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Evento ECM

Competenze infermieristiche nelle DAT

di Monica Vaccaretti

Da cinque anni esiste in Italia la possibilità di decidere in anticipo a quali trattamenti sanitari sottoporsi o meno in previsione di una eventuale futura incapacità ad autodeterminarsi, ossia la facoltà di essere liberi fino alla fine di scegliere, in piena autonomia e consapevolezza, come vivere il proprio fine vita. Di disposizioni anticipate di trattamento (DAT), note come testamento biologico, si è trattato al convegno sulle competenze infermieristiche richieste per l'applicazione della legge 219/17, la norma che disciplina la materia, organizzato da Opi Vicenza lo scorso 15 dicembre presso il Centro congressuale “Onisto” in occasione dell'accoglienza dei nuovi infermieri iscritti all'Ordine.

Evento ECM infermieri: competenze richieste per applicazione legge 219/17

L'esigenza di affrontare questa attuale tematica nasce dal fatto che, secondo una recente indagine, la conoscenza della normativa è ancora piuttosto superficiale nella popolazione generale italiana; soltanto il 19% dichiara infatti di esserne ben informato e solo il 2% ha provveduto a depositare le proprie disposizioni anticipate dall'entrata in vigore della legge nel 2018. Mentre il 28% degli italiani non ne ha mai sentito parlare, il personale sanitario fa parte invece del 52,6% di coloro che non ne conosce nel dettaglio i contenuti.

L'esigenza delle DAT nasce dal progresso scientifico in campo sanitario soprattutto in ambito interventistico, sviluppato a tal punto che è giunto a mantenere in vita una persona in assenza di coscienza oppure condannata a totale immobilità, avvalendosi di sussidi tecnologici avanzati sostitutivi in qualsiasi attività di vita, ha spiegato Federico Pegoraro, Presidente di OPI Vicenza e responsabile scientifico dell'evento, illustrandone il razionale.

Le DAT tuttavia non possono che essere astratte e generiche proprio perché anticipate, ossia redatte in un momento in cui ancora non sussistono condizioni di malattia tali da porre in quesito della proporzionalità dei trattamenti sanitari.

Il convegno è stato condotto da relatori di alto profilo.

Marina Sgreccia, già infermiere Coordinatore del Servizio di Dialisi AUSL Rimini, ha illustrato lo stato dell'arte sulle disposizioni anticipate di trattamento nonchè le conoscenze e le competenze che gli infermieri devono acquisire e sviluppare per applicare la legge 219/17 e ha presentato un approfondimento sul Cure e il Care.

Mariangela Mettifogo, infermiera psicologa e psicoterapeuta presso il servizio di Emodialisi dell'Ulss 8 Berica, ha trattato del perché è difficile parlare di fine vita, anche per gli operatori sanitari, riportando vissuti emotivi e difese. Ha altresì presentato gli strumenti comunicativi più appropriati per pianificare l'assistenza del fine vita in maniera condivisa.

È stato poi condotto un interessante laboratorio in cui ciascun partecipante al convegno si è messo alla prova elaborando il modulo della propria DAT (scaricabile online sui siti di varie associazioni) cercando di cogliere anche l'emozione mossa dalla compilazione oltre a ragionare sulle proprie anticipazioni di trattamento.

Le DAT, che iniziano indicando il proprio nome e le informazioni anagrafiche, si aprono con la dichiarazione di essere nel pieno delle proprie facoltà mentali e con l'espressione delle disposizioni, assunte in totale libertà di scelta e ai sensi e per effetto delle normative vigenti in materia, in merito alle decisioni da rispettare nel caso si necessiti di cure mediche, dopo aver acquisito adeguate informazioni da parte dei sanitari sulle conseguenze delle proprie scelte.

Si autorizzano quindi i medici curanti ad informare alcune persone, che si indicano espressamente, sul proprio stato di salute, sugli esami diagnostici e le terapie da adottare, nonché sulle aspettative di vita. E qualora fossi in una condizione di malattia giudicata irreversibile associata a grave disturbo cognitivo tale da compromettere le mie capacità di coscienza e di giudizio o di comprensibile espressione si danno precise disposizioni su quali trattamenti praticare o quali interventi terapeutici si rifiutano scegliendoli da una lista già predisposta che comprende la rianimazione polmonare, la respirazione meccanica, l'idratazione e la nutrizione artificiale, la dialisi, la chirurgia d'urgenza, la trasfusione di sangue, la terapia antibiotica, la sedazione profonda.

