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Testimonianze

Tutti piangiamo e curiamo nella stessa lingua

di Monica Vaccaretti

Perché mi piace questo mestiere? Sono tornata a chiedermi in questi giorni. L'ultima volta è stata il primo anno universitario, vent’anni fa. Perché è il mestiere più bello del mondo. Di grande umanità. Sempre diverso ogni giorno perché diversa è ogni persona che si incontra e si cura. Di grande valore perché niente ha più valore e bellezza della vita umana. Perché non è un lavoro da colletti bianchi, ma da camici in trincea. Che sia in un laboratorio, in una corsia, in una sala operatoria, in un ospedale da campo. Perché, senza togliere nulla agli altri lavori con cui l'uomo si nobilita guadagnando il suo pane, non si ha a che fare con beni di consumo e con i denari della gente né con i servizi alla persona che vendono tempo e svago. Mi piace questo mestiere perché si offre salute e vita. Quando penso al mio mestiere mi viene sempre in mente il sangue. Quello che scorre nelle vene delle persone. Quello che ti sporca quando soccorri qualcuno ferito. Quello che manca ai corpi malati e quello che rinvigorisce in una sacca donata. Quello che si ha, freddo, quando si ha quel coraggio o quella lucidità di cui i sanitari sono capaci in determinate circostanze e attività.

Essere infermiera: perché mi piace ancora questo mestiere

Durante l'emergenza sanitaria che ci ha stravolto la vita professionale, non ho avuto tempo per interrogarmi sul mio perché, messo a dura prova dalle difficoltà della pandemia. Sentivo soltanto di avere ancora addosso quel fuoco che ti fa venire voglia di esserci e fare la propria parte, di curare e salvare. Ora che siamo in una fragile ed illusoria tregua della pandemia e che son tornata temporaneamente ad occuparmi di attività infermieristiche ordinarie, lontana da tamponi e vaccini contro Sars-CoV2, vivo un momento di sconforto perché sento strano ed assurdo ritrovarmi improvvisamente calata nella routine assistenziale. L'ordinario mi annoia. Mi manca l'adrenalina. Trovo tutto semplice e banale. Come si fa a vivere senza vivere in uno stato emergenziale? Due anni di giorni tutti uguali e in allerta non ti si cancellano dalla testa con una lettera di trasferimento. Con quattro righe e un grazie da parte dell'Azienda per la grande disponibilità dimostrata durante l'emergenza Covid-19. Dopo il tanto che abbiamo fatto, sento che sto facendo poco o niente in confronto. Questa normalità, che non è normale, mi inquieta.

Perché mi piace ancora questo mestiere? Perché, mi rispondo, mi permette di applicare quello che ho imparato sui libri e sul campo nel corso degli anni, di continuare ad imparare e magari di salvare qualche vita. Ancora, qualche volta. Ogni tanto, anche stando dietro ad una scrivania di uno screening oncologico. Cerco di consolarmi ma è inutile raccontarmela. Mi mancano gli anni del Pronto Soccorso e quelli in cui preparavo e somministravo chemioterapici. Da un mese, oggi, otto ore non passano mai, sbadiglio. Dodici ore prima volavano, nonostante la stanchezza, la precarietà e l'incertezza dei tempi, il pericolo del contagio. No, inutile ingannarsi e fare buoni propositi di adattarsi ai nuovi ritmi, di pensare alla propria salute, di darsi tempo per imparare a rallentare. Non mi basta. E allora cerco vie di fuga, alternative ad una professionalità messa davanti ad un computer. Soffro, mi arrabbio. Irrequieta, scalpito. Mi sento in gabbia, allontanata dalla clinica. Dalle infusioni endovenose, dai prelievi, dai farmaci. Dalle medicazioni e dai ferri chirurgici. Dai vaccini. Mi viene voglia di licenziarmi, di lasciare il SSN. Perché non dà valore al suo personale. Dispiace dirlo, come dicono in tanti, ma davvero siamo un numero di matricola e un buco da riempire in qualche Unità rimasta scoperta. Per le gravidanze. Le sospensioni. I licenziamenti. I pensionamenti. Le malattie lunghe. Bisogna sempre dire signorsì. Accettare i nuovi incarichi assegnati, senza se e senza ma. Andare e imparare. Farselo piacere, anche se si avrebbe preferito fare altro. Anche se ci si sente portati per qualcosa di diverso. Anche se si ha ancora qualcosa da dare. Anche se ci si sente sprecati.

Questo è il SSN. Che non dà meriti. Che ti manda dove c'è il maggior bisogno del momento. Che non ti offre una seconda proposta. Per te abbiamo pensato di mandarti lì. Ma io veramente avevo chiesto il day Hospital Malattie Infettive...c'è tanto bisogno anche lì. Con il Covid e il long Covid. E l'HIV. Sa, mi sono appassionata a virus e batteri. No. E in carcere? Mi piacerebbe essere infermiere in un penitenziario, so che c'è un posto libero. Non è facile ma credo sia un'esperienza forte, non mi spaventa. La risposta è sempre no. Senza un perché. Gli infermieri del SSN sono sempre troppo eclettici, sanno fare tutto e, se non lo sanno, possono bene imparare a farlo, sono interscambiabili e pertanto, a differenza dei medici che hanno una sola specialità, possono essere impiegati ovunque. Gli infermieri sono pluri specialisti. È una grande virtù che può diventare, purtroppo, un difetto.

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