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Editoriale

Buon compleanno a tutti, dagli infermieri

di Giordano Cotichelli

Un anno fa è stato scritto, riguardo la data dell’11 ottobre, come questa potesse rappresentare una sorta di compleanno degli infermieri visto che, in epoca romana, era il giorno dedicato a Meditrina, dea della salute e dell’assistenza, che salutava la nuova stagione con l’unione del vino vecchio con quello nuovo, sorta di panacea dei mali che affliggono l’umanità. Oggi, alla stessa scadenza, non può che rinnovarsi l’anniversario con uno sguardo ampio, rivolto alla particolarità pandemica del momento. A tal proposito un pensiero augurale di buon compleanno non può che prendere ispirazioni da tre immagini significative e attuali.

Anche lo specchio migliore non riflette l’altro lato delle cose

Rappresentazione di Meditrina, dea della salute e dell’assistenza

La prima immagine è quella che mostra un importante personaggio pubblico, odioso e brutto, genuino come una moneta da tre euro. È affacciato ad un balcone e cerca di tenere un portamento fermo. Guarda davanti a sé, ostenta sicurezza, o almeno ci prova, fino a quando il respiro si fa più breve del dovuto; più corto del solito. Una, due, tre volte l’uomo appiattisce le labbra serrando i denti in una inspirazione forzata.

Le spalle si alzano cercando di mitigare la malcelata dispnea. Quell’uomo sta provando, in parte, ciò che, in questi ultimi mesi, hanno provato molti suoi simili, cui lui pensava però di essere teocraticamente superiore, monarca intoccabile e portatore di un diritto feudale di poter fare e poter dire tutto quello che voleva. Ecco, quell’uomo la cui statura fisica è inversamente proporzionale a quella morale, immersa in un mare di arrogante obesità, è la faccia maschia di questo tempo.

Le buone pratiche e le buone idee ci fanno andare avanti in un mondo in cui i tanti cattivi di turno, dai loro balconi, continueranno a rubare vite e a negare la realtà, anche quando non basterà più fingere di respirare bene

La seconda immagine da prendere come ispirazione è ben diversa. Si riferisce ad un disegno, riprodotto in tante varianti ed accompagnato da un motto che ne amplifica il messaggio: “We can do it”. Fu creato nel 1943 da Howard Miller, quale manifesto propagandistico, per sottolineare lo sforzo industriale durante la guerra in corso ed in particolare l’impegno delle donne chiamate in fabbrica e nei servizi a sostituire gli uomini mandati a morire come carne da cannone.

L’immagine è stata ripresa per i più disparati usi e se ad essa si abbina la parola “nurse”, in una ricerca in rete, se ne vede una versione tutta sanitaria ed eroica, molto elegiaca della guerra in atto contro il Covid-19.

Qualsiasi interpretazione si voglia dare, essa può sottolineare efficacemente l’impegno delle donne costrette durante questa pandemia a sopportare un peso raddoppiato in termini di carico lavorativo (lo smart working a casa non finisce mai!), familiare (seguire i figli nelle lezioni a distanza), relazionale (costrette in troppe occasioni a condividere in lockdown con un “altro” che non rappresentava più nulla, o peggio, diventava il principale nemico. Più del virus, più del tele-lavoro, più della solitudine e dell’ansia straziante. Un “altro” cattivo e qualche volta assassino. La donna del manifesto di Miller, anche nella versione con mascherina, mostra quella fermezza e quel decisionismo che hanno permesso di affrontare i drammatici mesi passati. Il volto femminile delle risorse di tanti.

La terza ed ultima immagine non è ben definita, dato che rappresenta una pluralità di soggettività. È la figura virtuale che uno specchio restituisce agli occhi di una persona. Non uno specchio particolare, magico (come quello di Biancaneve) o demoniaco (come lo schermo di uno smartphone). È uno piccolo specchio, da pochi euro, che si può trovare sulle bancarelle di periferia o nei supermarket orientali.

Può essere di vetro o anche di latta riflettente, come quello degli operai di una volta. In genere trova posto nella parte interna dello sportello dell’armadietto dei panni da lavoro, e serve giusto a darsi un’ultima occhiata prima dell’inizio del turno o poco prima di prendere la via di casa. È lo specchio dove, in questi mesi, si sono riflessi i volti dei sanitari segnati dai DPI, o le inquietudini di coloro che stavano perdendo il lavoro, la stanchezza di chi ha inseguito ore ed ore di asfalto per portare i generi alimentari durante il lockdown e l’angoscia infinita di chi è restato solo con la malattia. Volti non sempre riconosciuti, neanche quando comparivano sulle copertine dei giornali.

In qualche caso, però, lo sguardo ha visto aggiungersi, all’interno della cornice dello specchio, la figura di un amico o di un collega, di un familiare o di uno sconosciuto, di un pari della società che aiutava a rendere meno insopportabile il peso della disperazione propria e altrui. I riflessi dello specchio in qualche caso hanno restituito il senso di appartenenza alla comunità umana, la forza della solidarietà degli ultimi, la rabbia di non cedere alla disperazione e di non lasciare solo qualcuno.

Ecco questa ultima e terza immagine è la sintesi di un’umanità plurale che da gennaio continua a resistere e, un po’ stanca, come l’espressione di una donna costretta in casa dalla pandemia, si appresta ad affrontare un altro lungo periodo difficile. A questi volti, tutti anonimi, ma ricchi di storie, non può che andare l’augurio di buon compleanno dagli infermieri – in omaggio al giorno di Meditrina - con la consapevolezza che le buone pratiche e le buone idee ci fanno andare avanti in un mondo in cui i tanti cattivi di turno, dai loro balconi, continueranno a rubare vite e a negare la realtà, anche quando non basterà più fingere di respirare bene.

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