Si possono dare disposizioni particolari, in aggiunta o ad eccezione della lista proposta, richiedere l'assistenza religiosa e dare disposizioni precise dopo la morte. È prevista per legge la nomina di un rappresentante fiduciario, da indicare chiaramente, che è responsabile di provvedere che le DAT siano rispettate qualora si perdesse la capacità di decidere o comunicare le proprie decisioni.

Compilare le Disposizioni Anticipate di Trattamento significa aver preso consapevolezza di poter esercitare il diritto di essere liberi fino alla fine della propria vita.

Si scrivono le DAT perché si vuole essere liberi di scegliere sino alla fine

Esiste in Italia la possibilità per ogni cittadino di decidere in anticipo a quali trattamenti sanitari sottoporsi in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi. Significa decidere oggi - se mi capitasse una malattia o un incidente che mette in una condizione di irreversibilità - di lasciare scritto un testamento in cui si definisce come vivere l'ultimo pezzetto di vita. Non si scrivono infatti le Dat perché si sta per per morire, ma perché si vuole essere liberi di scegliere sino alla fine, riuscendo finalmente a superare tabù e resistenze sulla morte, ha spiegato Marina Sgreccia, già infermiera coordinatrice dellAUSL di Rimini, relatrice al convegno “Le disposizioni anticipate di trattamento: le competenze infermieristiche richieste per l'applicazione delle legge 219/17”, organizzato a Vicenza dall'Ordine delle Professioni Infermieristiche lo scorso 15 dicembre.

Il grande cambiamento che porta questa legge è il fatto che si afferma un diritto all'autodeterminazione del percorso di cura di una malattia nonché il diritto di morire con dignità, attraverso una scelta consapevole che può essere esercitata sia quando è già stata diagnosticata una malattia irreversibile sia anticipatamente, qualora la persona maggiorenne si trovi ancora in una condizione di salute ma preveda di trovarsi in una tale condizione. Se la persona è già ammalata, la legge stabilisce che essa debba essere adeguatamente informata non solo sulla sua patologia – diagnosi, prognosi e terapia – ma anche sulle conseguenze di un suo eventuale rifiuto a sottoporsi alle cure sanitarie proposte. Colpisce che la legge sottolinei che il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole alla somministrazione delle cure e al ricorso al trattamento inutile e sproporzionato.

Mentre negli Stati Uniti esiste dal 1998 la direttiva “Five Wishes” che sancisce il principio di autodeterminazione della persona, simili disposizioni anticipate di trattamento esistono già da anni anche in 13 Paesi Europei e sono legalmente vincolanti, ad eccezione della Francia dove se ne sta ancora discutendo. In Svizzera, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo sono previsti anche l'eutanasia e il suicidio medicalmente assistito. Per le persone italiane che vogliono mettere fine ad una vita di sofferenza e che scelgono la morte volontaria non resta che compiere viaggi verso la Svizzera, il Paese più vicino che accetta cittadini non residenti.

Il quadro normativo nei vari paesi europei risulta variegato ma sono comuni quattro punti sostanziali, anche in Italia: idratazione ed alimentazione sono considerati trattamenti sanitari e non più un mezzo di mantenimento in vita, pertanto si possono rifiutare al pari di altri trattamenti; il consenso libero ed informato; l'istituzione del testamento biologico legalmente vincolante.

Considerando che se il legislatore avesse deliberato prima sulla questione sarebbe stata molto diversa la prospettiva di malattia di noti casi clinici (Englaro, Welby, Dj Fabo), Sgreccia ha sottolineato quanto la strada per giungere in Italia alla L.219/17 sia stata lunga e piena di ostacoli, con improvvise accelerazioni seguite da periodi di stallo e di come sia legata a casi di cronaca che hanno coinvolto l'opinione pubblica. Ogni volta la questione è ripartita, con tentativi di gruppi politici di depositare un disegno di legge, sull'onda dell'emozione e dell'empatia che la persona in tale condizione di malattia suscita nella popolazione.

Considerando che il fine vita è un argomento che riguarda tutti in quanto momento che tutti ci troveremo ad affrontare, sarebbe auspicabile che il legislatore deliberasse con la maggiore pacatezza, ponderatezza, serenità e moderatezza possibile in modo tale che non ci siano forme di estremizzazione con contenuti basati sull'onda delle emozioni popolari, ha dichiarato Sgreccia.

