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Rocco: strumentalizzare il confronto e darlo in pasto ai media è deleterio

di Pietro Caputo

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ROMA. Gennaro Rocco Vice-Presidente Federazione Nazionale Collegi Ipasvi, a confronto con l'attualità.

Le politiche sanitarie nella Regione Lazio, l'infermiere di famiglia e i nuovi scenari assistenziali;

ma anche infermieri prescrittori le scelte del passato e le prospettive future;

e in fine l' Albania, Università Nostra Signora del Buon Consiglio.

Ecco cosa ci ha risposto.

 

 

 

 

 

Lei nel 2006 in occasione della decisione presa dal ministro della Sanità britannico Patricia Hewitt di autorizzare infermieri e farmacisti a prescrivere medicinali dichiarò che era un’iniziativa che non la trovava né entusiasta, né d’accordo. Oggi le condizioni sono cambiate, sette anni dopo è ancora della stessa idea?

 

In effetti sono passati ben sette anni dall’intervista a cui lei fa riferimento: un periodo sufficientemente lungo per determinare un fisiologico adeguamento delle valutazioni professionali a mutate condizioni di contesto. Nell’ambito del cambiamento che si è registrato in questi anni, ci interessa sottolineare in particolare, il dato relativo alla crescita di un diffuso processo di upgrading della professione, inteso come maggiore qualificazione e ruolo crescente degli infermieri nella sanità italiana.

Infatti l’acuirsi della crisi, se da una parte ha creato ben noti disagi e difficoltà, dall’altra ha reso ancora più evidente la necessità di investire sulla risorsa infermieristica come elemento catalizzatore di un processo di razionalizzazione e di modernizzazione del nostro Servizio sanitario, indispensabile per la sua stessa tenuta.

Nell’ambito di questa auspicata “modernizzazione” rientra la valorizzazione di ulteriori competenze specialistiche degli infermieri e il conseguente sviluppo di eventuali nuovi strumenti e metodi per esercitarle in ospedale e sul territorio. La possibilità di prescrivere alcuni farmaci e soprattutto presidi sanitari potrebbe essere una di queste nuove attività, funzionali a garantire una sempre migliore assistenza. Una possibilità che ci interessa, però, solo come elemento organico inserito in una più complessiva logica di “sistema”, mai come rivendicazione fine a se stessa.

 

In occasione del Forum internazionale della Salute "Sanit", il presidente della commissione Politiche sociali e Salute del Consiglio regionale del Lazio, Rodolfo Lena, ha invitato l'Ipasvi a progettare e a consegnare alla Regione dei percorsi sperimentali per istituire la figura dell'infermiere di famiglia in alcune zone "campione" del Lazio, attraverso degli interventi a costo zero, che facciano leva unicamente sulla rimodulazione delle risorse già in carico alle Asl: quali soluzioni valuta realizzabili a breve medio e lungo termine? 

 

Abbiamo dato seguito a quell’impegno lavorando sodo per concretizzare un modello di assistenza territoriale che sosteniamo da anni, più vicino al cittadino e più consono alle nostre competenze. Nei diversi incontri avuti con staff del presidente della Regione Lazio Zingaretti, abbiamo sottolineato con forza l’importanza dell’istituzione della figura dell’infermiere di famiglia e degli ambulatori infermieristici sia generalisti che specialistici, il ruolo centrale dell’infermiere nelle “case della salute” e le sue abilità di case manager soprattutto nel trattamento delle patologie croniche e degenerative che investono una fetta sempre più ampia di popolazione.

Al termine di una serie di audizioni, abbiamo fornito al gruppo di lavoro insediato dalla Regione Lazio sul progetto delle “case della salute” tutte le indicazioni su come procedere. Naturalmente i tempi dell’operazione non dipendono da noi, ma dalle scelte politiche. La volontà dichiarata degli interlocutori istituzionali di fare presto ci rende fiduciosi, ma staremo a vedere. Se le nostre proposte verranno accolte, si apriranno nuove opportunità di lavoro per tanti colleghi sia come dipendenti, sia come liberi professionisti. Qualche timido passo si sta già compiendo in questa direzione, con l’avvio di alcune esperienze “pilota” sul territorio della nostra Regione. Ma non basta: ci attendiamo un piano strutturato di risposte qualificate alle istanze dei cittadini e un aumento dei posti di lavoro.

 

Importante diventa il ruolo attuale e futuro dei Coordinamenti Regionali Ipasvi?

