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testimonianze

Io, Oss in un Pronto soccorso pediatrico

di Paola Botte

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Madri e padri sempre più ansiosi. Figli accompagnati in Pronto soccorso anche senza un reale motivo. Estenuanti attese e un enorme carico di lavoro per il personale. È il quadro dipinto da Lizette, Oss di 40 anni, in servizio presso un Pronto soccorso pediatrico di Milano.

In Pronto soccorso pediatrico tra le ansie delle mamme

lizette in pronto soccorso pediatrico

Un Pronto soccorso pediatrico

Quando ero bambina e vivevo nelle Mauritius ricordo che i miei genitori non mi portavano mai in Pronto soccorso se non per reali urgenze e penso che fosse lo stesso in Italia. Almeno così mi dicono i colleghi racconta Lizette.

Da quando lavoro in Pronto soccorso mi sono resa conto che i genitori sono cambiati – continua l’operatrice socio sanitaria - sono più apprensivi e credo che questo sia avvenuto principalmente per tre motivi: prima di tutto, una minore capacità di gestire i propri figli durante i momenti di dolore, poi una maggiore conoscenza delle probabili patologie e infine un accesso smisurato a Internet. Chiunque pensa di poter fare delle diagnosi e a volte allarmandosi senza motivo viene qui da noi. In questo modo, il personale sanitario è costretto a volte a scontrarsi con la testardaggine di genitori che gli sbattono in faccia il cellulare con paroloni che neanche capiscono.

Il lavoro di Lizette non è facile e non lo è non solo a causa dei genitori, ma prevalentemente perché il mondo pediatrico è un mondo a sé.

Nella mia carriera di Oss – dice - ho lavorato con diverse tipologie di pazienti: anziani e disabili a domicilio e nelle case di riposo, adulti nei reparti di medicina d'urgenza, in sala operatoria (che adoro) e mai mi sono dovuta mettere alla prova così tanto come con i bambini". E precisa: "Non siamo di fronte al classico paziente con cui puoi dialogare direttamente, devi trovare una chiave di accesso adatta alle sue esigenze e alla sua età. Fortunatamente per certi versi con i più piccoli ci aiutano le mamme che si occupano dei bagnetti, dell'igiene e spesso delle poppate, ma in molti casi dobbiamo fare tutto noi Oss.

Se c'è una cosa che però non riesco proprio a fare – svela - è memorizzare il numero dei pannolini. Quando una mamma mi chiede un pannolino per il suo bimbo e mi dice i chili, vado in panico e con gentilezza chiedo loro di dirmi il numero e non i chili.

In Pronto soccorso però capita anche di dover salvare delle vite e Lizette, che dice di sentirsi più adatta in situazioni di emergenza, ci spiega che in certi frangenti non pensi che hai di fronte un paziente/bambino. Quando arriva un codice rosso, si agisce nello stesso modo in cui si gestisce con un adulto. Sai che il tuo unico obiettivo è salvargli la vita e farlo velocemente. Conosci i protocolli e anche se sei un Oss, quindi non direttamente coinvolto, sai che devi svolgere il tuo lavoro nel miglior modo possibile per agevolare a loro volta medici, rianimatori e infermieri a fare bene il loro lavoro.

In un gruppo non esistono ruoli marginali sbotta Lizette che convive da anni con un infermiere. Sono stanca di sentire litigi tra infermieri e Oss sulle competenze di uno o dell'altro. È chiaro che ognuno ha il proprio ruolo, ma in un reparto o in un Ps tutti devono darsi una mano, come quando, nel mio caso, arriva un paziente agitato e aiuto l'infermiere nel prelievo tenendo fermo il braccio della persona. Lo faccio perché mi fa piacere dargli una mano e poi perché credo che faccia parte dei mie compiti. E va giù ancora più duro: Allo stesso modo, non sono d'accordo con quegli infermieri che dicono di avere troppa terapia per fare il giro letti con gli Oss e poi li trovi in cucina a bere il caffè. Questo vuol dire approfittarsene.

Per Lizette dunque, spirito di gruppo e professionalità sono alla base del suo lavoro e nel futuro vede una maggiore collaborazione tra queste due figure sanitarie, per garantire ai pazienti un'assistenza veramente degna di essere chiamata tale.

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