Ricordando il caso Welby, che affetto da una forma aggressiva di distrofia muscolare ha portato avanti la sua battaglia legale per porre fine ad una sofferenza che non faceva bene a nessuno, ha segnato il passo la lettera che il noto attivista e giornalista scrisse al presidente Napolitano in cui raccontava la sua giornata che sembra un incubo. Sono giorni tutti uguali - sin dal suono del respiratore cui è attaccato che avverte che la valvola dell'umidificatore è piena e deve essere sostituita – in cui deve essere cambiato, lavato, girato, alimentato. Egli documenta così una vita che esiste dal punto di vista biologico ma che per lui è soltanto una gabbia.

Considerando l'articolo 579 del codice penale che punisce l'omicidio del consenziente, non esistendo in Italia il reato di eutanasia, i medici che hanno in cura Welby temono di subire una condanna per tale reato. Il paziente non mi dà più il consenso, è l'escamotage con cui, nel rispetto della costituzione italiana, un medico anestesista rianimatore, che si assume il rischio dopo con un confronto con i legali, gli pratica una sedazione palliativa, lo stacca dalla ventilazione artificiale e Welby, così, muore.

Il medico si autodenuncia e, al terzo grado di giudizio, il giudice osserva che la condotta del medico si è realizzata nel contesto di una relazione terapeutica, quindi sotto una copertura costituzionale del diritto del paziente di rifiutare trattamenti sanitari non voluti. È il 2006 e questa sentenza fa storia sino al 2014 quando Fabiano Antoniani (Dj Fabo), tetraplegico e non vedente dopo un'incidente stradale senza nessuna aspettativa di miglioramento, chiede allo Stato italiano di morire, applicando la morte volontaria, possibilità che gli viene negata in base all'articolo 580 del C.P. sulla partecipazione materiale fisica al suicidio. Il giovane muore a febbraio 2017 in Svizzera dove è accompagnato dall'attivista Marco Cappato (Associazione Luca Coscioni) che si autodenuncia al ritorno. È questo nuovo caso che dà vigore alla ripartenza della proposta di legge che riguarda il fine vita e alla sua promulgazione nel dicembre del 2017. Pur non riguardando il suicidio medicalmente assistito, la legge pone dei paletti sulla possibilità di depositare un testamento biologico e insiste sul consenso del paziente e sulla sua informazione.

Considerando la non condanna di Marco Cappato in cassazione, il caso ha portato anche in Italia alla possibilità, seppure per un gruppo molto ristretto della popolazione, si procedere al suicidio medicalmente assistito come avvenuto nei giorni scorsi per la signora triestina di 55 anni, affetta da sclerosi multipla. Sono tuttavia necessarie quattro caratteristiche coesistenti: il paziente deve essere capace di intendere e di volere, essere afflitto da una sofferenza indicibile, la malattia considerata irreversibile ed essere attaccato ad un dispositivo di sostegno delle funzioni vitali, spiega Sgreccia. Si tratta però di una sentenza della corte di cassazione, che non è una legge, pertanto i tempi di attuazione non sono certi. La signora di Trieste ha aspettato 380 giorni di sofferenza per avere dalla sua ASL la risposta a poter accedere al suicidio medicalmente assistito.

Emerge che la legge sul fine vita, che si attendeva dal 1984 (divorzio-aborto-fine vita) non è stata seguita da una campagna di informazione istituzionale. Rappresenta un punto di inizio e necessita l'attuazione dei decreti applicativi: serve ad esempio costruire una banca dati nazionale dove depositare le DAT in modo che tutti i medici possano consultarle su tutto il territorio, nel rispetto della privacy. La legge 219/17, chiara semplice ed esaustiva, è composta di soli 8 articoli, cinque dei quali hanno contenuti medico sanitari.

La legge si qualifica in particolar modo per l'istituzione di una nuova figura, quella del fiduciario, che dapprima non esisteva e che si differenzia dall'amministratore di sostegno. Si tratta di una persona, informata della volontà espressa nel testamento biologico, con la quale si è condiviso il proprio pensiero sul fine vita e, avendolo capito, è in grado di rappresentarci rapportandosi con i medici. La legge specifica che i sanitari sono tenuti a rispettare le disposizioni, fermo restando che possono esser disattese qualora le DAT appaiono palesemente incongrue, o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all'atto della sua sottoscrizione.

