteorologiche nel 2022 sono stati sfollati ben 31,8 milioni di individui, un record.

Rifugiati e migranti, di cui il 20 giugno di ogni anno si ricorda la giornata mondiale, affrontano minacce significative per la salute durante i loro spostamenti ed hanno notevoli ostacoli all'accesso ai servizi sanitari di cui hanno bisogno nei paesi ospitanti. Proteggere la loro salute e la loro dignità durante viaggi pericolosi e nei paesi che li ospitano è pertanto una questione non solo di diritti umani, ma soprattutto di decenza umana. Perché salute per tutti significa tutti, anche e soprattutto coloro che si trovano nelle condizioni più fragili e miserabili.

Ogni essere umano, inclusi rifugiati e migranti, ha diritto a godere del più alto livello possibile di salute fisica e mentale. Si tratta di giustizia sociale. È quanto è emerso nell'annuale consultazione internazionale organizzata dall'Oms che si è svolta dal 13 al 15 giugno 2023 in Marocco per valutare i progressi condotti a livello globale sul miglioramento della salute dei rifugiati e dei migranti.

Ruolo dei Paesi ad alto reddito

Rilascio di permessi, investimenti nelle comunità ospitanti, ricongiungimento familiare, estensione dei programmi sociali, educativi e sanitari alle popolazioni migranti, riconoscimento delle certificazioni sanitarie, miglioramento dei canali di informazione e comunicazione sanitaria, garanzia di ambienti di lavoro sicuri sono alcuni esempi di azioni positive da promuovere.

I Paesi ad alto reddito, ritenuti responsabili di creare condizioni avverse a livello globale, dovrebbero utilizzare le loro risorse per ridurre la pressione migratoria su quelli più poveri ma che risultano più accoglienti.

Inoltre, la risoluzione della 76° Assemblea Mondiale della sanità ha esteso oltre il 2030 il piano di azione dell'Oms sulla promozione della salute rivolto ai rifugiati e ai migranti. Riconoscendo che queste persone hanno bisogno di tutela sanitaria ben oltre la fase acuta della migrazione e dello spostamento, si vuole indurre i Paesi ad attuare politiche più inclusive a lungo termine per affrontare la salute e il benessere di queste persone.

Secondo un recente rapporto dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati le persone classificate come rifugiati nel mondo sono attualmente circa 35,8 milioni su 108 milioni di individui che hanno lasciato il proprio paese per varie ragioni: conflitti, persecuzioni, violenze, violazione dei diritti umani ed eventi che disturbano gravemente l'ordine pubblico.

Da un recente rapporto risulta che il 76% dei rifugiati e delle persone bisognose di protezione internazionale sono ospitati nei paesi a basso e medio reddito, pur avendo minori risorse per gestire tale afflusso. In questi paesi mancano tuttavia politiche di reinserimento, non c'è integrazione locale, poco o nessun accesso al lavoro. Le opportunità di sostentamento sono scarse e dipendono dagli aiuti umanitari. E quando il sostegno internazionale scarseggia, questi paesi tendono ad attuare politiche e misure più severe e restrittive verso gli ospiti.

Ripensare il nostro approccio ai rifugiati è l'invito proposto in un interessante editoriale pubblicato sulla rivista The Lancet lo scorso 17 giugno, in cui gli autori, dopo aver analizzato la situazione attuale del fenomeno migratorio, rivolgono una speranza.

Quella di immaginare un mondo i cui i rifugiati siano sempre inclusi nelle nostre ricche comunità, perché ci siamo finalmente allontanati dall'aggressività, dalla paura e dal pregiudizio. E ci siamo resi conto quanto sia fondamentale, a tutela dei diritti di ogni essere umano, sostenere una responsabilità condivisa verso la protezione e la dignità di tutti.

L'editoriale si conclude con una riflessione: La Convenzione si basava anche su un ideale. Riguarda il meglio di noi e non il peggio di noi. C'è un tassello mancante nella convenzione e in gran parte della discussione odierna ed è la salute. Gli argomenti a favore del pragmatismo devono essere combinati con argomenti a favore della compassione, inclusa la necessità di assistenza sanitaria, al fine di ribaltare il cinismo nei confronti di un gruppo di persone che dovrebbero suscitare ammirazione, rispetto e dignità.

Non saremo mai un mondo normale se otto persone su dieci non solo uguali. È un ultimo pensiero di Alain Tourain, uno dei più grandi sociologi mondiali recentemente scomparso. Grande intellettuale francese e teorico dei movimenti sociali, sosteneva - pensando all'immigrazione - che alla triade "libertà, uguaglianza e fraternità” bisognerebbe aggiungere “dignità”.

Rileggendo la sua sociologia universalista mi viene da capire che rifugiati e i migranti possono e devono essere pertanto visti e considerati come nuovi attori sociali, individui capaci di riscatto e di riprendere il proprio sé, di reclamare il diritto ad esistere, ad esserci e a partecipare alle scelte per la propria vita.

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