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La storia di Roberta e della sua mobilità negata

di Redazione

Mi sono laureata in Infermieristica nel marzo 2008 a Roma, ho lavorato come precaria finché, stanca di una situazione lavorativa senza alcuna garanzia, decisi di partecipare a un concorso pubblico a Firenze, con la speranza di passarci solo i primi sei mesi, al massimo un anno e poi tornare con la mobilità volontaria, art. 19 ccnl. Sono ancora qui, stanca e disperata. Questa è la storia di Roberta, infermiera che tra mobilità negata, treni, figli e sacrifici, oggi si sente più che mai demoralizzata.

Vincere un concorso per poi ritrovarsi in esilio

stazione treno donna

Vinsi il concorso a Firenze, mi chiamarono pochi mesi dopo, ad appena 20 giorni dal mio matrimonio. Iniziai una vita da pendolare su e giù per Firenze, vivo a Fiumicino e impiego tre ore per raggiungere il mio posto di lavoro e altre tre per tornare a casa.

Spesso, se ho il turno pomeridiano che precede quello del mattino, sono costretta a pernottare lì. A mie spese ovviamente! Oppure accampata alla meno peggio in ospedale.

Un terzo del mio stipendio lo giro a Trenitalia

Fino al 2014 le Asl laziali, sotto commissariamento, non accettavano le mie domande di mobilità volontaria per colpa del blocco del turnover. Poi, grazie a Renzi, non mi è stato più possibile inviare queste domande, perché la legge prevede che per le mobilità devono uscire degli appositi bandi. Nel frattempo sono diventata due volte mamma e sto crescendo i miei figli a distanza con immensi sacrifici. Questo perché anche le assegnazioni temporanee a tutela della maternità per figli minori di 3 anni sono considerate un aggravio di spesa e vengono concesse solo a pochi privilegiati, senza sapere con quale criterio.

Come se alcuni figli fossero più importanti di altri

Fatto sta che a breve anche mio figlio piccolo compirà tre anni e io non mai potuto godere di questo privilegio.

Il 1° luglio compirò sei anni di esilio forzato dalla mia Regione, dalla mia città, una punizione per non aver voluto contribuire al precariato e a incrementare le tasche di cooperative e agenzie interinali. Una punizione per aver fatto tutto secondo la legge.

Al momento sono disperata e stanca, non ce la faccio più a fare questa vita. Non ce la faccio più a sprecare ore preziose sui treni, a perdermi gli anni più belli dei miei figli. Non poter proseguire gli studi, perché non ho tempo di frequentare le lezioni e studiare visto che lavoro e viaggio

Questa situazione, in cui le aziende laziali stabilizzano i precari senza tenere conto delle leggi nazionali che tutelano le mobilità nazionali, mi demoralizza. Purtroppo nessuno sa che esistono persone che fanno questi immensi sacrifici. Siamo dimenticati da tutti, comprese le istituzioni.

Roberta, una vostra collega costretta all'esilio

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