Oppure quando il paziente esige trattamenti sanitari contrari a norme di legge (eutanasia in Italia) o alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico assistenziali. La legge riconosce inoltre al paziente la possibilità di rifiutare di ricevere le informazioni sanitarie e decidere di delegare qualcun altro, non necessariamente un familiare, inteso come persona di fiducia che sceglie ed indica ai sanitari. La legge prevede inoltre una pluralità delle forme di deposito del testamento biologico, scritta o registrata. La DAT può essere poi affidata al notaio oppure gratuitamente all'ufficiale di Stato Civile del Comune che la inoltra alla banca dati nazionale, tenuta dal Ministero della Salute attraverso un registro telematico che deve essere tuttavia ancora uniformato ed implementato in tutte le regioni.

La legge 219/17 cambia la relazione di cura medico-paziente, cui contribuiscono tutte le professioni sanitarie componenti l'équipe

Questo perché vi compare una parola nuova, fiducia, che non si trova generalmente nei testi di legge. “Viene pertanto promossa e valorizzata una relazione - dove da una parte c'è l'autonomia decisionale della persona e dall'altra la competenza e la responsabilità del medico – nella quale la fiducia è il punto in cui queste due dimensioni si incontrano e si capiscono nei contenuti e nelle conseguenze delle scelte”. Ricordando che l'informazione al paziente è responsabilità anche dell'infermiere per quanto di sua competenza, in questa nuova relazione di cura possono essere maggiormente coinvolti i familiari, i conviventi e la persona di fiducia.

Mentre, secondo la concezione dei sanitari, il bene del paziente si colloca nel fare la terapia come trattamento che modifica il naturale evolversi di una malattia, per il paziente il bene può essere invece la qualità di vita, anche quella residuale. Per ottenere il consenso del paziente, serve pertanto costruire una relazione proporzionale, basta cioè sul principio di proporzionalità delle cure, in cui l'informazione sia completa e adeguata alla capacità del malato di comprendere.

La legge stabilisce anche che la comunicazione deve essere adeguata anche alla possibilità di prestare adeguata attenzione nel momento in cui si affrontano argomenti del fine vita. Sottolineando che il tempo dedicato alla comunicazione è tempo di cura, il legislatore intende dire che ai pazienti si deve parlare, ci si deve impiegare del tempo. Non ci si può rivolgere ad una persona in fase di terminalità come si fa con il tempario delle prestazioni, basandosi sul minutaggio, in una realtà lavorativa che è fatta di tempo e sopratutto, purtroppo, di pressione tempo risultato, ammonisce Sgreccia. Ci vogliono spazi fisici adeguati alla delicatezza e alla dignità del momento perché non si può parlare di terminalità ai piedi del letto, in mezzo ad altri pazienti nella stanza.

Si sottolinea che purtroppo manca ancora una formazione specifica sui contenuti della legge e sulla comunicazione nel fine vita rivolta al personale sanitario. Si ritiene necessario che gli infermieri conoscano questa legge perché è una opportunità di crescita che porta al cambiamento. Essi devono saperne parlare e sapere come parlare ai pazienti, andando oltre il tabù della morte, anche della propria. Secondo la legge, sappiamo già che nessun trattamento sanitario deve essere iniziato o proseguito se privo del consenso informato e libero della persona interessata, tranne nei casi previsti dalla legge (esempio TSO).

Ma come professionisti dobbiamo ricordarci – esorta Sgreccia - che il consenso non è un foglio di carta che si sottopone al paziente un momento prima di intervenire su di lui e che lo porta ad accettare la terapia proposta secondo un'ottica di paternalismo sanitario. Perché ogni persona ha diritto, con tutto il tempo necessario che le serve, a conoscere benefici e rischi, le possibili alternative e le conseguenze se le rifiuta, compresi i trattamenti salvavita, nonché tutte quelle azioni di sostegno che gli permettono di arrivare al suo fine vita – come le cure palliative per non avere dispnea e dolore - e il supporto psicologico e spirituale.

Scrivere una DAT significa che si è interiorizzato il fatto che si deve morire. Anche gli infermieri devono imparare ad accettare, dapprima come persona, l'idea della morte in una società che illude di essere invece immortali o di potere salvare tutti, conclude Sgreccia.

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