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Quel tu al paziente che segna la vicinanza

di Redazione

Gli infermieri sono la prima linea tra il paziente e la malattia. Quando sei in ospedale è l’infermiera, l’infermiere il tuo alter ego. Durante la malattia sono loro, gli infermieri, gli eroi trascurati che possono rappresentare la differenza tra il sopravvivere o il riprenderti la vita. Sono solo alcuni stralci della lettera di Gianluca Galli di Milano, ripresa da Concita De Gregorio questa mattina su Repubblica.

Perché gli infermieri ci chiamano per nome

concita de gregorio

La lettera pubblicata oggi da Concita De Gregorio su Repubblica

La lettera pubblicata oggi da Repubblica tra le storie di Concita De Gregorio è un omaggio agli infermieri e al loro lavoro, alla capacità che hanno di saper prendersi cura e di stare vicino al paziente, dandogli del “tu” e non del “lei”. O chiamandoli per nome e non per patologia.

Ecco la lettera:

Una malattia arriva improvvisamente, senza avvisarci, sconvolgendo abitudini e sicurezze. Non scegliamo quando ammalarci e di che cosa ammalarci. La malattia capita e basta, di solito nel momento in cui non ci sentiamo più invincibili. Luigi stava trascorrendo in montagna gli ultimi giorni di vacanza quando si sentì male. Era al telefono con la figlia quando, senza nessun preavviso, si trovò per terra privo di conoscenza.

Un buco nero, un’assenza di qualche lungo secondo, forse un minuto; steso sul pavimento senza un ricordo di che cosa fosse successo. Al pronto soccorso di D. esclusero delle patologie che mettessero a rischio la sua vita, però gli prescrissero altri accertamenti diagnostici in città.  A Milano Luigi rimase ricoverato in una stanza d’ospedale qualche giorno. Accanto a lui c’era un paziente anziano, gravemente malato: “Popi”. Popi era accudito da sua figlia, un’infermiera che rimaneva con lui tutto il giorno. A Luigi aveva spiegato che lavorava nello stesso ospedale ma in un altro reparto. Si era presa un periodo di ferie che si era sovrapposto, fortunatamente, alla malattia del padre.

Durante il giorno, Popi, quando c’era sua figlia, era sofferente ma calmo mentre la notte si trasformava in un bambino disperato. Chiamava continuamente gli infermieri, straparlava, si agitava e cercava di scappare dal letto. Al suo capezzale, più volte nel corso di una notte, accorrevano gli infermieri. Popi, oltre la malattia fisica, soffriva di disturbi psichici. Gli infermieri, insieme ai trattamenti farmacologici, gli sussurravano delle parole o gli toccavano un braccio, per calmarlo.

Gli infermieri sono la prima linea tra il paziente e la malattia, a volte l’unico contatto con i pazienti e i loro familiari.

Luigi, parlando di loro, ha spesso parlato di compassione. É arrivato perfino a comprendere l’uso del "tu" diffuso tra gli infermieri e i pazienti che prima gli sembrava una assoluta mancanza di rispetto. A lui è sembrato che il contatto fisico, costante e frequente, tra infermiere e paziente rendesse ridicolo l’uso del "lei".  Gli infermieri, a differenza dei medici, sono più vicini fisicamente alla malattia del paziente.

Forse per questo sono più coinvolti, manifestando un’umanissima pietà verso il paziente. Pietà come strumento e risorsa di chi si prende cura di una persona sofferente. Prendersi cura- ascoltare come una medicina complementare a quella farmacologica. Quando sei in ospedale è l’infermiera, l’infermiere il tuo alter ego; viene a controllare le somministrazioni dei farmaci, ti cerca le vene che a furia di essere bucate, collassano e non sono più evidenziabili, ti cambia, ti gira, ti asciuga quando non hai più la dignità dell’autosufficienza. Durante la malattia sono loro, gli infermieri, gli eroi trascurati che possono rappresentare la differenza tra il sopravvivere o il riprenderti la vita.

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Commenti (1)

rube

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1 commenti

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#1

Rimango convinta che dare il "tu" ad un utente non sia sempre buona cosa, secondo me lo si può fare solo con giovani ma mai con persone coetanee o più anziane, a meno che non venga direttamente richiesto, mentre farsi dare del tu da persone anziane non è,secondo me, uno sminuire la professione ma naturale in chi ci individua come " figli o nipoti"