 

Esatto, in questo scenario, i Coordinamenti Regionali Ipasvi si rivelano sempre più importanti nel confronto tra la professione e gli enti che gestiscono la sanità, le Regioni appunto. Danno maggior peso alle rivendicazioni della categoria e soprattutto evitano che gli infermieri si esprimano con voci diverse, magari contraddittorie. Il che renderebbe fragile la nostra posizione. Gli attacchi alla professione sono quotidiani, non possiamo fronteggiarli se siamo spaccati. Avere una sola voce è l’unico modo per contare nelle sedi dove si fa programmazione sanitaria, è assolutamente strategico.

 

I corsi di laurea di infermieristica e di fisioterapia dell’Università NSBC di Tirana seguono gli stessi ordinamenti didattici delle università italiane e, in particolare, dell’Università “Tor Vergata” di Roma. Tali ordinamenti didattici prevedono l’acquisizione di 180 crediti formativi universitari, una scelta che ha permesso il riconoscimento immediato del titolo di studio da parte delle autorità e delle istituzioni italiane. A ciò si aggiunge la recente possibilità di un corso di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche. Pertanto Le chiedo: la scelta di collaborare con l’Università NSBC di Tirana è stata mossa dalla “carenza di infermieri” del periodo di riferimento? È ancora valida come scelta? 

 

L’iniziativa di Tirana ha una grande valenza sociale e culturale. E’ cresciuta nel tempo fino a diventare un importante network di formazione ed esperienze professionali che vede collaborare sette università italiane con l’Università cattolica di Albania. Un progetto nato e sviluppato nella logica dell’internazionalizzazione della cultura degli studi, un ponte di conoscenze gettato oltre l’Adriatico per un vantaggio reciproco. A questo proposito, i timori di quanti si sentono minacciati da una immaginaria “invasione” di colleghi albanesi sono decisamente infondati. In primo luogo perché i posti disponibili per il corso di Laurea in Infermieristica, rigorosamente a numero chiuso, sono poche decine all’anno. Di conseguenza in dieci anni i laureati di Tirana non hanno superato quota 200 e neanche la metà di questi è venuto a lavorare in Italia. Con l’avvento della crisi e gli ulteriori tagli alla sanità, poi, non è arrivato più nessuno. Oggi addirittura la situazione si è ribaltata con alcuni colleghi italiani che si stabiliscono all’estero per lavorare.

 

A chi fa notare di un conflitto di interesse tra il suo ruolo Istituzionale e l’Università di Tirana, cosa risponde?

 

Quanto al presunto conflitto d’interesse, non capisco davvero in che cosa possa consistere. Oltre al mio ruolo istituzionale in Ipasvi, ovviamente sono un lavoratore dipendente, come altri infermieri impegnati nei Consigli direttivi e nel Comitato centrale. Tra le attività lavorative che il mio Istituto mi ha assegnato c’è anche il corso di laurea in Infermieristica dell’Università Cattolica NSBC di Tirana che, in base ad un “formale” accordo con l’Università di Tor Vergata,  svolge, con docenti pressoché esclusivamente italiani, un programma sovrapponibile a quello di qualsiasi altro nostro Ateneo. Qual è il problema? Non c’è alcun conflitto né di forma, né di sostanza.

 

Come valuta questo nuovo canale di confronto? La professione per crescere ha bisogno di collaborazione e confronti costruttivi, accesi ma rispettosi gli uni dell’altro. A mia memoria non vi è stato mai un confronto così diretto tra istituzioni e infermieri. Come pensa si possa favorire questo confronto? Cosa suggerisce ai suoi colleghi Presidenti?

 

Il confronto, anche quando è acceso e contrappone opinioni divergenti, è sempre auspicabile. Anzi direi che per una professione come la nostra, in costante evoluzione e con nuove criticità epocali sullo sfondo, risulta vitale. La discussione va stimolata soprattutto all’interno del gruppo professionale ed io sono sempre felice quando ciò accade. A patto, però, che il confronto si concentri su temi non strumentali e che dal dibattito nascano orientamenti e scelte che facciano bene a tutto il gruppo professionale. La cosa più deleteria, infatti, è utilizzare argomenti polemici per strumentalizzare il confronto e portarlo all’esterno dandolo in pasto ai media. Per vincere la nostra battaglia sull’autonomia professionale abbiamo bisogno della massima unità.

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